A 10 anni dal primo Crackdown Italiano
Quando nei primi anni ‘90 Internet era ancora uno strumento di nicchia, riservato esclusivamente alle comunità scientifiche, in Italia era capillarmente diffusa la cosiddetta telematica amatoriale, gestita da giovani volontari, amanti della sperimentazione informatica e della comunicazione. Questi pionieri della comunicazione elettronica aprivano, senza fini di lucro, Bulletin Board System (BBS), nodi telematici, collegati più o meno permanentemente ad una linea telefonica.
Mediante un modem ed un semplice programma di comunicazione, un qualsiasi privato poteva collegarsi ad una delle tante BBS esistenti, e, una volta registratosi, prelevare i files di pubblico dominio che il SysOp, l’operatore del sistema, metteva a disposizione sul proprio nodo.
La maggior parte delle BBS aderivano ad una o più Reti Telematiche, circuiti virtuali, descritti da nodelist, che consentivano, su ciascuna rete, un prezioso scambio di messaggi tra gli utenti finali. Diventava così possibile che un messaggio, scritto da un utente, su un qualsiasi nodo, venisse distribuito in una notte sull’intero territorio nazionale, grazie al sofisticato meccanismo automatico di chiamate notturne via modem, che permetteva lo scambio dati tra i nodi di una stessa rete, secondo un preciso modello gerarchico (nodi nazionali, regionali e locali).
I messaggi, organizzati per aree tematiche (conferenze echomail), erano fondamentalmente di due tipi: orientati al tecnico (software, sistemi operativi, modem, etc) o a discussioni più o meno impegnate (chat, cinema, musica, politica, etc).
Agli occhi di un moderno cyber-utente potrebbe apparire qualcosa di antico e rudimentale, ma era il germe, l’essenza di una comunicazione semplice e diretta, fatta da persone che scrivevano per il piacere di esserci, di comunicare, di conoscersi per quello che erano e non per quello che apparivano. Sicchè queste reti telematiche si trasformavano con enorme facilità in vere e proprie reti umane.
Di reti telematiche ve n’erano tante in Italia. La più importante, FidoNet, diffusa su scala mondiale ed il cui modello era clonato in varie nazioni, possedeva il grande merito di aver portato la telematica amatoriale in Italia, ma il grosso difetto di essersi spesso chiusa a riccio verso realtà che non aderissero ad una certa omologazione comportamentale, rispettosa di burocrazie e gerarchie a volte soffocanti
Paradossalmente fu proprio FidoNet, famosa per le sue rigide regole interne contro la pirateria informatica, la maggiore vittima del primo spaventoso CrackDown italiano.
Accadde infatti che l'11 maggio 1994 venissero emessi 173 mandati di perquisizione con avviso di garanzia e disposizione di sequestro di beni relativi, per un'operazione giudiziaria contro la pirateria e la frode informatica. L’incriminazione era quella di associazione per delinquere finalizzata alla diffusione di programmi per computer illegalmente copiati ed utilizzo fraudolento di chiavi d'accesso per entrare in elaboratori di pubblica utilità, in osservanza a recenti modificazioni legislative in merito ai reati di duplicazione illegale di software a fini di lucro e criminalità informatica (Leggi n. 518 del 29 dicembre 1992 e n. 547 del 23 dicembre 1993).
Un solerte procuratore della repubblica di Pesaro, tal Gaetano Savoldelli Pedrocchi, aveva condotto un’inchiesta, che individuava come indiziati, due duplicatori nonché commercianti abusivi di software. Il caso volle che questi pirati fossero anche utenti di BBS, motivo per il quale ai due era stata sequestrata la lista delle banche dati a cui erano soliti collegarsi: da tale lista, sulla base di collegamenti “apparsi illegali” e seguendo probabilmente le ramificazioni di qualche nodelist, il procuratore decise di ordinare alla GdF un gran numero di decreti di perquisizione, da eseguire su tutto il territorio nazionale: era partito il primo Italian Crackdown, che, a causa del coinvolgimento di molte BBS Fido, fu denominato Fidobust.
