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Non si vede il cambiamento culturale che servirebbe per evitare il disastro ambientale

Dobbiamo aspettare che crolli il mondo?

Molte civiltà del passato sono scomparse per catastrofi naturali, ma oggi per la prima volta c'è la possibilità che tutta la civiltà sprofondi in una catastrofica crisi ambientale globale.
Paul R. Ehrlich, Anne H. Ehrlich
Tradotto da per PeaceLink

Uragano Katrina

Si stanno verificando contemporaneamente degli eventi importanti come una sovrappopolazione incontrollabile, un consumo eccessivo delle risorse del pianeta a vantaggio di pochi ed una tecnologia utilizzata solo per sostenere un sistema non orientato ad un cambiamento culturale decisivo capace di renderci la speranza di evitare una catastrofe ambientale

1. Introduzione

Quasi tutte le civiltà del passato sono scomparse dopo aver subito un tracollo dovuto ad una situazione complessa dal punto di vista socio-politico-economico, di solito accompagnata da un drammatico declino della popolazione [1]. Certe volte, come in Egitto e in Cina, le civiltà sono riuscite a risorgere dalle crisi che le avevano travolte in varie fasi della loro storia, altre volte, come sull’Isola di Pasqua o dopo il periodo classico Maya, scomparvero definitivamente [1,2]. Ma la scomparsa di queste civiltà in quelle epoche era un fenomeno locale o regionale, infatti le altre civiltà, che vivevano ai loro confini, continuavano a vivere senza subirne troppi danni. A volte, come nella valle del Tigri e dell'Eufrate, le civiltà si succedevano per effetto delle invasioni di nuovi popoli che si avvicendavano ma la storia continuava. Solo in poche circostanze, dobbiamo riconoscere che l'eccessivo sfruttamento dell'ambiente ha contribuito in modo determinante [3] al crollo delle civiltà.

Ma oggi, per la prima volta, tutta la civiltà globale di una umanità, sempre più interconnessa in tutti i paesi del mondo, che ha dato vita ad una alta tecnologia che ormai ci coinvolge costantemente tutti, sta rischiando di crollare per una serie di problemi ambientali. L'umanità si è tuffata in quello che il principe Carlo ha descritto come “un suicidio su larga scala” [4], parlandone con John Beddington, Chief Scientific Advisor del Regno Unito, definendo una “tempesta perfetta” i problemi ambientali [5] che stiamo vivendo.

Il più grave di questi problemi mostra segni di una pericolosità in continuo aumento, in particolare per gli squilibri del clima. Ma anche altri fattori potrebbero contribuire a un crollo: una accelerazione nell’estinzione di certe popolazioni animali e di alcune specie di vegetali, potrebbe portare ad un impoverimento di quell’ecosistema essenziale per la sopravvivenza umana, al degrado del suolo e a cambiamenti della destinazione del suolo, al progressivo avvelenamento di tutto il pianeta provocato dai con composti tossici, dall'acidificazione degli oceani , dall'eutrofizzazione (degenerazione dell'ecosistema per eccesso di immissione di sostanze inquinanti), dal danneggiamento di alcune difese immunitarie (le popolazioni umane diventano più sensibili a malattie infettive), dall'esaurimento delle già scarse risorse naturali [6,7],tra cui l'eccessivo sfruttamento delle acque sotterranee, in particolare per certi tipi di agricoltura [8].
Poi ci sono le risorse non sfruttate perché destinate alle guerre [9].

Questi non sono problemi a sé stanti, ma interagiscono tutti in due giganteschi complessi sistemi a cui danno tutti un proprio apporto: la biosfera e il sistema socio-economico dell'uomo. Le manifestazioni che si oppongono a queste naturali interazioni sono spesso definite come 'vincolo umano' [10], e dobbiamo cercare di spiegare come si può evitare che il “vincolo umano” ci faccia arrivare a un collasso globale: questa è forse la sfida più importante che deve affrontare l'umanità.

