Il "sistema dei sistemi" che piace al governo Monti: il paradigma F-35
Nel 2004, quando Mario Monti era Commissario europeo per la Concorrenza e Giampaolo Di Paola Capo di Stato Maggiore della Difesa, l’allora Ministro della Difesa Antonio Martino riprendeva un discorso fatto da Monti a proposito del progetto d’Europa che si voleva costruire, e il ruolo dell’Italia in quel processo. La costruzione di una Comune Politica Europea di Sicurezza e Difesa rappresentava la nuova sfida dopo il raggiungimento del traguardo dell’unione monetaria. In quel periodo la deregulation e la sete di guadagno modellavano il panorama industriale dei mercati militari.
Negli USA il Dipartimento della Difesa incrementava vertiginosamente il budget della difesa a seguito degli attentati dell’11 settembre 2011.
L’Europa nel 2004 creò l’Agenzia europea di difesa con lo scopo di favorire la realizzazione di un mercato europeo concorrenziale per gli armamenti.
Tuttavia la frammentazione nazionale e il mancato coordinamento della domanda non ha dato gli esiti sperati, al programma Eurofighter (sviluppato dal consorzio a guida Eads, Bae Systems ed Finmeccanica/AleniaAermacchi), si sono affiancati concorrenti significativi come lo svedese Gripen della Saab, e il Rafale della francese Dassault Aviation. Il programma F-35 si inserisce in questo quadro competitivo attribuendo agli Stati Uniti una posizione centrale.
Nell’attuale governo Italiano Mario Monti è Presidente del Consiglio e Giampaolo Di Paola Ministro della Difesa (che nel frattempo ha ricoperto l’incarico di presidente del comitato militare della Nato).
La loro azione si è subito caratterizzata per l’attribuzione di una forte centralità per l’Italia del ruolo della Nato, il rafforzamento dell’alleanza con gli Stati Uniti e lo sforzo per una ridefinizione dei rapporti transatlantici in chiave finanziaria e di sicurezza a livello europeo.
Convinti che sia strategico per gli europei coordinare le politiche industriali e della difesa, vorrebbero unificare la politica della difesa con quella economica per integrala in un mercato USA-UE.
Alla luce di queste considerazioni si comprende meglio perché durante le audizioni parlamentari, il Ministro della Difesa abbia voluto con forza confermare la decisione di continuare la partecipazione al programma F-35.
Il caccia statunitense F-35 è il simbolo e lo strumento di una riaffermazione del dominio americano nella cooperazione in materia di armamento.
La necessità di razionalizzare e riorganizzare lo strumento militare, conservando la partecipazione italiana al programma, dovrebbe convincere quella parte di deputati e senatori finora critici della bontà di questa scelta.
In generale si è verificato un “pressing” della sfera militare su quella politica rendendosi disponibile a spiegare la necessità e il valore qualitativo del velivolo. L’obiettivo è l’attivazione del ruolo solitamente passivo dei parlamentari, finora fruitori di limitate informazioni, utilizzati nel processo decisionale solo al fine di ottenere le approvazioni necessarie, per renderli pienamente partecipi al nuovo Modello di Difesa. In realtà i veri protagonisti della sfida politica e industriale legata all’F-35, sono state le Forze armate, il Ministero della Difesa e le grandi industrie.
Solo il movimento pacifista e antimilitarista, in tutte le sue articolazioni, ha condotto una battaglia di verità sul progetto F-35 utilizzando anche i documenti provenienti prevalentemente dal Dipartimento della Difesa statunitense (da questo punto di vista più trasparente). Ha elaborato una analisi critica di un Modello di Difesa che continua ad essere sganciato dalla realtà del Paese.
Ha usato un approccio metodologico ai parametri finanziari (cioè le risorse economiche e condizioni sociali) e politici, denunciando l’ideologia sottostante la strategia della cosiddetta esportazione della democrazia.
La discussione sull’evoluzione del nuovo concetto strategico della NATO, fatto proprio dai Paesi alleati, viene relegata in ambiti ristretti a loro volta contraddetti dalla realtà delle forze armate e da quella politica.
