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Quando le nuove tecnologie grondano sangue

Il Congo e la drammatica corsa al Coltan

Columbite and Tantalite, minerali che costituiscono il Coltan, sono presenti nel sottosuolo del Congo. Ne deriva il Tantalum, materia prima per interrutori elettrici usati dai computer ai cellulari. Più del 80 % dei depositi di Tantalite sono in Congo. Pare sia stata questa la ragione della guerra civile in Congo.
4 maggio 2005
Marina Rini

Il coltan è una specie di sabbia nera radioattiva e preziosissima. È il nuovo business della Repubblica democratica del Congo. Senza, non esisterebbero telefonini, aerei e PlayStation2.

KINSHASA. Martin Nkibatereza si alza, raccoglie la sua sabbia nera e la mette in un sacchetto di plastica. Sono almeno due ore che scava e spezza le rocce con il piccone sotto il sole cocente. Si asciuga il sudore della fronte con uno straccio lercio e lurido e si ripara all'ombra di un mango per consumare il suo pasto frugale: farina di manioca stemperata nell'acqua. Ciononostante l'uomo è contento. Sa che la sua fatica sarà ricompensata da un buon gruzzolo di dollari. Ha però un po' di paura. La zona è piena di ribelli che ogni tanto, specie quando sono ubriachi, attaccano sparando all'impazzata, senza un obiettivo preciso. Così, per seminare terrore tra i civili. Tutt'intorno ci sono uomini armati che guardano e controllano. L'area da proteggere è strategicamente importante, qui dalle miniere a cielo aperto si estrae il coltan, il minerale più ricercato del momento. Al calar del sole centinaia di uomini come Martin escono dalle buche scavate nel terreno e dalle lunghe trincee che tagliano le colline, trasportando con fatica i loro sacchi di plastica. Siamo nella giungla tropicale della Repubblica democratica del Congo, nella parte orientale del Paese, dove dall'agosto 1998 infuria la guerriglia. Da una parte ci sono i ribelli e i loro alleati, soldati ugandesi e ruandesi che occupano il territorio congolese, dall'altra le milizie hutu che sostengono il governo di Kinshasa. In palio ci sono le immense ricchezze del sottosuolo: oro, diamanti, rame e ora anche il coltan, un minerale raro che contiene tantalio e niobio (che un tempo di chiamava colombite). Per sfruttare le miniere ci si sono messi in tanti: sudafricani, americani inglesi e ora anche i russi e i kazaki, che fanno la parte del leone.

FINO A QUALCHE TEMPO FA NESSUNO LO VOLEVA.

Due volte alla settimana un uomo chiamato Pierre arriva in miniera e compra i sacchetti di sabbia nera a dieci dollari ciascuno. Nessuno di quelli che lo scavano sa perché quell'uomo sia così interessato ad acquistare fango. "Il coltan? Nessuno sa cosa cos'è", risponde Martin asciugandosi il sudore, "è utile?". "Il coltan", spiega il vecchio gestore delle miniere del Congo quando ancora si chiamava Zaire, "veniva sfruttato anche prima della Seconda guerra mondiale, ma è diventato strategico solo da qualche anno. Prima valeva pochissimo e nessuno voleva estrarlo. Spaccare le pietre sotto il sole non è un lavoro piacevole. Ora è richiestissimo dall'industria ultratecnologica e le concessioni si sono moltiplicate". A cosa serve il coltan? A vederlo così non somiglia a niente. Solo fango di sabbia nera con qualche debole scintilla di luce, come se fosse quarzo. Se gli si avvicina una calamita si attacca. In realtà il coltan è un minerale dall'importanza economica e strategica immensa. In particolare, spiegano gli esperti, serve a ottimizzare il consumo della corrente elettrica nei chip di nuovissima generazione. Nei telefonini, per esempio, o nelle telecamere o nei computer portatili dove il problema più difficile da risolvere è quello della durata delle batterie. I condensatori al tantalio permettono un risparmio energetico e quindi una maggiore versatilità dell'apparecchio. Questa la spiegazione ufficiale. Ma parlando con i commercianti che esportano il coltan viene fuori un'altra strana verità. Il coltan è radioattivo e contiene anche un bel po' di uranio. Non è forse che questo faccia gola più della tantalite? Il commerciante che regala una bustina di polvere di coltan a Butembo, nella parte nordorientale del Congo, quella per intendersi controllata dagli ugandesi, consiglia vivamente: "Non la tenga in tasca, per carità! La radioattività potrebbe danneggiare i suoi organi genitali". Oltre a essere l'ingrediente fondamentale nella costruzione dei nostri telefoni cellulari, il coltan è usato nell'industria aerospaziale per fabbricare i motori dei jet, oltre agli air bag, ai visori notturni, alle fibre ottiche. L'anno scorso quando in tutto il mondo occidentale la gente impazziva perché nei negozi la PlayStation 2 era introvabile, si era diffusa la voce che la vera ragione fosse la carenza sul mercato della sabbia nera che ogni giorno Martin Nkibatereza e i suoi colleghi estraggono dalle miniere nella foresta africana. Per alcuni mesi la guerra ha impedito il lavoro nelle miniere e il coltan non ha potuto raggiungere le sedi della sofisticata industria hi-tech. Il prezioso minerale è naturalmente anche la causa della guerra che sta devastando il Paese. I proventi della vendita del minerale servono infatti a pagare i soldati e ad acquistare nuove armi.