Il vincolo umano è causato dalla sovrappopolazione, da un consumo eccessivo delle risorse naturali, dall'uso di tecnologie che danneggiano inutilmente l'ambiente e da tutte le misure socio-economico-politiche che servono al consumo aggregato dell’Homo sapiens [11-17].
Dobbiamo chiederci di quanto la popolazione umana abbia già superato la capacità di sostentamento a lungo termine che può offrire il nostro pianeta, analizzando con attenzione e continuità l’impronta ecologica [18-20].
Stiamo dicendo che per far vivere l'attuale popolazione di 7 miliardi di persone con lo stesso livello di vita e di tecnologia di oggi, avremmo bisogno di poter sfruttare almeno le risorse di un'altra metà del nostro pianeta.

Se invece tutti gli abitanti della Terra consumassero quanto si consuma, in media, negli Stati Uniti, allora dovremmo sfruttare le risorse di quattro o cinque pianeti come il nostro. Considerando che entro il 2050 la popolazione aumenterà ancora di due miliardi e mezzo di persone, l'assalto della civiltà umana a questo sistema si aggraverà sproporzionatamente, perché quasi ovunque le soluzioni prese per limitare i danni all'ambiente saranno poco efficaci perché non uniformi [11,21-23], tanto che il deterioramento ambientale aumenterà ad un ritmo sempre più veloce proporzionalmente ad ogni ulteriore nascita. Naturalmente, si potrà obiettare che l'espansione dell'umanità andrà di pari passo con quella dell'innovazione tecnologica [24], ma è ampiamente riconosciuto che le tecnologie possono aggiungere o sottrarre capacità alle risorse.

L'aratro, quando fu inventato, servì ad ampliare la superficie dei campi, ma ora lo stesso strumento può servire solo a ridurla [3].

Nel complesso, una attenta analisi delle prospettive non sembra poterci convincere che la tecnologia basterà a salvarci [25] così come non può convincerci che il PIL possa crescere senza produrre distruzione di nessuna risorsa [26].

2. Cosa deve farci pensare aa un collasso del sistema?

C'è una possibilità che, in questo secolo, tutto questo insieme di situazioni interconnesse ci porti ad un collasso globale del sistema[27] ? Molti hanno parlato ed analizzato attentamente il crollo di molte civiltà del passato [1,3,28-31], ma se dovesse capitare un crollo globale , non possiamo proprio immaginare come avverrebbe. Potrebbe incominciare da qualsiasi cosa, da una “piccola guerra nucleare”, i cui effetti ecologici potrebbero rapidamente porre fine alla civiltà [32], ad una distruzione più graduale a causa di carestie, epidemie e scarsità di risorse che potrebbero portare ad una disgregazione del controllo dei governi sulle nazioni, insieme a blocchi del commercio e a conflitti per mettere le mani dei più forti sulle sempre più scarserisorse.
In ogni caso, indipendentemente dal fatto che ci saranno sopravvissuti al disastro o siano arrivate nuove civiltà, la qualità della vita di cui gode oggi la stragrande maggioranza delle persone sarà cosa del passato.

Quante possibilità ci sono che il m ondo collassi? Nessuna civiltà può salvarsi se non riesce a sfamare la sua popolazione. Il successo del nostro mondo e la sua potenzialità di nutrire le future generazioni, almeno ai livelli attuali, è oggetto di una discussione relativamente intensa solo da mezzo secolo [33-40].
L’agricoltura ha reso possibile l'evoluzione della civiltà, ma nel corso degli ultimi 80 anni, una rivoluzione agricola industriale ha creato una sistema alimentare globale dipendente dalla tecnologia. Questo sistema è ormai l'unica grande industria dell'umanità ed ha veramente fatto un miracolo per aumentare la produzione alimentare. Anche se la resa alimentare è molto vulnerabile nel periodo di lungo periodo, in particolare perché l'agricoltura dipende dalla stabilità del clima, dalle monocolture, dai fertilizzanti e dai pesticidi chimici, dal petrolio, dagli antibiotici usati come integratori alimentari e da una rapido ed efficiente sistema di trasporto.

