La Georgia, l'Europa e il disordine mondiale
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Con la crisi georgiana, il fronte della politica estera e militare dell’Unione europea si allarga al Caucaso. L’Unione europea ha ovviamente rapporti di politica estera con tutti i paesi del mondo, dall’America Latina, all’Africa, all’Estremo Oriente, ma è solo nel Mediterraneo che essa ha dovuto impiegare le sue scarse e poco efficaci forze militari in operazioni rischiose. Ora, si apre il fronte caucasico, di importanza strategica per i rifornimenti petroliferi europei, che non troverà certo una soluzione nel breve periodo, perché nel Caucaso sono in gioco gli interessi della Russia, degli USA e di altre potenze.
Trovare il filo di Arianna per dipanare questo intreccio di interessi e di ambizioni contrapposte è difficilissimo. Mi limito ad indicare un solo criterio: l’interesse dell’Europa alla propria sicurezza non coincide né con quello della Russia, né con quello degli USA. La linea di mediazione seguita dall’Unione in occasione della crisi georgiana, come l’ha espressa il presidente di turno Sarkozy, è velleitaria e fragile. Proprio come è accaduto in occasione dello scoppio della guerra in Iraq, quando Francia e Germania hanno assunto una posizione critica nei confronti degli USA, ma sono stati sconfessati da un gruppo di paesi filoamericani (Italia, Spagna e Gran Bretagna), oggi la storia si ripete. Sono i paesi baltici e la Polonia a invocare la protezione della NATO, sconfessando il tentativo europeo di agire al di fuori del quadro atlantico. In effetti, Sarkozy ha agito senza consultare la NATO. Ciò nonostante, il Consiglio dei Ministri degli Esteri dell’Unione - la Polonia e i paesi baltici compresi, - ha approvato all’unanimità la sua proposta di mediazione.
L’interesse alla sicurezza dell’Europa non coincide con quello della Russia, ma Russia ed Europa hanno un comune interesse ad una politica di buon vicinato. Quando si hanno interessi comuni, come quello della Russia a vendere energia all’Europa e quello dell’Europa a comprare energia, è sciocco discettare su chi dipende da chi. Il venditore dipende dal compratore e viceversa. Inoltre, la Russia ha bisogno delle tecnologie europee e della collaborazione economica europea. Unione europea e Russia hanno un intreccio di relazioni culturali e politiche (si pensi agli accordi Kyoto, sottoscritti dalla Russia, ma non dagli USA) che si possono mantenere e sviluppare solo con una politica di cooperazione. Da anni, le due parti stanno negoziando un patto di associazione e di buona vicinato, che ha già consentito di risolvere problemi spinosi, come quello della protezione delle minoranze russe nei paesi baltici.
Tuttavia, la politica di buon vicinato dell’Unione europea si scontra con le ambizioni di potenza della Russia e con quelle degli USA. Dopo la disgregazione dell’URSS, la Russia ha vissuto anni di crisi economica acuta e di emarginazione, per non dire di umiliazione, nel contesto della politica mondiale. Quasi tutti i paesi europei del vecchio impero sovietico sono entrati nella NATO e nell’Unione europea. Con Putin, ha ritrovato la via della ripresa e dell’orgoglio nazionale. Ora, vuole tornare a contare come potenza mondiale. Non tollera che gli USA armino la Georgia e non tollera che vengano posti dei radar in Polonia e nella Repubblica Ceca che possono rappresentare una minaccia alla propria sicurezza. L’invasione con i carri armati della Georgia, la minaccia di installare vettori atomici russi a Kaliningrad puntati sull’Europa, e l’accordo tra Russia e Bielorussia per una difesa aerea comune possono essere considerati una reazione eccessiva alla politica militare statunitense, ma ci si dovrebbe anche chiedere come reagirebbero gli Stati Uniti se la Russia volesse fare altrettanto nelle Americhe. Gli Stati Uniti hanno coniato la dottrina Monroe agli inizi dell’Ottocento e l’hanno rigorosamente applicata in più occasioni, compresa la drammatica crisi dei missili cubani, ai tempi di Kennedy. I russi applicano una sorta di dottrina Monroe nei paesi vicini. E l’Europa viene coinvolta in questo confronto neo-bipolare.
