«Vittime del Pet-coke»
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Il pet-coke, secondo la definizione industriale, è un prodotto che si ottiene dal processo di condensazione di residui petroliferi pesanti e oleosi fino ad ottenere un residuo di consistenza diversa, spugnosa o compatta.
In sostanza il pet-coke è l'ultimo prodotto delle attività di trasformazione del petrolio e viene considerato lo scarto dello scarto dell'oro nero tanto da guadagnarsi il nome di "feccia del petrolio".
Per la sua composizione - comprendente oltre ad IPA (in particolare benzopirene), ossidi di zolfo e metalli pesanti come nichel, cromo e vanadio - va movimentato con cura per evitare di sollevare polveri che verrebbero inalate con gravi rischi per la salute. Il trattamento infatti (carico, scarico e deposito) del Pet-coke deve seguire le regole dettate dal decreto del Ministero della Sanità (28-4-1997) concernente il trasporto di sostanze pericolose.
L'Osha, ente statunitense per la sicurezza sul lavoro, ha fissato un limite di esposizione che non va mai superato in quanto è alta la probabilità che causi danni permanenti o la morte. Per questi motivi per esempio l'utilizzo del pet-coke è stato vietato in Giordania. L'Eni brucia il Pet-coke nella raffineria di Gela. L'uso del Pet-coke ha suscitato interrogativi sulla possibile correlazione con le malformazioni e i tumori numerosissimi nella popolazione locale. Nello stabilimento ENI di Gela i magistrati ravvisarono l'ipotesi di un "reiterato comportamento criminoso".
In Italia fino a qualche anno fa era vietato utilizzare il pet-coke come combustibile alternativo, ma ci ha pensato Berlusconi con il decreto legge 22 del 2002, poi convertito dalla legge 82 del 6 maggio 2002, a trasformare il pet-coke, molto nocivo secondo alcuni studi epidemiologici, in vero e proprio combustibile. Il decreto approvato corresse la classificazione del discusso materiale, fino ad allora considerato dalla legge Ronchi (passata sotto il primo Governo Prodi) come uno scarto tossico, confermò la tesi dell' Eni e annullò i rilievi dei periti della procura
Il Wwf intervenne dicendo che il decreto sul pet-coke diventato legge era basato su presupposti inventati ed in contrasto con la normativa europea sul riutilizzo dei sottoprodotti di lavorazione delle raffinerie e sull'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili. L'elusione della normativa sui rifiuti consente su tutto il territorio nazionale l'utilizzo di uno scarto di lavorazione ad alto tenore di zolfo, di idrocarburi policiclici aromatici e di metalli pesanti (nichel e vanadio), in qualsiasi bruciatore, anche nei cementifici, senza che vengano adottate le migliori tecnologie disponibili.
In pratica la "straordinaria necessità ed urgenza" che ha indotto a suo tempo il Governo all'emanazione del provvedimento legislativo riguardava il sequestro preventivo della raffineria ENI di Gela disposto dal Tribunale a causa della violazione delle normative vigenti a tutela dell'ambiente e della salute.
Tornando a Gela, il coke da petrolio, quale residuo di produzione della raffineria, dopo il trattamento e lo stoccaggio, veniva inviato alla centrale termica per la produzione di energia, successivamente venduta all'Enel e ad altre società.
Eppure la magistratura di Gela aveva qualificato il coke come un rifiuto e quindi assoggettabile alla normativa sui rifiuti, di conseguenza la centrale termica collegata alla raffineria doveva rispettare i vincoli previsti per il funzionamento e le emissioni degli inceneritori e non la normativa disposta per le centrali elettriche alimentate con combustibili tradizionali.
Dopo nuove elezioni del 2001 a Palazzo Chigi arriva Silvio Berlusconi. La Sicilia è in subbuglio per il pet-coke e di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni La Loggia, insieme con il Ministro dell'Ambiente Matteoli, Berlusconi emana un decreto legge contenente "Disposizioni urgenti per l'individuazione della disciplina relativa all'utilizzazione del coke da petrolio negli impianti di combustione" per rasserenare gli animi... Così il pet-coke non risulta rifiuto tossico ma combustibile: miracolo! Lo sanno in tanti che è tossico, ma il governo gli ha cambiato i connotati, classificandolo come combustibile, utilizzabile quindi per alimentare il petrolchimico. I gelesi adesso "respirano" perché il pet-coke non è fuorilegge. Respirano veleno, come fanno da quarant'anni. Il decreto passa in parlamento mentre la città di Gela scioperava contro il sequestro della raffineria: la raffineria di Gela impiega circa tremila operai, l'economia di mezza città. L'ennesimo duro colpo ai sigilli della magistratura.