Resta il fatto che, nonostante i miracoli della produzione alimentare, oggi almeno due miliardi di persone soffrono la fame o sono ancora mal nutriti. La FAO stima che servirebbe un aumento della produzione alimentare di circa il 70% per alimentare adeguatamente quel 35% della popolazione umana che dovrà essere sfamata entro il 2050 [41]. Ma ci sono prospettive perché l’Homo sapiens riesca a produrre e distribuire cibo a sufficienza?

Per poterci riuscire probabilmente sarà necessario raggiungere la maggior parte di questi obiettivi:

• evitare qualsiasi attività che interferisca con il clima;
• limitare l'espansione della superficie agricola (per preservare gli ecosistemi);
• far aumentare la resa dei raccolti;
• impegnarsi molto di più nella difesa del suolo [3];
• aumentare l'efficienza nell'uso di fertilizzanti, acqua ed energia;
• favorire l'alimentazione vegetariana;
• produrre più cibo per l'uomo (non carburante per le macchine);
• ridurre lo spreco di cibo;
• fermare il degrado degli oceani e disciplinare meglio l'acquacoltura;
• aumentare gli investimenti in energia sostenibile, ricerca agricola e acquacoltura;
• mettere equità e alimentazione ai primi posti dell'agenda politica.

La maggior parte di questi impegni, di cui si parla da tanto tempo, richiedono cambiamenti nel comportamento umano, di cui non vediamo ancora traccia. Il problema degli sprechi alimentari e la necessità di una maggiore e migliore ricerca agricola sono argomenti di discussione da decenni. Ma si parla anche di come “la tecnologia ci salverà” o di come la costruzione di “complessi nucleari agro-industriali "[42] potrebbero produrre energia così a buon mercato da immaginare un nuovo tipo di agricoltura-desertica con industrie alimentari, nelle quali si userà acqua desalinizzata e macchine fertilizzanti. Purtroppo, non è mai stata prodotta una energia nucleare tanto economica e sicura da applicare ad una agricoltura su larga scala capace di mettere in moto un processo tanto virtuoso.
E finora l'agricoltura non è riuscita nemmeno ad alimentare la gente con proteine estratte da foglie o da batteri cresciuti sul petrolio[43]. Tutti sforzi inutili perché questi sistemi sono stati pensati senza nemmeno verificare se uno fosse compatibile con l'altro e, nel frattempo, un numero sempre crescente di nuovi benestanti fa aumentare la domanda globale di foraggio per gli animali [44].

Ma ben più importanti sono le ingerenze sul clima che possono costituire ostacoli biofisici insormontabili nel tentativo di aumentare la resa dei raccolti, infatti se l'umanità fosse molto sfortunata con il clima, ci potrebbero essere improvvise grosse contrazioni nelle rese delle colture più importanti [45], per un periodo di tempo limitato, anche se sicuramente questo non influirebbe sula resa dei raccolti di tutto il mondo [46]. Comunque, l'aumento delle temperature già sembra moderare le stime che prevedevano rendimenti crescenti per i cereali di base [45,47], e se le emissioni di gas a effetto serra non saranno notevolmente ridotte, dovremo aspettarci anche tragici cambiamenti climatici di origine antropica [48] che potrebbero distruggere l'agricoltura. Inoltre, si registrano anche notevoli cali di resa della pesca, a causa dello sfruttamento eccessivo di tutti i mari [49], del riscaldamento e dell'acidificazione degli oceani. Una pesca scarsa minaccia direttamente l'apporto proteico della parte più vulnerabile della popolazione [50], in particolare di chi non può permettersi di acquistare pesce di allevamento.