Lo stesso 11 maggio, la Guardia di Finanza di Torino, su istanza della locale Procura della Repubblica (P.M. Cesare Parodi), ordinò alcune perquisizioni, questa volta molto più precise e mirate, conclusesi con la segnalazione all'Autorità Giudiziaria di 14 responsabili di BBS pirata, alcune delle quali praticavano effettivamente un indecente mercimonio di software duplicato abusivamente.
Il danno materiale e morale, soprattutto a causa dell’indagine partita da Pesaro, fu incolmabile: i sequestri furono effettuati ovunque e con modalità differenti, a seconda del livello di impreparazione tecnica di chi aveva il compito di svolgere l'operazione. Il più delle volte furono sigillate tutte le apparecchiature elettroniche, dal computer fino alla stampante; molti SysOp furono privati delle macchine che utilizzavano anche per lavorare o studiare e qualche zelante esecutore arrivò in alcuni casi a sigillare i tappetini del mouse. Infine il panico fu totale per quelle famiglie nelle quali molti giovani SysOp ancora vivevano, adolescenti la cui unica colpa era stata quella di coltivare con passione il proprio hobby telematico.
La sensazione generale fu quella di un tentativo di gestire con la violenza della forza quel sistema di comunicazione che sfuggiva alla possibilità di un ferreo controllo: quando un SysOp raccontò che a casa sua i finanzieri si erano presentati per l’ispezione con un depliant della BSA (Business Software Alliance), una associazione nata da un accordo tra potenti multinazionali dell'informatica e della telecomunicazione, si capì subito chi fossero i reali mandanti di questa grossolana operazione, che solo col tempo dimostrò la sua totale imprecisione ed ingiustificata aggressività.
Il paradosso di tutta la vicenda fu che l’ondata di sequestri fece del tutto saltare un’inchiesta parallela, condotta dalla Criminalpol in collaborazione con persone della stessa FidoNet, consentendo a molte vere BBS pirata, nei giorni successivi al blitz, di cancellare con rapidità ogni possibile traccia della propria attività clandestina.
Il giocattolo si era purtroppo rotto: alcuni SysOp chiusero i propri sistemi, per paura di ulteriori ingiuste indagini, altri ridussero al minimo il proprio impegno. Quel periodo fu veramente angosciante: chi, come il sottoscritto, gestiva una BBS (Dark Globe), seguiva lo scandire dei giorni nella speranza di non ritrovarsi in casa, per il solo fatto di appartenere a qualche rete telematica, un manipolo di incompetenti, pronti a sequestrare tutto il possibile.
Personalmente decisi di rimanere, e lo feci con la forte convinzione che la comunicazione non poteva essere uccisa da un giudice inesperto; quel giudice non aveva alcun diritto di entrare nel mio privato, alla ricerca di presunti illeciti, brutalizzando in modo tanto rozzo e selvaggio i fortissimi legami di amicizia che avevo costruito col tempo, insieme a molte persone del mondo telematico. Quel legame era la prova concreta di quanto fosse vero che con la telematica era possibile superare la barriera comunicativa del chiudersi in sé e di esso devo ancor oggi ringraziare la rete PNet, che aveva alimentato in me la forte passione per la telematica amatoriale.
Ricordo che, nei primissimi giorni successivi all’ondata di sequestri, si collegò al mio sistema, fatto del tutto inusuale, Alfonso Martone, responsabile PNet. Mi chiamò frettolosamente in chat e con una domanda un po' ermetica mi scrisse: "Tutto a posto ?". "Si perchè?" - risposi - e lui di seguito "guarda che nell'area messaggi CyberPunk la tua BBS è comparsa in un elenco di quelle chiuse a seguito dell’ispezione della guardia di Finanza !" Feci un salto dalla sedia. Gli confermai che non avevo subito alcun sequestro e cercai di spulciare subito i messaggi della CyberPunk per capire cosa fosse stato scritto.
In quei giorni di angoscia il più efficace punto d’incontro e scambio di informazioni tra reti, su quanto stesse accadendo, era infatti l’area CyberPunk della CyberNet, rete telematica fondata da Andrea Sannucci, vicina ai centri sociali e distribuita in parte dalla stessa PNet, che le aveva offerto il supporto tecnico e la struttura iniziale per l’avvio: in quell’area (un tempo veicolata FidoNet, poi estromessa per la sua “pericolosità”, a seguito di indagini della Criminalpol) confluivano parecchie notizie provenienti da FidoNet, grazie ai SysOp di quella rete, che possedevano anche un point (nodo privato) in CyberNet (una deliberazione FidoNet, a seguito della suddetta estromissione, vietava infatti che nodi pubblici CyberNet potessero far parte della rete FidoNet).
