Bruciamo i rifiuti anziché sotterrarli… e tutto sparisce! Funziona così?
Introduzione
L’articolo è stato scritto dal Dott. Francesco Sodo (Tecnico Superiore per la Raccolta e lo Smaltimento dei Rifiuti). L’obbiettivo è comprendere fino in fondo la sinergia inceneritore-ambiente-uomo. Spesso la politica nel mezzogiorno, in campo di gestione dei rifiuti, non valuta con attenzione i principi normativi della Comunità Europea e del Testo Unico Ambientale. In questo modo si rischia di finire nel “calderone tutto italiano degli inceneritori” e dei finanziamenti CIP 6.
Il motto sembra essere: bruciamo i rifiuti anziché sotterrarli e tutto sparisce. E’ cosi? Il professor Montanari nell’articolo pubblicato su Peacelink il 17 dicembre 2009 ci ha spiegato alcuni aspetti inerenti alle nanoparticelle e nanopatologie relative. Seguiamo ora la testimonianza del dottor Mario Ruzzenenti.
Il dottor Ruzzenenti è uno storico esperto ambientalista con numerose pubblicazioni all’attivo, nonché uno dei battaglieri del comitato contro il termovalorizzatori di Brescia. Nel suo racconto della storia dell’inceneritore di Brescia ci spiega altre vicende: il premio dato all’inceneritore come l’impianto più moderno e tecnologico del mondo ma anche la violazione per mancata Valutazione d’Impatto Ambientale, i costi di tale impianto, l’inquinamento, gli effetti sulla città e sulla salute, quali sono state a Brescia le risposte della politica, la spinta a produrre più rifiuti anziché dimezzarli e altre problematiche.
Perché a noi tarantini dovrebbe interessare tale storia?
Per i seguenti motivi. Viviamo in una città ad alto rischio ambientale e abbiamo un termovalorizzatore con relative emissioni. Solo i cittadini di Brescia sono soggetti all’inquinamento ambientale? L’impianto ha dei costi? I nostri amministratori come rispondono a una gestione dei rifiuti fatta con i termovalorizzatori? L’impianto richiede una maggiore produzione di rifiuti. Solo a Brescia?
L’inceneritore di Brescia
L’inceneritore di Brescia progettato nel 1993, entra in funzione nel 1998. La costruzione rientra nel progetto “sistema integrato dei rifiuti” basato sulla tecnica a doppio binario. Una linea doveva privilegiare la raccolta differenziata e il riciclaggio, l’altra l’incenerimento del residuo non riciclabile. Durante le fasi di approvazione sia Piano Provinciale dei Rifiuti, sia la delibera regionale, comunale e tutti gli atti ufficiali istituzionali autorizzarono il funzionamento dell’impianto per una capacità massima di 266 mila tonnellate di rifiuti. In pratica, però, dal momento che il termovalorizzatore entra in funzione, si scopre che brucia 500 mila tonnellate: quasi il doppio.
Perché? Per due motivi: sosta manutenzione e basso potere calorifero del combustibile rifiuti. In pratica prima della costruzione del termovalorizzatore si ipotizzò che l’impianto si sarebbe fermato per un 30 % del periodo annuale causa manutenzione. In realtà la sosta non c’è mai stata. L’impianto ha funzionato anche durante la manutenzione. Il secondo motivo riguarda il potere calorifero dei rifiuti. Teoricamente venne ipotizzato un potere calorifero di circa 3300 Kcal/kg. Questo valore, però, è solo teorico. Il rifiuto urbano tal quale raccolto nel cassonetto ha un potere di circa 2000 kcal/kg. Questo significa che per raggiungere i 3300 kcal/kg occorre incrementare la quantità di rifiuti da bruciare. Qui sorge un altro problema. 500 mila tonnellate sono una quantità di rifiuti talmente grande che la provincia di Brescia non produce. Allora come fare? Per alimentare l’inceneritore i rifiuti vengono importati da fuori nonostante Brescia producesse una quantità enorme di rifiuti.
L’attivazione della terza linea.
La vicenda non si ferma qua. Nonostante il sovradimensionamento l’ASM nel 2002 chiede di attivare la terza linea in quanto il mega termovalorizzatore era già stato predisposto. (Si diceva la linea a biomassa che in pratica non è stata). Il comune di Brescia con una semplice licenzia edilizia l’approva nel giro di una settimana. La concessione edilizia fu l’unica autorizzazione. Questa è follia, spiega Marino Ruzzenenti. Non si può pensare di avere un impianto da 800 mila tonnellate collocato nel centro della città senza VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale).