Realtà compromessa dalle frequenti situazioni particolari determinate dal livello di corruzione delle strutture decisionali ed esecutive.
In questo contesto gli strumenti militari vengono sviluppati in assenza di limpidità nei bilanci militari, al di là dei limiti dell’utilità militare, e orientando e inducendo lo Stato a tagliare le spese sociali.
Le dichiarazioni del Ministro della Difesa, generali ed esperti, che a turno nella Commissione Difesa del Senato e della Camera in questi mesi hanno illustrato lo stato del programma F-35, appaiono in linea con quella politica dell’informazione militare che omette tutta una serie di dati pubblicati soprattutto dal Dipartimento della Difesa USA, considerando segreto anche ciò che non è.
Del segreto.
Lo sviluppo caotico e costoso di questo programma, osannato dai paladini della tecnologia avanzata e computerizza, ha subito una quantità di attacchi informatici tali da diventare un caso di Cyber Theft.
I furti informatici hanno colpito il software dell’F-35 scritto per garantire un dominio elettronico dello spazio di battaglia.
La complessità tecnologica di questo sistema di guerra dovrebbe attuare il concetto di Network Centrik Warfare, il Sistema dei Sistemi che affida alle forze aeree un ruolo determinante, attraverso un cervello centrale (Integrated Core Processor) che integra tutti i sistemi elettronici da mostrare al pilota.
La tecnologia internet ha mostrato l’altra faccia della medaglia, poichè si possono subire furti informatici riguardanti non solo la proprietà del capitale intellettuale, ma l’operabilità stessa di un sistema che si affida a sofisticate tecnologie. La stessa tecnologia stealth, che non è solo trattamenti superficiali di copertura e forma del velivolo, ma segnali mandati dall’aereo ai radar nemici, può essere fortemente compromessa.
Della necessità
L’enfasi strumentale messa in atto dai sostenitori del programma, si manifesta in tutte le audizioni parlamentari, fra le tante quella svolta in Commissione Difesa dal Presidente del Centro Studi Internazionali (Ce.S.I.), Andrea Margelletti. In tale sede si è presentato lo studio “F35 e Eurofighter Typhoon: in Italia gli aerei militari di nuova generazione”, secondo cui l’Italia si doterà nei prossimi anni dei prodotti migliori dell’industria italiana e internazionale degli ultimi anni. Eurofighter Typhoon e F-35 Jsf sono pertanto indispensabili sia per rinnovare i mezzi dell’Aeronautica e della Marina, sia per consentire al nostro paese di soddisfare le proprie ambizioni in campo internazionale e di autodifesa.
Del modello di sviluppo
Sarebbe più proficuo chiedersi se il modello di sviluppo americano, che si fonda sul ruolo chiave assunto dalla tecnologia militare (in senso duale), sia il migliore per risolvere la crisi industriale che investe il paese Italia.
Negli gli USA il contributo pubblico dato all’industria della difesa ha di fatto impoverito le capacità produttive, aumentato il deficit del bilancio federale e centralizzato il potere decisionale nelle mani di manager privati e statali.
Della bontà
In altre occasioni si è detto che questo prodotto dovrebbe consentire la continuità occupazionale tra gli 11.000 addetti impegnati sull’Eurofighter e i 10.000 dell’F-35, e assicurare un salto di qualità tecnologica e quindi di competitività futura per le aziende coinvolte.
L’Italia ha partecipato al programma F-35 anche grazie ai finanziamenti ottenuti tramite la legge 808/85 che il Ministro dello Sviluppo Economico e della Difesa eroga alle industrie aerospaziali (dal 2013 risorse solo per attività che garantiranno occupazione e sviluppo), e al depotenziamento del programma Eurofighter.
Il progetto EFA si è caratterizzato per il coinvolgimento diretto sia dei governi sia delle imprese leader, e per la gestione affidata ad una agenzia costituita in seno alla NATO (The NATO Eurofighter & Tornado Management Agency)). E’ questa agenzia a garantire l’integrazione dei requisiti tecnologici richiesti dalle Forze Armate.