Sannucci, prima con PNet e di seguito con CyberNet, aveva attuato fin dal ‘93 il primo tentativo di portare in rete tematiche legate alla comunicazione sociale, la solidarietà, i movimenti giovanili, le sperimentazioni multimediali o tematiche impegnate quali la cooperazione internazionale, il pacifismo, l’immigrazione e le problematiche sull’AIDS, gestendo oltretutto un meritorio collegamento permanente con la rete internazionale HivNet. E’ giusto a tal proposito ricordare la struggente storia di Massimiliano Fiorenzi, SysOp di Sidanet Information, malato di AIDS, il quale aveva deciso di utilizzare tutte le sue forze per allestire un nodo che avesse fatto da archivio informativo per tutte le notizie e gli articoli che fosse riuscito a raccogliere, relativi a quella terribile malattia. Fino ai suoi ultimi giorni di vita, Massimiliano proseguì la preziosa attività di archiviazione e catalogazione di materiale sull’AIDS: il nome di Fiorenzi rimase per sempre nella nodelist PNet, in sua memoria.
Erano questi i primi vagiti di una telematica che voleva crescere: qualcuno aveva intuito le enormi potenzialità offerte dallo strumento telematico e provava a calarlo in nuovi contesti, fino ad allora scarsamente esplorati.
Nello stesso periodo, parliamo di fine ‘92, era stato portato avanti un altro esperimento per certi versi più organico e meno anarchico: la rete PeaceLink. Sul modello dell’area messaggi peacelink, distribuita da FidoNet fin fal ‘91, Giovanni Pugliese, Marino Marinelli ed Alessandro Marescotti decisero di fondare una rete eco-pacifista, a cui avrebbero potuto aderire tutti coloro che si fossero riconosciuti nei valori del volontariato, della solidarietà e della pace. Il tentativo era quello di creare un ponte telematico che raccogliesse le voci del frammentario mondo dell’associazionismo pacifista italiano. Un altro obiettivo era quello di fare da cassa di risonanza per le denunce dei cittadini, che non trovavano spazio nei luoghi dell’informazione omologata dei media tradizionali: lo slogan che rappresentava questo intento era quello di “dare voce a chi non ha voce”.
Fu proprio Taras Communication di Giovanni Pugliese, nodo centrale della rete PeaceLink, che ormai contava circa 60 BBS sparse sull’intero territorio nazionale, l’oggetto del più ignobile sequestro che la storia della telematica italiana ricordi. Già nel mese di Maggio, a seguito del Crackdown, Giovanni Pugliese aveva ricevuto una serie di ingiurie e minacce telefoniche assolutamente inspiegabili.
Il 3 Giugno 1994, come ben racconta Carlo Gubitosa, il capitano Antonio Cazzato, della Guardia di Finanza di Taranto, inviava alla Procura della Repubblica di zona una richiesta di perquisizione della banca centrale della rete telematica PeaceLink.
La documentazione della Guardia di Finanza di Taranto, una sconcertante raccolta di ridicoli sospetti, basati sulla genericità ed imprecisione delle affermazioni di una “fonte affidabile” e l’assoluta mancanza di riscontri oggettivi, fu sufficiente a far scattare la perquisizione ai sensi dell'art.247 del C.P.P.: dell'inchiesta divenne titolare il Dott. Benedetto Masellis, pubblico ministero della Procura della Repubblica, presso la Pretura Circondariale. Il decreto di perquisizione fu immediato: la Procura, acquista alle 15.30 la richiesta, lo emise dopo solo un'ora ed il capitano Cazzato fece partire le auto dei suoi uomini per Statte. Alle ore 17, presso lo stabile di Giovanni Pugliese, iniziò una capillare perquisizione gestita da un gruppo di finanzieri in divisa ed armati. Una rapidità impressionante, che portò al sequestro di tutte le apparecchiature del nodo centrale di PeaceLink.