Purtroppo, il sistema agricolo ha strette connessioni con tutto ciò che può procurare degrado ambientale. L'agricoltura è di per sé un grande emettitore di gas serra e quindi è un importante causa di perturbazioni del clima, oltre ad essere particolarmente soggetta alle sue conseguenze. Per almeno un millennio abbiamo osservato continui cambiamenti nelle temperature e nelle precipitazioni ma apparentemente ormai abbiamo [51] come prospettiva dei periodi di tempeste, siccità, ondate di calore e inondazioni, e risultano evidenti le minacce che ai rendimenti della produzione agricola.

Il terreno come risorsa essenziale per l'agricoltura deve fronteggiare molteplici minacce. Oltre ai gravi problemi causati dal degrado del suolo, dall’innalzamento del livello del mare (la conseguenza più certa del riscaldamento globale) strapperà notevoli aree alla produzione, inondandole (il  17,5 % del Bangladesh potrebbe essere sommerso da un metro di acqua[52]) ed esponendole a sempre più frequenti ondate di tempeste o alla salificazione delle falde acquifere costiere, essenziali per l'acqua da irrigazione.
Un altro problema importante per il sistema alimentare è la trasformazione di terreni agricoli in terreni urbanizzati, una tendenza che continua a crescere in parallelo [53] alla crescita della popolazione e che erode costantemente la disponibilità pro-capite di terreni agricoli.

Una sostanziale inadeguatezza dell’azione attuale nel gestire questa situazione potrà essere vista nel tempo come uno dei fattori principali che avranno contribuito a modificare la traiettoria di crescita della popolazione umana. Prendiamo ad esempio quello che accadde per effetto della seconda guerra mondiale : molti dei modelli di consumo cambiarono drasticamente nell'arco di un anno, solo per essere in stato di guerra [54]. Quando la scarsità di cibo divenne acuta, come reazione a questo evento la fame fu percepita molto di più. I prezzi del cibo aumentarono, e per compensare la carenza, le diete in quel periodo cambiarono (ad esempio, diminuì il numero di pasti giornalieri o la quantità di carne consumata). Fu necessario un processo lento, difficile e di lungo termine per stabilizzare l'offerta globale di cibo ( secondo le reali necessità, senza accaparramenti ) e distribuirlo in modo più equo. Quindi anche se una grande carestia potrebbe creare la necessità di investimenti a lungo termine per recuperare la produzione e la distribuzione alimentare, ci vorrà anche molto tempo per ri-pianificarla, testarla e goderne gli effetti.

Inoltre, l'agricoltura è una delle attività principali che disturbano la biodiversità proprio per i mezzi usati per migliorare la resa dei raccolti (ad esempio, l'impollinazione, il controllo dei parassiti, la fertilità del suolo, la stabilità del clima) insieme ad altre azioni dell’uomo e sempre l'agricoltura è una delle principali fonti di intossicazione globale, come è stato chiaro fin dalle prime teorie di Rachel Carson [55], che dimostrò quanto la popolazione umana sia soggetta ad una miriade di sottili veleni, che costituiscono un ulteriore rischio potenziale e moltiplicatore del rischio, se riscontrati nei cibi.

Fine Prima Parte

 


Paul Ehrlich è Professore di Biologia e Presidente del Center for Conservation Biology alla Stanford University, e Professore Aggiunto alla University of Technology, Sydney. Le sue ricerche si sono rivolte alla ecologia e alla evoluzione della populations naturale delle farfalle, della vita animale delle barriere coralline, degli uccelli e degli esseri umani.
Anne Ehrlich è Senior Research Scientist in Biologia a Stanford and focalizza le sue ricerche su materie procedurali correlate all’ambiente.

 

Per Referenze e Bibliografia ( indicata nel testo con numerazione progressiva vedi articolo originale : http://rspb.royalsocietypublishing.org/content/280/1754/20122845.full#ref-3

Note: Traduzione per Peacelink.it a cura di Bosque Primario
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