Si combatte in Congo. Un milione di profughi
Sono finiti all'inferno senza guidizi di sorta. Buoni o cattivi, peccatori o santi, gli abitanti del nord Kivu a est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) si trovano, ancora una volta, nel luogo della massima sofferenza immaginabile. E su questa terra. Dal 29 ottobre, l'acuirsi degli scontri ripresi ad agosto, tra la milizia irregolare tutsi del Cndp (Congresso nazionale per la difesa del popolo) guidata dal generale dissidente Laurent Nkunda, finanziata, armata e fiancheggiata dal Ruanda di Paul Kagame e l'esercito regolare congolese fedele al Presidente Joseph Kabila, ha provocato un milione di nuovi sfollati. Anime in fuga a piedi, col fagotto sulle spalle, inseguite e stanate anche nei campi di accoglienza (è accaduto a Rutshuru la scorsa settimana), ammazzate, a seconda dell'etnia di appartenenza, dalle rispettive parti in conflitto, con esecuzioni anche collettive. L'ultimo massacro, perpetrato porta a porta, è avvenuto due giorni fa a Kiwanja. Qui gli uomini di Nkunda hanno «deliberatamente» ucciso venti civili. Lo denuncia Human Rights Watch e lo conferma la Monuc, la fallimentare missione di peacekeeping dell'Onu nella Rdc. Le stesse denunce parlano di civili bruciati vivi nel villaggio di Kimenje, sconvolto dai combattimenti tra ribelli e miliziani filogovernativi mai-mai (hutu), di stupri usati ancora una volta come arma di guerra, perpetrati, indistintamente sia dalle milizie irregolari che dai soldati governativi. Il terreno di guerra si estende al corpo delle donne. Donne che in seguito alle violenze, come giá accaduto in questa stessa terra, in Burundi, in Ruanda, contrarrano il virus dell'Hiv e saranno per questo emarginate. Per questa nuova fase di guerra, a decine, vengono rapiti bambini (in particolare da parte dei mai mai) per farne nuovi soldati.
La cronaca dei bollettini di guerra racconta che la guerriglia di Nkunda continua a conquistare posizioni intorno a Goma e minaccia il governo congolese di continuare gli attacchi per la presa del territorio in nome della difesa dei banyamulengue, i tutsi congolesi, dall'incapacità dello Stato di proteggerli dalle milizie mai mai e dai genocidari hutu ruandesi delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr), riparati in questa zona dopo il genocidio del 1994.
Al di la dell'impostazione da manuale che rimanda alle questioni etniche, che pure hanno il loro fondamentale peso, la ripresa, violentissima del conflitto, con la presa di molte zone intorno a Goma da parte di Nkunda, sembra confermare quello che si racconta da quindici anni nella regione. Ovvero che il Ruanda intende la zona del nord Kivu a ridosso del proprio confine. E non certo solo per ragioni etniche. Se il Congo, fin dai tempi di Leopoldo I del Belgio era noto come "uno scandalo geologico" per l'impressionante varietá di risorse naturali e del sottosuolo che custodisce, il Kivu, ricco di uranio, oro, rame, cobalto, coltan, è la pare più intensamente baciata dalla natura in questa terra. Risorse di cui la popolazione congolese non ha mai baneficiato, e che, al contrario, la condannano a vivere in un'instabilitá che permette traffici di materie prime remunerative a sufficienza per le tasche da riempire nei diversi schieramenenti del conflitto. Rapporti dell'Onu hanno in passato denunciato lo sfruttamento delle risorse del Kivu da parte del Ruanda. In particolare, negli scorsi anni, tonnellate di coltan (usato per produrre cellulari) avrebbero lasciato l'Africa prendendo il volo dal territorio ruandese.
Mentre ieri a Nairobi si svolgeva un vertice internazionale sulla crisi a cui hanno partecipato il Segretario Generale dell'Onu, Ban Ki-moon, i presidenti di Congo, Ruanda, Kenya, Uganda, Tanzania, Burundi, Sudafrica ed una delegazione dell'Unione africana, a Kibati (sette km a nord di Goma) riprendevano i combattimenti nei pressi di un campo profughi. Scontri che hanno gettato nel nuovamente panico i rifugiati che si sono dati alla fuga, un'altra fuga, verso Goma.
Il vertice di Nairobi, avrebbe lo scopo di resuscitare gli accordi di pace firmati nella stessa capitale kenyota a novembre 2007 e a gennaio di quest'anno, centrati sul rientro in patria degli hutu ruandesi genocidari ed il rispetto della tregua da parte di tutti i gruppi armati attivi nel Kivu.
Nkunda, che combattè a fianco di Kagame nelle fila Fronte patriottico ruandese, che sconfisse il regime hutu genocidario, non è stato invitato al vertice sulla crisi per evitare di dare ai ribelli «un segnale equivoco», secondo il ministro degli Esteri keniano Moses Wetangula. Parlando dalle postazioni conquistate in Kivu Nkunda, aria da professorino, accentuata da occhiali da vista con montatura leggera e modi all'apparenza delicati, almeno nei suoi rapporti, sempre ben curati, con la stampa, ha risposto: «È solo un vertice regionale. Non ha nessun impatto sulle nostre richieste», ovvero che Kinshasa tratti con lui da pari a pari. Una risposta che svela quale possa essere la tenuta di tali colloqui diplomatici e quale sia la reale posizione del Ruanda che è lo strategico alleato di Nkunda. La ripresa del conflitto nell'est della Rdc rischia di trasformarsi nel fiammifero in grado di innescare una nuova, esplosiva miccia in tutta la Regione dei Grandi Laghi. Lo ha ricordato ieri a Nairobi Ban ki-Moon, che ha affermato: «la comunità internazionale non può consentirlo». Come crederci se ha consentito, impotente e proprio nei Grandi Laghi, il genocidio in Ruanda, la guerra civile in Burundi, i cinque milioni di morti della guerra in Congo e persino gli ultimi massacri di stampo etnico durante le elezioni in Kenya. I contesti di sottosviluppo africano si prestano bene alla strumentalizzazione delle questioni etniche per interessi di potere.
«La popolazione viene massacrata e i caschi blu non fanno niente», ha infierito ieri contro la Monuc, il portavoce del presidente congolese Joseph Kabila a margine del vertice di Nairobi. Kinshasa grida forte e da tempo l'accusa al Ruanda di Kagame di appoggiare i massacri di Nkunda. Nel '94 i cattivi erano gli hutu, che massacravano i tutsi ruandesi. Ma la morale di questa guerra, come di tutte le guerre, non sono i buoni e i cattivi, hutu o tutsi, a seconda di quale round sia in corso. La morale della favola sta tutta nel controllo di quelle risorse che celano affari colossali su cui in troppi, compresi i partner internazionali dei contendenti africani, vogliono mettere le mani.
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