A Pugliese venne contestata un’inverosimile attività illecita di riproduzione e vendita, tramite costosi abbonamenti, di programmi per computer. Il 4 Giugno, pur non essendo stato rinvenuto dai finanzieri nulla che potesse far pensare ad un lucroso traffico di software duplicato, nel verbale di sequestro venne riportato che si intuiva “un utilizzo commerciale della banca dati Taras Communication”
Ricordo che, il giorno successivo al sequestro, ebbi modo di parlare a voce con Enrico Franceschetti, SysOp responsabile del nodo campano Henry 8th di PeaceLink, a cui afferiva la mia BBS. Enrico era un SysOp pacato e poco incline a facili dietrologismi, per di più avvocato civilista di professione: eppure in quella situazione convenimmo sul fatto che quel sequestro nascondesse finalità squisitamente politiche, pur non comprendendone la reale natura.
La chiusura del nodo centrale di Taras provocò il blocco di tutta la rete PeaceLink. Ma se l’intento era quello di chiudere la bocca alla rete, l’effetto fu nullo. Il 13 giugno Banana’s BBS, un nodo di Parma, gestito da Graziano Silvani, si offrì di sostituire Taras, ed in pochissimo tempo la rete cominiciò nuovament a funzionare.
Alla notizia del sequestro fioccarono numerose interrogazioni parlamentari e pervennero numerosi messaggi di solidarietà da parte di esponenti politici (tra cui va ricordato quello dell'europarlamentare Alex Langer) e della società civile, diretti a Pugliese ed alla rete PeaceLink, per la meritoria attività di informazione pacifista fino ad allora svolta.
Il 29 ottobre del ‘94, valendosi della preziosa collaborazione di Valerio Russo, che manteneva aperta una finestra sul mondo politico, Giovanni Pugliese organizzò a Roma, presso il salone ARCI, in via dei Mille, il primo convegno PeaceLink, presenti tra gli altri tutti i più importanti SysOp impegnati nell’ambito telematica sociale. Ho un bellissimo ricordo di quella giornata, nella quale Giovanni Pugliese, durante il proprio intervento, raccontò ad una platea di oltre 200 persone la sua paradossale vicenda.
In quell’occasione ed in successivi incontri, ebbi modo di conoscere da vicino Giovanni, e la sensazione fu quella di una persona di grande umanità, che, con PeaceLink, aveva creduto profondamente e col giusto senso pratico in quegli ideali di pacifismo e convivenza civile che erano i principi costitutivi del suo network.
Al convegno Di Blasi presentò una bozza di legge sulla tutela delle BBS, elaborata insieme a Pugliese, Marescotti ed Auer, nella quale si chiedeva tra l’altro la possibilità di registrare le BBS presso un albo; la necessità, in caso di sequestro, di investigazioni preventive a mezzo telematico; il divieto di sigillare gli strumenti informatici oggetto di una indagine, se indispensabili per attività lavorative; la necessità di far condurre indagini telematiche a personale qualificato; la concessione dell'accesso a conferenze echomail solo ad utenti identificabili, in modo che i SysOp non fossero responsabili del contenuto dei messaggi in transito sul proprio nodo; la tutela dell’anonimato; la possibilità dell’uso di messaggi crittografati tra utenti; la diffusione libera di versioni obsolete di software, protette da copyright ma non più reperibili nei normali punti di vendita. Molte di queste proposte anticipavano quelle che sarebbero state le tendenze legislative ed interpretative delle leggi, nell’ambito del diritto in rete.
Nella stessa giornata, intervenne al convegno Falco Accame, ex presidente della Commissione Difesa, il quale rivelò agli astanti che nella sala erano presenti agenti dei servizi di sicurezza: "Facciamo un applauso - esortò scherzoso - a questi fedeli servitori dello stato".
Qualcosa di nuovo stava effettivamente accadendo. Il 3 agosto 1994 “La Repubblica” aveva già riferito, in un articolo, della relazione semestrale sui servizi segreti, nella quale si affermava che "nelle reti informatiche mondiali transitano informazioni e disinformazioni capaci di inquinare l'opinione pubblica, di creare sfiducia e paura”.