Quanto è costato l’impianto?
Siamo nell’ordine di 250 milioni di euro. L’impianto bresciano è molto costoso in quanto è un termovalorizzatore con recupero energetico per cui estremamente complesso sul piano tecnico. Inoltre i rifiuti se utilizzati come combustibile sono merceologicamente non omogenei, contenente acqua, una miriade di sostanze tossiche e inquinanti. La gestione e il funzionamento impiantistico non è semplice per cui la macchina è diseconomica.
Produrre un megawatt di energia con un inceneritore elettrico costa, dal punto di vista dell’investimento, dalle sei alle otto volte che produrre un megawatt elettrico con una centrale turbogas. Perché allora in Italia c’è la tendenza a costruire un impianto così diseconomico?
Una ragione è il carburante. L’inceneritore brucia rifiuti anziché gas, petrolio, olio pesante o carbone eccetera. I rifiuti essendo in gestione pubblica il comune, proprietario dell’impianto, può permettersi di imporre ai cittadini bresciani di portare i rifiuti all’inceneritore. Qui la beffa. Anziché essere pagati, in quanto forniscono combustibile, i cittadini devono pagare l’inceneritore per il funzionamento tramite una tariffa stabilita imposta dal comune. Risultato: i cittadini pagano una tassa come se i rifiuti vanno in discarica. Una seconda ragione è che ci sono in gioco finanziamenti pubblici. L’inceneritore di Brescia dispone di oltre di 60 milioni di euro l’anno a fondo perduto grazie ai fondi CIP 6, ovvero il contributo che riconosce i rifiuti produttori di energia rinnovabile. A tal proposito in Italia lo stato spende miliardi per finanziare sia gli inceneritori che l’incenerimento dei residui della distillazione del petrolio. Per bruciare questi rifiuti abbiamo investito circa l’80 % delle risorse destinate alle energie rinnovabili.
Inceneritore di Brescia premiato “miglior inceneritore” al mondo.
In effetti il termovalorizzatore di Brescia è stato premiato in America in quanto riconosciuto come il più ecologico e all’avanguardia a livello nazionale. Peccato che l’ente americano che ha erogato questo premio ha come primo sponsor la società produttrice stessa dell’impianto. Apparte il premio l’impianto è stato anche oggetto di sanzioni da parte dell’Unione Europea.
Il comitato a Brescia contro l’inceneritore ha fatto molti ricorsi anche alla Corte Europea di Giustizia. Il 7 luglio 2007 con sentenza definitiva l’U.E. condanna lo stato italiano sul fatto che la terza linea dell’inceneritore è stata costruita semplicemente sulla base di una concessione edilizia del comune, proprietario stesso dell’inceneritore. L’U.E. nel momento in cui rinviava a giudizio lo stato italiano ha dato due mesi di tempo per mettersi in regola. Cosi l’allora ministro Matteoli fece una VIA affrettata per mettersi in regola. Intanto ancor prima di effettuare la VIA, l’ASM avviò tranquillamente la terza linea ma l’U.E. ribadì la violazione alla normativa: la VIA deve essere preventiva al funzionamento. Un impianto così complesso e impattante sull’ambiente che funziona senza autorizzazione va fermato, spiega Ruzzenenti nel suo video.
Quali sono state le risposte della politica?
Sono state insufficienti. Sono mancati i livelli istituzionali provinciali e regionali sulla pianificazione dei rifiuti, il comune di Brescia, proprietario dell’impianto. La mancata risposta del comune sembra chiara. Il comitato contro l’inceneritore ha sempre sostenuto che non è il comune che governa la società ASM ma il contrario.
Purtroppo dal momento in cui l’ASM è stata quotata in borsa nel 2005 l’ente locale deve sottostare alla politica del profitto. D’altronde grazie al funzionamento dell’inceneritore, una parte degli utili entrano nelle casse comunali: si parla di 80-90 milioni di euro all’anno. L’assessorato all’Ambiente concedendo l’approvazione per la terza linea ha ricevuto, come attività di assessorato, cinque euro per tonnellata di rifiuti bruciati che vuol dire un milione e mezzo all’anno di euro da utilizzare per le attività dell’assessorato.
Le incidenze sulla salute e sull’ambiente dell’inceneritore.
Un inceneritore in generale è sinonimo di due effetti negativi. Uno è che per funzionare ha bisogno di rifiuti per cui ne incrementa la produzione. A Brescia si è stimata una produzione di rifiuti enormi: si produce in media 2 kg di rifiuti pro capite. Nelle zone dove si fa la raccolta differenziata porta a porta in modo corretto, si parla di un kg pro capite.