L’organizzazione industriale, che prevede una correlazione tra contributo finanziario erogato e quota di lavoro assegnato al ciascun partner (giusto ritorno), garantisce l’accesso alle tecnologie militari e una indipendenza operativa. Ogni paese dispone di una linea di assemblaggio e un centro di prove in volo.
Dell’accesso
Il programma F-35 si fonda invece su un approccio bilaterale in ciascuna fase del programma: lo status di partner viene definito tramite trattative intergovernative tra gli Stati Uniti e i singoli paesi aderenti.
Non esiste quindi una partnership paritetica ma, attraverso il principio “value for money”, è Lockheed Martin che decide la divisione del lavoro tra i partecipanti al programma. Questa procedura di competizione implica che i produttori debbano partecipare in condizione di parità, e la scelta dell’offerta più vantaggiosa avviene tramite criteri di basso costo, competenza tecnica e capacità di gestione del programma.
In questa relazione asimmetrica gli Stati Uniti si garantiscono un accesso alle migliori tecnologie e know-how europei, limitando di contro il trasferimento delle tecnologie chiave sviluppate negli stabilimenti americani.
La partecipazione di aziende quali la Bae Systems o Alenia piuttosto che la Fokker Aerostructures, consente agli USA di disporre di competenze specialistiche di nicchia senza doverle sviluppare autonomamente (convenienza economica). In più si aggiunge una convenienza finanziaria per la sostenibilità dei costi e una garanzia nel mercato dei velivoli da combattimento.
Del trasferimento produttivo e tecnologico
Il trasferimento di tecnologia e di informazioni viene tenuto sotto stretto controllo di un ufficio particolare, quelle sensibili sono precluse per via del National Disclosure Policy, quelle classificate e non, sono rese accessibili secondo lo status ottenuto nel programma.
A fronte dei 2 miliardi e mezzo di euro già spesi dall’Italia, è dal 2004 (vedere i resoconti stenografici della Commissione Difesa) che generali della Difesa rispondono alle domande di politici ripetendo le stesse informazioni e gli stessi dati, tranne poi ridimensionare fortemente quello occupazionale e aumentare quello del costo del programma.
Sostanzialmente cosa si afferma?
- che la cooperazione transatlantica nella difesa è una opportunità per l’Italia.
- che si dovrebbe registrare un trasferimento di tecnologie innovative verso l’industria della difesa e conseguentemente ottenere ricadute positive sulla
competitività del tessuto industriale nazionale.
Vediamo invece come l’accesso ad un sistema specialistico sia sempre più connotato da una distribuzione disomogenea a danno dei partner del programma.
Nel 2004 il generale Giuseppe Bernardis dichiarava: “Quello che stiamo valutando, anche al fine di supportare l'industria nazionale, è la possibilità che l'Italia si occupi anche della parte Stealth - la quale, certamente, non potrà essere affidata ad una industria qualsiasi -; i trattamenti, in tal caso, potrebbero essere effettuati all'interno di un apprestamento governativo, nella fattispecie un centro di manutenzione nazionale, dove l'industria italiana in concorso con il Ministero della difesa si facciano carico del controllo relativo all'applicazione di questa tecnologia. La discussione in proposito è tuttora in atto, sebbene esista già un via libera dell'industria americana sul punto. Non è stato invece ancora acquisito il nulla osta del governo americano, correlato alla conclusione degli appositi accordi con la parte industriale”.
Nel 2007 il Sottosegretario alla Difesa Forcieri asseriva “gli Stati Uniti, in cambio della partecipazione degli altri paesi, forniscono un'apertura tecnologica senza precedenti”.
Tuttavia il Department of Defense e il GAO (Government Accountability Office), in più rapporti hanno scritto che gli accordi di cooperazione permettono un “accesso tecnico alle migliori tecnologie dei partner esteri”.
Tutte le aziende italiane coinvolte nel progetto dalla Alenia Aermacchi alla Avio e Piaggio, dalla Galileo alla Selex, Aerea, Vitrociset e poche altre, sono aziende con un know-how riconosciuto internazionalmente.
