L'affare delle acque e le concessioni «regalate» a multinazionali
POTENZA _ Oro nero e oro blu. Il primo, il petrolio business del XX secolo, il secondo, l’acqua, grande affare del XXI secolo. La Basilicata è ricca di entrambi gli elementi. Un dato che sulla carta lascia ben sperare per il futuro in termini di sviluppo e di crescita economica, soprattutto oggi con il federalismo fiscale alle porte.
Grazie a quelle risorse sulla carta la Basilicata potrebbe dormire sonni più che tranquilli. Eppure, se per il petrolio le royalty vantano un peso non indifferente nei bilanci di Regione e comuni, lo stesso non avviene per le «bollicine». Anzi, i canoni che incassa la Regione per lo sfruttamento dell’acqua sono decisamente irrisori. Così come non sono elevati i numeri degli occupati nel settore a causa delle alte tecnologie utilizzate.
La legge regionale numero 21 del 1° marzo 2005 è l’ultima varata in materia. Composta di vari articoli prevede l’abolizione del divieto di trasferimento in concessione senza l’apposita autorizzazione regionale (art.7), la trasformazione del canone annuo della concessione da lire in euro, conservandone l’effettivo importo in 5, 16 euro per ogni ettaro oggetto di permesso (art. 42 comma 2) e un canone a carico del concessionario di 51,65 centesimi per le concessioni sfruttate per l’imbottigliamento e di 26 euro per le concessioni di acque termali e di acque minerali per le cure idrotermali (art. 42 comma 3). Inoltre, essa prevede un ulteriore ricavo per la Regione pari a 0,30 per ogni mille litri imbottigliati (art. 42 comma 7). Con l’art. 46 bis, poi, il contributo non viene più riferito all’emunto (la quantità prelevata sul contatore) ma alla qualità imbottigliata.
Numeri piccoli, anzi piccolissimi (basti pensare che se un cittadino dovesse imbottigliare mille litri di acqua dal rubinetto pagherebbe
63 centesimi) si considera che le aziende del settore ogni anno fatturano cifre con molti zeri. Cifre che da più parti hanno sollevato interrogati: com’è possibile che si è arrivati a questo? Com’è possibile che di fronte a un business in crescita come quello dell’acqua le concessioni siano rimaste così basse?
Innanzitutto, va detto che la normativa italiana prevede che l’acqua sia «un bene di pubblico interesse» che deve essere garantita a tutti. Questo fa si che i canoni di concessione non possano essere aumentati indiscriminatamente. Va anche detto, poi, che quelle lucane sono tra le tariffe più care se confrontate con quelle imposte dalle altre amministrazioni regionali italiane. In Emilia Romagna, infatti, il canone è di 10,22 euro per ettaro in concessione, in Liguria di 5,01, in Piemonte di 20,65, nelle Marche di 5,16, mentre in Lombardia di 25 euro per ettaro più 0,51 euro ogni metro cubo imbottigliato. Inoltre, non in tutte le discipline regionali il canone di concessione è proporzionale all’estensione dell’area, ma anche alla quantità imbottigliata.
Al di là dei confronti tra le diverse discipline, comunque, più di qualcuno chiede che la normativa venga rivista, e magari si arrivi ad una tariffa unica per l’intero territorio nazionale come auspicato sin dal 2006 dalla Conferenza delle Regioni. Come spiega il consigliere regionale di Rifondazione Comunista, Emilia Simonetti che sulla questione ha presentato anche un’interrogazione.
«La Giunta, in particolare l’assessore all’Ambiente, Vincenzo Santochirico, è stato impegnato dal consiglio Regionale a modificare tali cifre - commenta il consigliere Simonetti - ma l’impegno non è stato ancora mantenuto. Sulla questione esiste anche un documento di indirizzo dalla Conferenza delle Regioni che chiede la fissazione di linee di indirizzo. Si tratta, quindi, di adeguare urgentemente le tariffe per utilizzare i ricavati nell’opera di disinquinamento nelle zone di coltivazione delle acque minerali».
Alla Regione su questo aspetto stanno lavorando. Informalmente si sa che della questione si sta occupando l’assessore regionale all’Ambiente, Vincenzo Santochirico, che, però, non ha potuto spiegare a che punto è l’iter, trovandosi all’estero.
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