In Italia le scorie nucleari dagli Usa
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze conferma quanto rivelato dalle inchieste della «Gazzetta»: nell'ambito di un contratto della durata di 5 anni potrebbero tornare in Italia, dagli Stati Uniti, 1.000 tonnellate di scorie nucleari che, gestite dalla Sogin (la Società Gestione Impianti Nucleari, è la SpA che ha unico socio il Ministero guidato da Giulio Tremonti ed il «braccio operativo» del Paese in campo nucleare; ndr), verrebbero poi stoccate in un non meglio identificato «deposito» nucleare. Lo si legge nella risposta scritta all'interrogazione che, lo scorso maggio, fu presentata dal deputato pugliese Dario Ginefra. Il parlamentare del Pd, infatti, aveva appreso dalla «Gazzetta» dell'esistenza di un accordo di export-import «atomico» tra la Sogin e la società americana Energy Solutions Inc.
L'accordo - in attesa dell'autorizzazione della «Nuclear Regulatory Commission», cioè la Commissione governativa americana per la regolamentazione nucleare - prevede la possibilità per l'Italia di spedire negli Usa circa 20.000 tonnellate di rifiuti radioattivi ma anche l'impegno dell'Italia ad accettare fino a 1.000 tonnellate di rifiuti di ritorno.
Di quello che dovrebbe partire si sa praticamente tutto. Si conosce la provenienza: è materiale radioattivo presente nelle quattro centrali atomiche italiane in fase di smantellamento (Caorso, Enrico Fermi-Trino, Garigliano e Latina), e negli impianti della «filiera atomica», come l'Itrec (Impianto TRattamento Elementi Combustibile), che si trova nel Materano e che, da oltre trent’anni, conserva 64 elementi di combustibile irraggiato provenienti dal reattore di Elk River (Usa). Si sa che viaggerà via mare. Si sa che verrà trattato in un impianto della Energy Solutions e che verrà stoccato nel deposito, per rifiuti a bassa e bassissima radioattività, che la società americana possiede nello Utah.
Invece, praticamente nulla si sa di queste 1.000 tonnellate. Dove sarebbero state stoccate? In assenza di un deposito unico nazionale (quello che avrebbe dovuto sorgere a Scanzano e che saltò per le proteste popolari), si poteva ipotizzare una loro sistemazione in impianti alternativi. Ce ne sono parecchi sul territorio nazionale che già oggi custodiscono materiale atomico. Uno, il succitato Itrec, è in Basilicata.
Proprio per saperne di più, il deputato Ginefra, aveva chiesto lumi al Ministero che oggi conferma quanto scritto in questi mesi dalla Gazzetta e spiega che, effettivamente, la Energy Solutions potrebbe «restituire alla società Sogin SpA materiali non conformi alle prescrizioni di licenza», ovvero «materiali radioattivi trovati non conformi ai criteri di accettazione dei rifiuti per lo smaltimento definitivo nel deposito di Clive, Utah». Siccome il deposito accetta soltanto scorie a bassa e bassissima radioattività, ciò potrebbe significare che le milla tonnellate sarebbero composte da materiale molto più pericoloso. Peraltro, nella sua risposta il Ministero non chiarisce dove verrebbero stoccate. «resta inteso - scrive il Ministero - che qualsiasi materiale radioattivo ritornato in Italia in tali condizioni continuerebbe ad essere gestito in sicurezza dalla Sogin fino al conferimento ad altro deposito idoneo». Nulla aggiungendo circa l'ubicazione di quest'ultimo.
A onore del vero, bisogna anche dire che il Ministero, nella sua risposta, fa capire che è molto improbabile che queste 1.000 tonnellate tornino in Italia e chiarisce che Sogin ed Energy Solutions si adopereranno per scongiurare questa possibilità.
Perché il contratto di export-import diventi operativo, è fondamentale l'«ok» della Nrc. La decisione, inizialmente attesa per i l'inizio dell'anno, è slittata di mese in mese a causa della reazione di popolazione americana e sigle ambientaliste, contrarie ad accettare le scorie italiane.
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