In verità, la crisi georgiana è un episodio di un problema più ampio: il declino dell’ordine monopolare statunitense. Gli Stati Uniti si sono illusi di poter intimorire la Russia armando un paese confinante e proponendo il suo ingresso nella NATO, insieme all’Ucraina. La risposta Russia rappresenta, al contrario, una umiliazione per gli USA, che non osano e non possono impiegare altre forze militari su un nuovo fronte terrestre, dopo quello dell’Iraq e dell’Afghanistan. Lo scacco degli USA rappresenta anche un’occasione per l’Unione europea di far sentire la propria voce. La sua sicurezza e la sua indipendenza sono messe in discussione dall’unilateralismo militare statunitense, prima in Iraq e ora in Georgia. L’Unione avrebbe dovuto affermare in modo forte e chiaro una propria linea di condotta. Ma la sua voce è flebile, confusa, quasi inesistente.
Ancora una volta, occorre constatare il divario tra quello che l’Unione potrebbe fare se unita politicamente e quello che invece non fa perché mantiene l’antica logica intergovernativa. Un’Unione con un governo federale e una propria difesa (non necessariamente un esercito da superpotenza) avrebbe potuto chiedere all’ONU, e ottenere, che Russia e USA lasciassero in pace la Georgia, offrendo all’ONU le sue forze militari per un’azione di peace-keeping. Avrebbe anche potuto rifiutare l’installazione dei radar americani sul continente europeo, provvedendo alla propria sicurezza con mezzi militari europei. La Russia può obiettare a un uso militare americano dello spazio europeo, ma non avrebbe nulla da obiettare a una difesa europea dell’Europa.
Il vecchio ordine monopolare statunitense mostra crepe sempre più ampie, dall’Afghanistan, al Pakistan e al Medio Oriente. L’unilateralismo americano, oltre a rendere l’Europa più insicura, apre una fase di disordine inquietante su scala mondiale. A fatica, si sta affermando un nuovo multipolarismo, con la Cina, l’India, il Brasile e altre potenze emergenti, come il Sud Africa, che intendono partecipare da soggetti attivi al governo degli affari mondiali. Quando, negli anni Trenta, è crollato l’ordine internazionale costruito dall’Europa, gli Stati Uniti hanno compreso che occorreva entrare sulla scena internazionale con idee nuove. Oggi, la situazione è profondamente mutata, perché la costruzione del nuovo ordine mondiale non dipenderà solo da una o poche potenze egemoni. Ma è certo che se l’Unione europea non riuscirà a darsi un proprio governo e i mezzi militari per una propria politica estera e della sicurezza si accresceranno le probabilità di gravi crisi internazionali; senza mettere in conto la crescente incapacità di far fronte all’inquinamento planetario che minaccia di trasformarsi in una catastrofe, con conseguenze ben più gravi delle ferite che le potenze mondiali possono provocarsi reciprocamente.
Invece di tentare inutili giri di valzer fuori e dentro la NATO, l’Unione europea farebbe bene a dotarsi di un governo efficace e di una chiara linea di intervento in politica estera. La linea maestra della politica estera dell’Europa nel mondo è inscritta nella sua storia di integrazione tra stati e popoli un tempo rivali. La pace in Europa è stata costruita con la creazione di istituzioni sovranazionali che hanno garantito alcuni beni pubblici essenziali, come il Mercato comune e la moneta europea. Oggi, su scala mondiale è necessario cominciare a gettare le fondamenta di un ordine sovranazionale. Uno dei grandi beni pubblici mondiali (o global public good), di cui si sottovaluta l’importanza, è una forza militare permanente di rapido intervento a disposizione dell’ONU. Se questa forza fosse esistita ai tempi della guerra in Iraq, gli Stati Uniti non avrebbero potuto pianificare un intervento unilaterale, senza scartare con valide ragioni la possibilità di impiegare la forza dell’ONU. E lo stesso avrebbe dovuto fare la Russia nel recente intervento in Georgia.
La pace nel mondo non si costruirà con un patto solenne, com’è avvenuto in Europa con la Dichiarazione Schuman, né con un colpo di mano da parte di una o poche potenze. Si costruirà con proposte che affrontino realisticamente il problema della sicurezza internazionale con istituzioni comuni. Bisogna imbrigliare la selvaggia sovranità degli stati nazionali, con regole e procedure che rendano la guerra sempre più difficile. L’Unione europea è la sola potenza mondiale che può autorevolmente proporre la creazione dei primi beni pubblici mondiali. La sua storia, per confusa che sia, glielo consente. La pace mondiale va costruita con progetti concreti e con la persuasione, non con l’arroganza di chi vuole far valere la forza delle armi.
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