Nel febbraio 2012, il segretario generale della Difesa, Claudio Debertolis ha affermato che “un contributo al trasferimento di conoscenza e stimolo all’innovazione di processo è la distribuzione del personale italiano dell’industria presente negli Stati Uniti in diverse aree del programma F-35, cosa che permette la maturazione di una conoscenza diffusa del programma”.
Per quanto riguarda invece le innovazioni di prodotto, continua, “occorre fare una premessa. La gestione dei componenti dell’F-35 è sottoposta allo stesso grado di segretezza di altri programmi come l’F-22. Inoltre, essendo le tecnologie destinate anche al mercato estero, sono costruite in modo da non poter essere copiate: o perché anche analizzate non rivelano tutti i loro segreti,come la vernice per la bassa osservabilità, o perché non è possibile aprirli senza distruggerli, come alcuni codici software o componenti hardware”.
Sottolinea ancora “anche se è vero che gli Stati Uniti non vogliono condividere con i partner del programma F-35 gli algoritmi alla base del proprio sistema di guerra elettronica, in realtà i maggiori paesi utilizzano dei propri algoritmi costruiti negli anni alla luce dell’esperienza maturata e del contesto strategico nazionale”.
Debertolis, come aveva fatto precedentemente il generale Bernardis, trascura il fatto che il nocciolo della tecnologia stealth sta nei segnali emessi dal velivolo, e che è l’integrazione dei sensori e l’elaborazione dei delle informazioni coerenti che rendono questo velivolo un caccia di quinta generazione. Ma allora l’Italia quale versione del velivolo sta comprando? Esiste una versione nazionale, tecnologicamente meno rilevante?
L’ inaccessibilità ai codici è una affermazione smentita dai funzionari della stessa Lockheed, che hanno ammesso di aver subito intrusioni a attacchi con virus nella catena informatica, quella che permette di collegare il grande numero di subappaltatori. Conseguentemente i tecnici hanno dovuto correggere il software allungando i tempi e aumentando enormemente i costi della fase di sviluppo e produzione.
Del centro FACO
Ciò che effettivamente si è riusciti ad ottenere,grazie all’accordo con l’Olanda che ripartisce tra i due paesi gli aspetti della manutenzione dei velivoli F-35, è l’istallazione nell’aeroporto militare di Cameri di un centro europeo capace di compiere l’assemblaggio finale, la manutenzione e la riparazione.
“Da circa vent'anni l'Aeronautica militare ha iniziato un percorso virtuoso, per cui il reparto manutenzione è in grado di eseguire lavorazioni industriali a livello dell'Alenia. Su questo stabilimento bisognerà discutere con l'industria un costo industriale gestito dall'amministrazione. In merito a ciò interviene il nostro nuovo ruolo imposto dal Segretario generale: noi partecipiamo con l'industria, siamo nelle trattative industriali proprio per questo scopo. Questa è la concretizzazione di tale principio. La fabbrica che stiamo costruendo dovrebbe essere pronta per il 2014 e partire con questa lavorazione per agganciarsi alla produzione prevista dal 2016 in poi. Una qualsiasi base militare di media grandezza costa circa 100 milioni di euro all'anno per la sua gestione. In questa installazione stanno confluendo le capacità tecnologiche manutentive dell'Aeronautica per i prossimi quarant'anni”.
Questa dichiarazione effettuata da uno dei generali presenti fa intuire che vi sia stata una discussione fra sfera militare e industriale. Se l’Italia più che un subappaltatore è stata trattata come un dipendente di sottordine, quale autonomia operativa ha l’industria italiana Italia, e quale rapporto si è instaurato fra militari e industria?
“È vero che i documenti ufficiali indicano che l'Alenia è la second source - e, quindi, la Lockheed Martin effettua le lavorazioni e poi dà all'Alenia l'eccesso delle lavorazioni stesse o quanto è previsto per contratto - tuttavia l'Alenia deve essere competitiva, non può lavorare a costi superiori alla Lockheed Martin”.