Nei mesi successivi al sequestro l’inesauribile Pugliese riallestì il suo sistema, attivando oltretutto un gateway con Internet, che consentì di esportare le aree tematiche di PeaceLink sotto forma di mailing list: era il primo passo di una lontana ma progressiva transizione verso la rete delle reti.
A quei tempi molti SysOp speravamo che la telematica delle BBS potesse resistitere all’ondata Internet o che un giusto bilanciamento tra tecnologia Internet e tecnologia FidoNet evitasse di stravolgere più di tanto la telematica amatoriale. Ma quel primo piccolo passo verso Internet era un doloroso quanto lungimirante avvicinamento al futuro ed alla sopravvivenza tecnologica di PeaceLink: in fondo ciò che più contava non era lo strumento o la forma, ma il contenuto veicolato.
Il 6 ottobre di quell’anno accadde qualcosa che mise in preallarme i SysOp più attenti: la BBS Rozzano di Davide Valenti, appartenente al circuito EuroNet, riceveva una visita degli agenti della Digos e, nonostante il sistema fosse zeppo di software Copyright duplicato (ma per scopi nel seguito dichiarati, dal pretore milanese di competenza, “senza fini di lucro”), gli agenti si mostrarono fortemente interessati non a quel software, ma alle aree messaggi contenenti corrispondenza criptata in PGP, sulla base di una indagine per presunto traffico di codici d'accesso. Per la prima volta, in assenza di una precisa legge sulla privacy, si indagava nell’ambito della crittografia e della corrispondenza privata.
Il 28 febbraio dell’anno successivo, siamo ormai nel ’95, squadre dei Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale Anticrimine, posero sotto sequestro, nell’ambito di un’ispezione più ampia, il personal computer su cui girava BITs Against The Empire BBS, nodo telematico delle reti CyberNet e FidoNet. Ciò avveniva su mandato di perquisizione emesso dalla Procura della Repubblica di Rovereto, che ipotizzava il reato di “associazione con finalità di eversione dell'ordine democratico” (art. 270 bis CP). Il nodo conteneva una vasta documentazione relativa all'uso sociale delle nuove tecnologie, al circuito dei CSA (Centri Sociali Autogestiti italiani), alle autoproduzioni, nonché a centinaia di riviste elettroniche pubblicamente disponibili sulle reti telematiche di tutto il mondo: in 10 giorni, dietro istanza di dissequestro, tutto il materiale fu restituito ed il nodo poté riaprire.
Nel frattempo, a fine giugno, rete PeaceLink si trasformò da associazione di fatto ad associazione registrata, in modo da consentire una più facile tutela dei propri diritti.
Il 19 Settembre ’95, Banana’s BBS, nodo di Silvani che aveva meritoriamente sostituito Taras nel periodo del Crackdown, fu visitata da agenti della Digos: questi lo invitarono a dichiarare il proprio sistema presso la prefettura e lasciarono intendere che l’intera rete PeaceLink era soggetta ad un attento monitoraggio.
Del resto da un po’ circolavano con insistenza voci relative a schedature puntuali dei SysOp “più in vista”, appartenenti alle reti PeaceLink, CyberNet e PNet, sulla base di un filone di indagini parallelo che intendeva monitorare da un lato l’estremismo di stampo neo-nazista, dall’altro, nel caso delle reti sopra citate, i comportamenti dell’estremismo radicale di sinistra. Era ormai chiaro, come ebbe a scrivere nel seguito Alessandro Marescotti, che da tempo “agenti dell'antiterrorismo e dei servizi segreti tallonavano PeaceLink ed i loro attivisti, temendo che fosse un pericoloso centro di attività pacifista”. Questo tallonamento sembrava essersi perfino tradotto nel tentativo di introdurre informatori all’interno della rete, nella speranza che si potessero ricavare interessanti informazioni riservate, funzionali a quei filoni di indagine.
Non v’era ormai dubbio che il sequestro di Taras ed i controlli della rete erano stati un malcelato tentativo di zittire uno strumento di libertà, nell’incapacità di comprenderne fino in fondo la natura e nel sospetto che fosse il volano di attività di pericoloso antagonismo sociale.
