L'Europa perde le sue coste
4.08.04
Le coste europee non sono più quelle di una volta. Peggio ancora, un quinto del litorale dei paesi dell'Unione si impoverisce ogni anno, indietreggia e perde la battaglia con il mare ad un ritmo che varia tra i cinquanta centimetri e i quindici metri. L'erosione costiera è un fenomeno gravissimo praticamente in tutti i paesi del continente con un impatto ambientale, economico e sociale fortissimo e in cui la colpa è assai poco del mare o della natura e molto dell'uomo, soprattutto della pressione edilizia. «Vivere con l'erosione costiera in Europa: spazi e sedimenti per uno sviluppo duraturo», uno studio voluto dalla Commissione e dal Parlamento europeo nel 2001 e realizzato negli ultimi tre anni da Eurosion, un consorzio di ricerca guidato dal Rijksinstituut voor Kust en Zee, l'istituto olandese per la gestione del litorale e del mare, punta infatti il dito contro la pressione urbanistica e contro il saccheggio dei sedimenti costieri, il tutto a vantaggio dell'industria dell'edilizia. Al tempo stesso un ruolo importante lo riveste il lento ma progressivo innalzamento dei mari del pianeta, addebitabile anche all'effetto serra. Lo studio non si ferma alle accuse ma propone anche una serie di consigli e di possibili soluzioni mentre pone la lotta all'erosione delle coste al centro della «Strategia tematica per il suolo» che la Ue lancerà l'anno prossimo.
I dati cambiano da paese a paese ma sono comunque nel complesso allarmanti. Da un lato si piazza la Polonia con il 55% delle sue coste soggette ad erosione, dall'altro la Finlandia con appena lo 0,04%, grazie ad un litorale fatto di rocce dure. In mezzo preoccupa il dato di Cipro, a rischio per il 37,8%, quello della Lettonia, il 32,8%, della Grecia e del Portogallo, al 28,6 e 28,5%, del Belgio, al 25,5%, della Francia al 24,9%. Poi arriva l'Italia con il 22,8% del litorale soggetto a erosione, in gran parte frutto dell'urbanizzazione rapida delle nostre coste e spiagge.
L'impatto dell'erosione del litorale è brutale, da qualsiasi lato lo si guardi. Il 36% delle coste europee (47.500 kmq su 132.300 kmq di una superficie misurata su una banda di 500 metri dal litorale) «sono costituiti da siti naturali di valore ecologico inestimabile». Ecosistemi importanti e zone di grande biodiversità che vivono in gran misura sotto la minaccia di distruzione o di forte impoverimento. Sulla stessa banda di litorale di 500 metri si sviluppa un'attività economica stimata tra i 500 ed i 1.000 miliardi di euro, fatta di turismo, agricoltura ed installazioni industriali, ugualmente in pericolo di sparire. Come lo sono numerosissime abitazioni. Lo studio di Eurosion stima in diverse centinaia il numero di case che vengono abbandonate o che perdono gran parte del loro valore immobiliare per il rischio di venire sommerse o di precipitare in mare, o che effettivamente spariscono. Allo stesso tempo ingenti sono i danni anche alle infrastrutture viarie ed alle comunicazioni.
A dare una gran mano all'erosione è stato l'inurbamento spesso selvaggio della costa. Negli ultimi 50 anni la popolazione che vive in città o villaggi litoranei è più che raddoppiata arrivando a toccare quota 70 milioni, il 16% dei cittadini Ue. Adesso una buonissima fetta di questa popolazione vive esposta ai rischi crescenti di erosione ed inondazione. A causa del brusco innalzamento del Mare del Nord del 1953, il più terribile degli ultimi due secoli, morirono oltre 2.000 persone tra il Regno unito e l'Olanda. Adesso le capacità di previsione ed azione sono maggiori, ma è anche più alto il numero di cittadini a rischio e peggiore la situazione delle coste. Basta guardare a cosa è successo in Lettonia nel novembre del 2001. A causa dell'erosione, una parte delle dune del litorale di Jurmala nel Golfo di Riga si è squagliata durante una tempesta provocando l'inondazione dell'interno del paese, questa volta fortunatamente senza vittime.
L'erosione è un fenomeno naturale, e come tale la natura stessa ha la sua soluzione, che però non ha fatto i conti con l'intervento umano. Sabbia, pietra e ciottoli strappati dalle onde sono infatti naturalmente rimpiazzati dai sedimenti fluviali, dall'erosione delle falesie o dei banchi di sabbia marini. A rompere il meccanismo interviene l'uomo che preleva annualmente 100 milioni di tonnellate di sabbia che servirebbero a riapprovvigionare in maniera naturale gli habitat della costa e che invece finiscono per essere utilizzati nell'edilizia, per costruire barriere fluviali o per lavori di genio civile. A questo ritmo le zone naturali, di gran lunga l'arma più efficace per proteggerci dal mare, sono destinate a scomparire. Le barriere artificiali non hanno infatti la medesima efficacia: limitano localmente l'erosione ma non fanno altro che spostare di alcuni chilometri il problema. Il 63% degli 875 km di litorale che ha iniziato a subire gli effetti dell'erosione negli ultimi 20 anni si trova a meno di 30 km di zone costiere in cui sono stati effettuati degli interventi di protezione.
Lo studio di Eurosion consiglia una serie di azioni che partono proprio dal rafforzamento delle zone costiere di resistenza naturale: spiagge dunose (che oltretutto filtrano l'acqua potabile), lagune e laghi salati (che assorbono la violenza delle mareggiate e costituiscono un habitat prezioso per diverse specie). Per farlo si propone il monitoraggio delle zone in cui la produzione di sedimenti è più importante in modo da arrivare a creare delle «riserve strategiche di sedimenti» da cui prelevare materiale per puntellare altre zone senza compromettere l'equilibrio naturale. Quindi valutare economicamente il costo dell'erosione in modo da far ricadere anche sui privati - investitori e costruttori soprattutto - i rischi legati all'erosione. Si tratta di una formula che aumenta le responsabilità e quindi la vigilanza, mentre anche le responsabilità in attività che aumentano l'erosione dovrebbe venire inserita nella valutazione degli incidenti ambientali.
Infine lo studio propone di giocare in anticipo, non lavorare solo per stoppare l'erosione quando si produce ma pianificare delle soluzioni a lungo termine. I piani dovrebbero prevedere una valutazione approfondita dei rischi e dei costi e le conseguenze delle differenti azioni possibili, dalla protezione, a lasciare le cose come stanno, ad abbandonare la zona. L'ultima è la sconfitta che merita l'edilizia selvaggia, non la costa.
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