Vale la spesa di 800 milioni di euro un nuovo stabilimento per un velivolo militare di cui non si conosce il volume produttivo e serve solo per sganciare bombe?
Del processo di produzione
E’ altresì incomprensibile esaltare l’attività che personale di Alenia dovrà effettuare utilizzando “la vernice speciale che contribuisce alla bassa osservabilità ai radar dell’F-35 per la verniciatura dei velivoli nel centro Faco di Cameri. Il fatto che i tecnici italiani lavoreranno all’opera di verniciatura, a stretto contatto con gli ingegneri americani, permette l’acquisizione di un know how che renderà Alenia l’unica industria europea in grado di lavorare su questa specifica tecnologia, sempre più importante in campo militare non solo nel settore aeronautico”.
Curiosamente nell’intervento successivo il generale Domenico Esposito contraddice questa affermazione: “Si prevede, infatti, una sezione separata all’interno della struttura che si occuperà del controllo della “stealthness”, allestita dal prime contractor americano e riservata esclusivamente al personale statunitense”.
Le pellicole che rendono stealth una superficie sono molto costose e si deteriorano facilmente, ma, a parte che sappiamo che la peculiarità di questa tecnologia nell’F-35 non sta tanto nel trattamento superficiale di verniciatura e nella forma del velivolo, ma nei sensori (particolare che viene sempre dimenticato), a Fort Worth questa lavorazione (nociva) è stata robotizzata con un sistema chiamato Robotic Aircraft Finishing System (RAFS). (vedere “Precision Robotic Coating Application and Thickness Control Optimization for F-35, autori Neal A. Seegmiller - Lockheed Martin Aeronautics Co., Jonathan A. Bailiff - Lockheed Martin Aeronautics Co., Ron K. Franks - Lockheed Martin Aeronautics Co.).
Rispunta la domanda circa una versione diversa e nazionale dell’F-35 (che rinvia alla possibilità di integrare armamenti europei e non americani), ed ancora e anche che vi sia un processo produttivo differente.
L’altro fattore innovatore di processo (dopo la tecnologia stealth) consisterebbe nella lavorazione dei materiali compositi, si dice che “nell’ambito della costruzione delle ali, Alenia Aeronautica utilizzerà una nuova tecnologia di “Fiber Placement” mediante l’istallazione, già avvenuta, di speciali macchine per la posa in opera delle fibre per la produzione di parti in composito”. Tale tecnologia, già utilizzata per la produzione di importanti parti di fusoliera del B787, verrà usata anche per l’F-35, ma con un elevato numero di fibre molto più sottili da stendere per creare il materiale composito.
In Alenia, quando ancora si chiamava Aeritalia, l’utilizzo dei materiali compositi non è una novità, risale almeno agli inizi degli anni’80 (importante è stata la ricerca raccolta nell’opuscolo “Clean Room – Stanze pulite? Ricerca del Comitato ambiente del Cdf Aeritalia-FML sulle resine epossidiche bifunzionali adottate nelle nuove tecnologie Aeronautiche).
Sebbene il suo processo lavorativo si sia innovato, è un dato confermato dallo stesso Debertolis, che è stato un velivolo civile a promuoverne l’investimento.
Rispetto all’affermazione inerente le ali dell’F-35 “in Italia non si lavora il titanio” e l’annuncio che “la OMA di Foligno ha già alcuni contratti, è già qualificata per tutte le lavorazioni al titanio, ha 26 procedure su 28 prodotte a sue spese, ha investito 5 milioni di euro, sta realizzando un nuovo stabilimento e sta assumendo personale. Per le lavorazioni in titanio c'è una ditta milanese che investirà, nei prossimi tre anni, 20 milioni di euro per entrare in questo business”, si può tranquillamente smentirla visto che la Titanium International Group (associata AIAD, Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza) fornisce da anni titanio alla Agusta Westland, Alenia Aeronautica e Aermacchi.
La convinzione che la tecnologia militare sia foriera di uno sviluppo competitivo dei sistemi territoriali, tramite il trasferimento tecnologico alle produzioni civili, mostra anche in questo caso tutte le sue difficoltà e perplessità.