Il 19 dicembre 1995, il Centro Sociale Leoncavallo di Milano denunciò un atto di "polizia giudiziaria" che, con un raid avvenuto alle 6.30 di mattina, da parete di “un ingente contingente di polizia e carabinieri mascherati”, provocò la totale devastazione del centro stesso, in esecuzione di due procedimenti giudiziari: “il primo riguardava il sequestro delle strutture per l'allestimento di concerti all'interno del centro ed il secondo perquisizioni ed arresti cautelari per sostanze stupefacenti.”. Oltre alle consuete operazioni di perquisizione e sequestro delle strutture, furono compiute “gravi e violente azioni” nei confronti di militanti del Leoncavallo e delle strutture non soggette a sequestro. Durante queste azioni vandaliche, particolare ferocia venne esercitata all'interno della sede del collettivo ECN (European Counter Network), che si occupava di comunicazione telematica e della gestione della BBS del Leoncavallo, e che, in quel periodo, stava lavorando per connettere ad Internet i centri sociali. Una decina di computer, rimessi a nuovo o acquistati negli ultimi due anni, “furono distrutti, i video sfondati e imbrattati di vernice, gli chassis delle macchine presi a calci o coperti di orina, le tastiere bloccate dal silicone”.
A metà dicembre del ’95 il computer che gestiva a Taranto il nodo centrale di PeaceLink subì un disastroso crash, che bloccò la rete per alcuni giorni. L’attività riprese per un paio di settimane finchè Giovanni Pugliese non ebbe modo di contattarmi, per chiedere se fossi stato disponibile a spostare a Napoli il nodo centrale della rete. In quelle settimane Giovanni aveva impegnato tutte le sue energie in una campagna di ricerca di aiuti su Internet, nel tentativo di salvare la vita al piccolo Gian Marco, bambino affetto da una rara e devastante forma di leucodistrofia (avrei avuto occasione di provare un brivido sulla schiena, nel vedere Gian Marco dal vivo in occasione del secondo convegno PeaceLink, tenutosi a Statte a fine Ottobre del successivo anno).
Quel terribile guasto del computer di Taras, insieme alle inevitabili ripercussioni di una logorante attesa per l’esito delle indagini del sequestro ed all’impegno profuso per Gianmarco, lo avevano spossato, impedendogli di portare avanti con continuità la gestione tecnica della rete.
Alla richiesta di Giovanni non potei rispondere di sì, in quanto sul mio nodo non v’erano slot temporali sufficienti per consentire ai nodi regionali di PeaceLink lo scambio della posta. Ebbi però la fortuna di contattare un altro SysOp napoletano, Davide Pagnozzi di Editel BBS, che offrì piena e generosa disponibilità purchè, mi disse, “vieni a casa mia e configuri tutto tu, perché io ho iniziato da poco e non sarei in grado di portare avanti questa cosa da solo”. Con Davide fu fatto un lavoraccio incredibile, anche per recuperare tutti i nodi regionali ignari del nuovo cambio. Ma ancora una volta, il 7 gennaio del ‘96, PeaceLink era in vita: Davide avrebbe gestito, tramite EdiTel, la messaggistica tradizionale ed io mi sarei occupato del gateway con Internet. Da allora in poi PeaceLink sarebbe rimasta stabilmente a Napoli, prima con la gestione centrale della posta, ancor oggi con il server Internet dedicato ad Alex Langer.
Il colpo di grazia rete PeaceLink lo subì però il 26 febbraio del ‘96, quando a Giovanni Pugliese fu notificato un assurdo decreto di condanna penale per i fatti del sequestro e senza alcun dibattimento, perché il reato era "perseguibile d'ufficio". Un poco competente “perito fonico”, dopo ore ed ore di analisi del contenuto dell’Hard Disk del computer di Pugliese, aveva alla fine rilevato la presenza di un Word senza licenza d’uso, tra l’altro preinstallato e dunque neppure duplicabile o diffondibile per via telematica. Era crollato il castello di menzogne su cui era stato costruito il movente del sequestro della BBS di Giovanni, eppure veniva emessa una condanna di 3 mesi di reclusione più il pagamento di una multa di 500 mila lire e delle spese processuali. Fu un insulto verso l’impegno sociale di PeaceLink: “chi osava denunciare per il bene comune, malefatte e quant'altro di negativo vi potesse essere nel nostro paese, sapeva ora bene a cosa andava incontro”.