Il decreto del Governo Berlusconi definiva, considerato l'elevato livello tecnologico, la combustione di pet-coke nella centrale di Gela "ambientalmente" sicura in considerazione dell'importanza strategica di tale prodotto per l'occupazione e l'economia nazionale (dl 7 marzo 2002, n.22)
Nessuno, o quasi, mette in discussione l'Eni, che oggi è ancora più forte di prima. In merito all'aumento dei tumori a Gela, il Presidente della Raffineria Giorgio Lenzi, in occasione dell'incontro semestrale sull'attività del petrolchimico, ha fatto il punto sul piano di miglioramento ambientale dichiarando: «Se ci sono responsabilità accertate scientificamente, l'Eni è pronta a fare la sua parte»
Intanto, Silvio e l'ENI hanno perlomeno "legalizzato" l'inquinamento con il silenzio-assenso della sinistra e con la destra che in Sicilia non ha rivali.
Le problematica di Gela si è ovviamente riproposta in altri posti d'Italia come Gaeta, dove se porti di Napoli e di Salerno hanno da anni vietato l'arrivo di queste carboniere, Gaeta si e' trasformata in un vero e proprio centro di smistamento verso i depositi presenti nella provincia di Sessa destinati ad alimentare i cementifici delle province limitrofe. Anche qui c'è stato un blitz della Procura nel porto dove si scarica pet-coke e la faccenda continua ad animare le popolazioni locali.
Eppure nel 1991 la Capitaneria di Porto nel 1991 impose persino con due precise ordinanze l'uso di innaffiatori per evitare la sollevazione in aria del pulviscolo, il divieto di scarico in condizioni ventose e l'uso di contenitori o teli isolanti per evitare la fuoriuscita di materiale sulla banchina o nel bacino.
Le "emergenze pet-coke" non riguardano purtroppo soltanto Gela. In Sicilia, nell'isola delle Femmine, la Cementeria della Italacementi, la principale società italiana nel settore dei materiali da costruzione, utilizza questo combustibile nei cicli produttivi. Eppure l'utilizzo del pet-coke può essere consentito non con un semplice confronto sull'eventuale rispetto dei limiti di legge, ma con una valutazione completa, che tenga conto della localizzazione, delle tecnologie applicate, delle vocazioni del luogo, dello sviluppo dello stesso.
Di recente LA7 in un rotocalco ha proposto le immagini del cumulo a cielo aperto di pet-coke in località Raffo Rosso nell'Isola delle Femmine; lo stesso deposito confina con una vasta area considerata dalla Comunità Europea ad alta protezione ambientale. Il comitato cittadino "Isola Pulita" in un comunicato stampa si è chiesto come faranno i dirigenti dell'Assessorato Territorio Ambiente che dovranno elaborare il loro parere all'interno dell'istruttoria A.I.A. della Italcementi, sono gli stessi dirigenti impegnati ad elaborare piani per la qualità dell'aria, che secondo informazioni di stampa e televisioni sembrano copiati totalmente da piani elaborati in precedenza dall'Assessorato Regione Veneto. Misteri della Politica.
Definiva Gela “una delle città più martoriate di un martoriato Mezzogiorno d'Italia” l’attuale Presidente della Regione Puglia, in una interrogazione parlamentare dai i banchi di rifondazione comunista. I fatti di Gela erano allora paragonabili, secondo Vendola, a quelli di Porto Marghera o in forme differenti a quelli di Brindisi, Manfredonia, Taranto e tante parti d'Italia, soprattutto del Mezzogiorno.
L’allora deputato Vendola prese posizione contro quel difficile conflitto tra le ragioni del lavoro e quelle dell'ambiente e della salute dei cittadini, con l'aggravante che a Gela 3.000 posti di lavoro rappresentavano tanta parte dell'economia di quella città.
Oggi il Presidente della Regione Puglia probabilmente rileggendo quella sua missiva sentirebbe il peso degli anni e della lotta. Di quella strana e anomala differenza fra attività di opposizione e di governo che sta al centro della vita democratica del nostro paese.
Nichi Vendola illustrava i successi della bonifica del distretto più industrializzato d'Europa, quello della Ruhr, dove si è stati in grado - senza perdere un posto di lavoro - di realizzare una bonifica straordinaria, anche in termini di riconversione industriale. Un sogno che Vendola rincorre ancora oggi con le bonifiche sui territori di Brindisi e Taranto devastati da decenni di industrialismo selvaggio.