Le parole del Direttore generale degli armamenti aeronautici, Domenico Esposito, ne sono una conferma: ”Ragionando sulle ipotesi di spin off, alcune delle innovazioni e delle messe a punto delle tecniche portate dal programma F-35 potranno essere sicuramente riutilizzabili in ambito aeronautico e spaziale, in particolare nel settore avionico ed in quello dei vettori guidati da terra. In alcuni casi non si intravedono al momento ricadute immediate, anche se non è escluso che in futuro le nuove tecnologie potranno essere utilizzate per ulteriori applicazioni.
Per quanto riguarda lo spill over delle innovazioni in campo civile ed
in settori non aeronautici, l’esperienza degli scorsi decenni insegna che lo
sviluppo di nuove tecnologie in campo aeronautico ha alla fine ricadute
positive in molteplici settori industriali in termini di qualità, prestazioni, affidabilità, manutenibilità. Ma il principale generatore effettivo di possibilità di spin off e di spill over nel programma F-35 sarà probabilmente il centro Faco di Cameri, nel quale opereranno Alenia Aeronautica e anche altre imprese italiane per la Operational Maintenance (OM)”.
Conclusioni
Il programma F-35 è stato pubblicizzato come creatore di forti quantità di posti di lavoro e grandi entrate economiche. La realtà è molto diversa.
Nel 2008 (ma già si raccontavano le stesse cose nel 2004)si informava il Parlamento che il programma coinvolgeva 12 regioni, circa 40 siti industriali e la creazione di 10.000 posti lavoro. Per quanto riguarda il ritorno industriale si favoleggiava un ritorno del 100% rispetto alla cifra spesa di 1.028 milioni di dollari. In realtà erano stati ottenuti contratti per 191 milioni di dollari e solo impegni per altri 827 milioni di dollari.
Oggi, all'inizio del 2012, “sono già stati appaltati in Italia lavori per 539 milioni di dollari, di cui 222 milioni di dollari solo nel 2011”.
La conclusione di tutti gli uomini appartenenti alla sfera militare (ma anche di agguerriti politici)è che “mantenendo il nostro impegno nel programma, queste aree di lavoro, a fondo corsa, porteranno una stima di circa 14 miliardi di dollari di lavoro in Italia, a fronte dell'impegno che ci siamo presi”.
L’F-35 è così diventato il programma dalle promesse plurimilionarie, miliardi di entrate e migliaia di posti di lavoro.
Per ora ha contribuito ad aumentare il debito pubblico insieme alle altre spese militari e non ha contribuito ad occupare un posto di lavoro in più, al netto della messa in mobilità di centinaia e centinaia di lavoratori di queste aziende.
Finale
Benvenuti al Centro per gli Studi Strategici e Internazionali.
Intervento su “ The Acquisition Implications of the DOD Strategic Guidance
And the FY 2013 Budget” di Frank Kendall, Acting Undersecretary of Defense, AT&L.
-Se si pensa al F-22 e al Future Combat Systems e alcuni degli altri programmi, abbiamo fatto bene a tagliarli perché troppo costosi.
-Mettere l’ F-35 in produzione anni prima del primo volo di prova non doveva essere fatto, ok?
-Ma lo abbiamo fatto, ok?
-L’F-35 è un esempio di ciò che non si dovrebbe fare
-E ora stiamo pagando il prezzo degli sbagli fatti, ok?
E’ un prezzo che dobbiamo pagare tutti noi che non l’abbiamo voluto e non vogliamo?
- Nel 2002: F-35 costo per ora di volo: US $ 9,145
- Nel 2005: F-35 costo per ora di volo: US $ 9,737
- Nel 2010: F-35 costo per ora di volo: US $ 16,425
- Dati più recenti (US GAO 12-340): F-35 costo per ora di volo: US $ 23,557
- F-35: costano 2 volte più per ora di volo rispetto agli attuali F-16.
- Giuramento di Lockheed: F-35 costa meno dell’ F-16.
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