Perché a Brescia si arriva a 2 kg?
Perché, ai fini di incentivare la produzione di rifiuti, per le vie sono disposti enormi cassoni che raccolgono rifiuti non solo dei cittadini ma anche delle aziende, restauratori, commercianti, eccetera. Insomma c’è un assimilazione spinta di rifiuti. L’inceneritore è una macchina dello spreco, incentiva la produzione dei rifiuti e lo smaltimento fino a ridurli in cenere. Ricordiamo a tal proposito che incenerire i rifiuti non significa eliminare o distruggere i rifiuti ma trasformarli in cenere pesanti, tossiche, inquinanti. Essendo le ceneri rifiuti nocivi e pericolosi devono essere smaltite in discariche per rifiuti pericolosi.
L’altro effetto negativo riguarda l’inquinamento dell’aria. Dai camini esce circa 4 miliardi e mezzo di m3 all’anno di aria inquinata. Il fattore più insidioso è l’inquinamento che si trasforma all’uscita dai camini (ricordiamo le particelle secondarie di cui parla il Prof. Montanari). I gas che passano dai filtri, con reazioni fotochimiche a contatto con i gas atmosferici, si trasformano in polveri ultrafini cioè quelle polveri di dimensione nettamente inferiori alle PM10. Si tratta di polveri al di sotto dei 2,5 micron o al di sotto di 0,1 micron ovvero le nanoparticelle. Le nanoparticelle se ne formano in grandi quantità perché i precursori come gli ossidi di azoto, acido cloridrico, ammoniaca, ossidi di zolfo e una serie di gas, si sprigionano in grandi quantità. L’altro inquinante noto sono le diossine, i PCB, i metalli pesanti che escono al di sotto dei limiti di legge. Qui c’è l’altro imbroglio. I limiti massimi di concentrazioni sono stabiliti dalle norme in m3 di aria, non importa se l’ impianto emette 100 milioni di m3 o 4 miliardi e mezzo di m3. Non c’è un limite assoluto ma solo relativo all’emissione di m3.
Effetti sulla città
Gli effetti sono negativi. Innanzitutto è da considerare che Brescia non ha il problema emissioni di caldaie private grazie al teleriscaldamento dato dal termovalorizzatore. A Milano, invece, oltre alle micro polveri da smog di traffico si aggiunge l’emissione inquinante da riscaldamento privato che incide in una percentuale dell’ordine del 40% in inverno. Di conseguenza Brescia dovrebbe avere un emissione di PM10 di almeno un 30-40% in meno, anche perché non è possibile che Brescia abbia più traffico di Milano. Bene il risultato sorprendente Brescia ha il record assoluto di emissioni di PM 10 e PM 2,5 i più alti della regione Lombardia con sforamenti anche in estate.
Il comitato, in via urgente, ai fini di abbassare notevolmente le emissioni di ossidi di azoto, chiede l’utilizzo di nuovi catalizzatori e di instaurare un sistema di monitoraggio dei microinquinanti in continuo degli inquinanti non solo due volte all’anno.
Quale strada è più corretta in alternativa all’inceneritore?
Ci sono diverse esperienze già in corso tecnicamente avanzate. Un esempio riguarda il consorzio Priula in provincia di Treviso. Il consorzio comprende 23 comuni e una popolazione di 240 mila abitanti. Ha iniziato un sistema molto efficiente dal punto di vista tecnologico per la gestione di raccolta differenziata porta a porta con tariffa puntuale. Nelle città gestite dal consorzio il cittadino paga per i rifiuti indifferenziati che conferisce e viene premiato per il rifiuto differenziato. I risultati sono positivi. Siamo oltre il 75% di raccolta differenziata ma, soprattutto, si è avuto un abbattimento della produzione di rifiuti a un kg di rifiuto pro capite. 75% significa una produzione di 250-300 Kg di rifiuto pro capite da smaltire. Se il modello Priula venisse applicato a Brescia (o Taranto grande come Brescia) ci sarebbe da smaltire in un anno circa 100 mila tonnellate di rifiuti mentre per l’inceneritore ne occorre 800 mila tonnellate oltre alle 150 mila di ceneri. Il modello Priula annulla quasi del tutto la necessità di avere un inceneritore anche perché costruire mini inceneritori non è utile.
Sintesi elaborata e riscritta video you tube al dott. Ruzzenenti sull’inceneritore di Brescia
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