Il Governo Berlusconi, secondo Vendola, all’epoca si rifugiò in un atto di copertura dell'ENI, emanando decreto di classificazione del pet-coke che smise improvvisamente di essere rifiuto per diventare combustibile. Un decreto che serviva semplicemente a formalizzare il prolungamento dell'agonia dello stabilimento di Gela.
“Una matassa veramente ingarbugliatissima di interessi e di beni che sono in gioco e che non dovrebbero essere posti in alternativa”, in questo modo Vendola definiva la contraddittorietà dei plausi del mondo sindacale presente sul territorio che accoglieva con favore il provvedimento del Governo Berlusconi che stringeva la mano all’ENI che pur avendo disatteso gli interventi di risanamento che era tenuta a realizzare vinse una battaglia importantissima.
Nessuna richiesta di garanzia dei posto di lavoro per tutti i dipendenti diretti, per tutti i lavoratori dell'indotto e per tutti i dipendenti che sono da tempo a rischio di licenziamento; nessuna garanzia della retribuzione di fronte a una gravissima situazione che quei lavoratori che pagheranno anche con uno stillicidio di malattie tumorali; nessun impegno ad investire massicciamente in termini di bonifica ambientale e di lavoro ecocompatibile.
A Taranto invece a lanciare l'allarme è stato proprio il Sindaco Ezio Stefàno chiedendo all'Arpa Puglia di effettuare monitoraggi nei rioni Tamburi e Paolo VI.
Parallelamente la magistratura ha fatto scattare un'inchiesta, grazie ai carabinieri del Noe e all'Agenzia dogane. Le contestazioni della magistratura partono da un'indagine fiscale: circa seimila tonnellate di pet-coke, stoccate nell'Italcave sequestrate per presunte irregolarità.
La richiesta di del Sindaco deriva dalla notizia secondo la quale "per circa un decennio e solo fino a pochi giorni fa; numerosi autocarri sono stati adibiti giornalmente alla movimentazione del pet-coke dal porto al luogo di stoccaggio (l'Italcave, in territorio di Statte) e di qui alle varie cementerie dislocate nel Sud dell'Italia, prima fra tutte la Cementir di Taranto".
Eppure nel verbale di accordo sindacale fra la Cementir e i sindacati del 20 Marzo 2002, si parla di "salvaguardia degli impianti", le Parti concordano che le situazioni di conflittualità non devono compromettere la funzionalità e la vita tecnica degli stessi, dietro strani algoritmi si parla di incentivi e premi di produzione per gli operai ma nessuna parola riguardante il pet-coke, nemmeno un commento relativo all'impatto della sostanza sulla salute dei lavoratori.
In Puglia oltre alla Cementir ci sono altre 2 cementerie situate a Barletta e Galatina. Nella vicina Matera c'è una cementeria della Italcementi. Taranto quindi risulterebbe un porto hub per la movimentazione di una sostanza altamente cancerogena come il pet-coke.
Le dichiarazioni del Sindaco di Taranto e la notizia del sequestro tornano a generare preoccupazione fra le popolazioni. L'indagine giudiziaria è cominciata dalla scoperta di una partita di pet-coke proveniente dallo stabilimento gelese, transitata in Puglia e destinata alla commercializzazione estera. Per gli inquirenti, quel tipo di Pet-coke non sarebbe legale, superando la soglia del 6% di zolfo.
I Carabinieri del NOE di Lecce hanno sequestrato, presso uno stabilimento siderurgico di Taranto, circa 16.000 tonnellate di pet-coke. Si tratta di materiale importato dagli Stati Uniti e destinato alla miscelazione con carbone fossile per la produzione di coke siderurgico. Contestualmente, i militari hanno denunciato il legale rappresentante dello stabilimento per aver effettuato deposito di pet-coke su area priva di autorizzazione allo smaltimento nel sottosuolo di acque di dilavamento, per assenza di autorizzazione alle emissioni in atmosfera e per gestione illecita del rifiuto destinandolo ad un impiego diverso da quello previsto.
Ad oggi non è dato sapere in che termini si è discusso del pet-coke Ilva e se per caso qualcuno si è espresso contro il suo uso nella cokeria all'interno di un costituendo gruppo ristretto con funzioni istruttorie, nel quale si discute a porte chiuse. Tutto ciò non fa ben sperare la città di Taranto, la pubblicizzazione dei componenti di questo gruppo e del loro operato garantirebbe invece maggiore trasparenza ai cittadini di Taranto e all'intera Regione Puglia.
Adesso – in fase di rinnovo delle autorizzazioni ambientali (AIA) – istituzioni e organi tecnici dovrebbero fissare limiti precisi (ed "europei") per tutti gli inquinanti, pet-coke compreso: lo faranno?
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