Giovanni Pugliese presentò immediatamente appello, sia perché era mancato il dibattimento, sia perché la copia ad uso personale di un programma destinato alle attività di una associazione di volontariato era cosa ben diversa dal commercio a fini di lucro.
L’ultima dura spallata alla telematica amatoriale arrivò nel maggio del ‘97. Questa volta si apriva un nuovo filone, che sarebbe stato, negli anni successivi, motivo di rilancio per le attività della Polizia Postale: la pornografia minorile. Qualche avvisaglia c’era già stata il mese di aprile, quando un SysOp, che consideravo persona di una gentilezza quasi mortificante, mi contattò lasciandomi intendere che era stato sottoposto ad una indagine per pedofilia, pregandomi però di non divulgare la notizia. Ebbene, l’8 maggio fu inesorabilmente confermato quel filone d’indagine: 18 nodi, tra cui alcuni critici per la rete FidoNet, furono chiusi. Dopo qualche mese, l’istruttoria, che aveva impegnato gli agenti della Polizia Postale dal Nord al Sud dell'ltalia, si tramutò nell’ennesima bolla di sapone. Peccato che quell’indagine ed i titoli vergognosamente scandalistici dei giornali, così come era avvenuto durante il primo Crackdown, avevano già rovinato la reputazione degli indagati, gettando su di loro il marchio dell’infamia e del sospetto.
In quell’occasione finalmente FidoNet si rese disponibile ad aprire un’area tematica dedicata ai problemi telematici ed al coordinamento tra operatori di diversi network. Purtroppo era un po’ tardi: l’Internet di massa era alle porte e molti SysOp FidoNet, in seguito a quell’ennesimo incidente, chiusero per sempre le loro BBS.
Il seguito è la storia di una lenta agonia, che vide la telematica amatoriale consumarsi progressivamete nel tempo, o convertirsi, migrare ed il più delle volte disperdersi su Internet; questa storia ebbe il suo punto di non ritorno nel 2000, anno in cui la telematica amatoriale delle BBS poteva considerarsi pressocchè scomparsa.
Oggi che la tecnologia lo permette, tutto è diventato più semplice. Per aprire una mailing list o allestire una pagina web bastano cinque minuti; eppure molti legami di quel tempo si sono dispersi nel nulla, tra il narcisimo telematico di un blogger o la incomunicabilità verbale di un newsgroup. Solo certe comunità virtuali, che in quegli anni avevano ben seminato, resistendo alle cannonate dei crackdown e maturando esperienza nella palestra delle BBS, conservano ancora il proprio spazio ed il proprio ruolo, dimostrando nei fatti una sorprendente vitalità e la giustezza di certe scelte iniziali.
Epilogo. La sentenza di assoluzione definitiva per Giovanni Pugliese arrivò solo il 21 gennaio 2000: l'Associazione PeaceLink e tutta la telematica pacifista italiana poterono celebrare l'assoluzione con formula piena, attesa per sei lunghi anni. Vicende recenti dimostrano però quanto le voci libere della telematica di volontariato diano ancora molto fastidio e quanto sia ancora forte la volontà di zittirle.
Vittorio Moccia
Associazione PeaceLink
Fonti:
- Aree messaggi delle reti CyberNet, MultiNet, PeaceLink, PNet
- PeaceLink CrackDown: "SEQUESTRATE QUELLA BANCA DATI!" I fatti e i retroscena di un caso scottante - 20 febbraio 2001, Carlo Gubitosa
- Assolto Giovanni Pugliese, fondatore dell'Associazione PeaceLink, 21 gennaio 2000 - Carlo Gubitosa
Articoli correlati
Chi ricorda il crackdown italiano?
A dieci anni da quell'infausto "Italian Crackdown", il file sharing sulle fibre ottiche ha sostituito la messaggistica dei modem a 300 baud. Quello che non cambia, purtroppo, è l'approccio culturale e politico alla comunicazione elettronica, oggi come ieri sempre più criminalizzata e imprigionata da lobbies che scrivono leggi "su misura"21 giugno 2004 - Carlo Gubitosa
Sociale.network