L'Italia al centro del "business" delle acque minerali
In questo business l'Italia ha le sue peculiarità. Nel nostro paese, infatti, nessuna legge vieta di imbottigliare l'acqua del rubinetto, basta sapersi organizzare. Per ora questa truffa legalizzata è limitata, si ritiene infatti che non raggiunga ancora il 4% della produzione totale di acqua minerale. Vale a dire un fatturato prevedibile in circa 200 milioni di euro. Ma il fenomeno potrebbe crescere data la tendenza generalizzata a privatizzare gli acquedotti pubblici.
A ricordare questo scandalo legalizzato ci hanno pensato in questi giorni gli studiosi dell'Ares 2000 (Altra ricerca e solidarietà) pubblicando un rapporto che ha il pregio di mettere insieme quanto è stato denunciato negli ultimi anni.
Il Belpaese è ricchissimo di fonti, tuttavia, secondo una ricerca Istat del 2000 vi era stata rilevata una grave irregolarità nell'erogazione nel 24% della popolazione del Molise, nel 30% in Sicilia e addirittura nel 45% in Calabria. In queste ultime regioni, soprattutto a causa più che della siccità, del cattivo sfruttamento delle falde e delle condotte colabrodo, l'acqua è diventata oggetto di ricatto da parte della criminalità organizzata e di sfruttamento da parte delle grosse multinazionali.
D'altra parte come va denunciando da qualche anno Riccardo Petrella, tra i fondatori dell'Università dei beni comuni, nonché presidente del Comitato italiano del "Contratto mondiale sull'acqua": la mercificazione di una risorsa primaria della terra rappresenta uno dei mali più grossi e insidiosi per l'umanità. L'Italia è un esempio eclatante di intrecci tra affari leciti e illeciti, con i suoi anni neri. Nel 2003 una serie di inchieste di cui era titolare il procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello, riscontrano la presenta di idrocarburi al benzene in quantità 10 volte superiore alla media, tra le quali la "Guizza". Alcune delle fonti, come la "Fiuggi", vennero chiuse. In questo clima di paura, il ministro della sanità Girolamo Sirchia, nel tentativo di salvare il mercato, in piene festività natalizie, vara (il 29 dicembre) un decreto che innalza la soglia di tolleranza per molti degli inquinanti trovati nelle minerali (tra i quali tensioattivi, oli minerali, antiparassitari, idrocarburi) facendo rientrare nella legalità, come per magia, molte industrie dell'acqua imbottigliata. Stiamo parlando di un decreto che consente, per far rientrare nei limiti di legge le minerali con eccesso di arsenico o manganese, di abbassarne le quantità tramite un trattamento di ozonizzazione, ossia l'uso di ozono. Un procedimento che potrebbe dar luogo a sostanze indesiderate, più pericolose di quelle che si intende limitare: come i bromati, notoriamente cancerogeni.
Nel 2004 in applicazione di una direttiva europea (la 2003/40) e con decreto 28 dicembre 2004 il ministero della sanità, dopo anni di comportamenti incomprensibili, sembra schierarsi dalla parte dei consumatori, dichiarando finalmente fuori legge a partire dal 1°gennaio di quest'anno tutte quelle acque minerali che superino i limiti di quantità delle sostanze nocive previste per l'acqua potabile comune. Stiamo parlando di ben 126 marchi di acque minerali messe (teoricamente) al bando perché non si sono poste in regola con la riduzione di arsenico, antimonio e manganese, ma a quanto pare alcune figurano ancora sui banchi dei negozi, dato che nessuno avrebbe dato ancora mandato ai Nas di imporne il ritiro (regioni, aziende sanitarie locali, ministeri). Come se non bastasse, dal gruppo di minerali dichiarate fuori legge, mancano i grossi nomi (ad eccezione della S. Paolo di Roma). Evidentemente i big del mercato, come Danone e Nestlè sono riusciti a presentare analisi tranquillizzanti al Ministero, probabilmente dopo aver tempestivamente effettuato, ove necessario, il trattamento di ozonizzazione. Ma la preoccupazione resta: si deve precisare che l'avvelenamento cronico, dovuto ad esposizione a lungo termine di arsenico attraverso le acque potabili, secondo l'Oms, causa cancro alla pelle, ai polmoni, alla vescica ed ai reni; mentre il manganese oltre la misura consentita, potrebbe incrementare la suscettibilità a infezioni polmonari.
Nonostante tutto gli italiani sono i primi consumatori di acqua imbottigliata, non solo in Europa, ma nel mondo. Il consumo medio pro capite, che nel 1988 era di 80 litri, nel 2003 si è più che raddoppiato passando a 182 litri, con un incremento pari al 115%. Da notare che nel resto d'Europa occidentale si è passati da 50,2 litri, sempre nel 1988, ai 103 litri del 2003 con un incremento del 106%. Non caso il made in Italy delle "bollicine" detiene la posizione leader nel mercato mondiale con 177 imprese e 287 marchi, 11 miliardi di litri imbottigliati di cui 1 miliardo destinato all'esportazione (soprattutto in Canada e Stati Uniti). Calcolando in 0,50 euro il prezzo medio al litro, si ottiene un fatturato complessivo annuo di circa 5 miliardi e 50 milioni di euro pari a circa 10 mila miliardi di vecchie lire. Solo nel Lazio i consumi di minerale si attestano attorno ai 600 milioni di litri. Di più: in Italia sugli scaffali dei super mercati oltre alla «minerale», troviamo anche «acqua di sorgente»: una via di mezzo tra l'acqua potabile e la minerale. Deve avere un'origine rigorosamente sotterranea, non può essere disinfettata ma può essere trattata (con il famigerato ozono?) per rimuovere l'arsenico, il ferro, il manganese.
E, dulcis in fundo, troviamo anche l'acqua potabile imbottigliata. Proprio così. All'apparenza può sembrare acqua minerale, invece è acqua del rubinetto "microfiltrata" e ricostituita con l'aggiunta di sali minerali. Nel mondo l'azienda leader nella vendita della acqua del "rubinetto" è la Coca Cola e la imbottiglia per i paesi del terzo mondo privati dell'acqua come bene comune. E l'acqua Dasani (Coca Cola), imbottigliata e venduta in Gran Bretagna, è stata ritirata dal mercato perché conteneva una elevata percentuale di bromato. Mentre, per restare in casa: 25 produttori di filtri per il trattamento dell'acqua potabile sono nel mirino dei Nas. Guarda caso l'inchiesta ha preso l'avvio da un esposto di "Mineracqua" (la federazione italiana delle industrie produttrici di acqua minerale), in cui si faceva riferimento alla somministrazione da parte di alcuni ristoranti di Roma, delle cosiddette acque in caraffa "spacciate" per minerale.
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