MORTI DI FATICA PER SFAMARE L'ESERCITO

Il Congo orientale è la più grossa riserva al mondo di coltan, e in meno di due anni il valore del minerale è cresciuto a dismisura. Fino alla settimana scorsa i ribelli che controllano l'area hanno rivendicato il monopolio sulle esportazioni. "Siamo in guerra", argomenta Bizima Karaha, uno dei leader dell'Rcd, "dobbiamo mantenere i soldati e tutta la logistica a loro necessaria". "La realtà è che la popolazione lavora fino allo sfinimento fisico nelle miniere unicamente per sfamare l'esercito che ha trovato nel prezioso minerale un'inesauribile fonte di arricchimento", risponde Erik Kennes un economista belga che sta studiando le implicazioni economiche e politiche del "miracolo coltan". Prima della guerra il Kivu, la regione orientale del Congo, era un'area molto fertile e aveva la reputazione di essere il granaio del Paese. Riforniva di carne e verdure Kinshasa, la capitale distante 1.600 chilometri. Con l'occupazione ribelle il canale commerciale è stato definitivamente interrotto e la gente ha cominciato a chiudere tutte le attività, comprese quelle agricole e pastorali. Da febbraio a dicembre 2000 interi villaggi - si calcola oltre 10 mila persone - sono stati trasferiti nella zona dei giacimenti del coltan. L'organizzazione svizzera World Conservation Union ha lanciato un grido di allarme chiedendo alla comunità internazionale di boicottare il commercio del minerale. Secondo gli ambientalisti elvetici le miniere a cielo aperto congolesi stanno danneggiando l'ecosistema di due riserve naturali considerate universalmente protette dalla convenzione dell'Unesco World Heritage.

VITTIME TRA LE POPOLAZIONI INDIGENE

Nei parchi nazionali di Kahuzi-Biega e Okapi si sono riversate migliaia di persone che stanno alterando l'equilibrio ecologico della foresta abbattendo alberi e uccidendo gli animali per nutrirsi. La febbre di questo nuovo oro nero ha già provocato un numero alto e imprecisato di vittime tra la popolazione indigena della tribù Mbuti, oltre all'uccisione di numerosi elefanti e alcune specie di gorilla. Quando alla Borsa di Londra il prezzo del minerale si è moltiplicato per dieci raggiungendo un picco di 400 dollari al chilo, i guerriglieri del ribelle Rassemblement Congolais pour la Democratie (Rcd), che governa la parte del Congo occupato dalle truppe ruandesi, ha persino ordinato di sospendere l'estrazione dell'oro per cercare il coltan. "Con la vendita dei diamanti riusciamo più o meno a guadagnare 200 mila dollari al mese", dichiara Adolphe Onusumba, presidente della fazione ribelle che controlla anche la regione diamantifera di Kisangani, "con il coltan arriviamo a guadagnare oltre un milione di dollari al mese". I soldi servono a pagare la logistica militare, il carburante degli automezzi e degli aerei, il cibo ai 40 mila soldati attestati su un fronte lungo 1.600 chilometri e, naturalmente, le armi. "In realtà solo una piccola parte di sabbia nera ha un certo valore", afferma Bernard, uno dei 19 comptoir, cioè compratori al dettaglio del Kivu, subito dopo aver chiuso il suo telefono portatile con cui stava parlando a un uomo d'affari tedesco, "una volta acquistati, i sacchetti vanno analizzati e ripuliti". Da qualche mese Bernard ha la tendenza a frenare gli acquisti. È una resistenza passiva, spiega, mostrando le carte che rivelano affari per poche migliaia di dollari. Il malcontento ha investito tutti i compratori locali del minerale da quando l'Rcd, fiutando il business, ha deciso di serrare le briglie e di imporre il monopolio sulle vendite all'estero. I commercianti locali dichiaravano di aver comprato 40 tonnellate al mese e su quelle pagavano le tasse mentre i dirigenti ribelli addetti alle finanze sapevano che ne rivendevano oltre 140 tonnellate in nero. Inoltre mentivano anche sul prezzo: sulla carta dichiaravano otto dollari al chilo, in realtà ne guadagnavano da 30 a 80, secondo la qualità. Dallo scorso novembre tutti i comptoir si sono visti annullare le loro licenze commerciali e sono stati obbligati a rivendere il coltan a una nuova società creata per l'occasione, la Société minière des Grands Lacs (Somigl), di cui il Rassemblement congolese detiene il 75 per cento del capitale. La Somigl versa nelle casse del gruppo di occupazione ribelle dieci dollari per ciascun chilo esportato. Nelle prime due settimane di attività la società ha già esportato più di 30 tonnellate di coltan, per un ricavo di 550 mila dollari, cifre da capogiro. La ragione ufficiale dell'istituzione di un regime di monopolio è quella di "combattere le frodi", controllando l'esportazione. Invece, secondo i comptoirs, i ribelli ruandesi intendono solo riempire le loro casse di denaro.

NIENTE DI NUOVO IN CONGO

Dall'inizio della guerra, nel 1998, tutti i belligeranti stranieri - compresi Zimbabwe, Angola e Namibia, amici del governo di Kinshasa - si sono buttati sulle enormi ricchezze del Congo. "È tornato il Congo di Leopoldo II. Chiunque può venire e prendere la sua parte", ironizza un prete cattolico di Goma. In effetti, prima dell'ordinanza sul monopolio delle esportazioni, i soldi gestiti dai compratori locali circolavano tra la popolazione. Oggi il milione di dollari mensile guadagnato nell'esportazione del coltan rimane solo a disposizione dei leader dell'Rcd. La rabbia dei commercianti è diventata ancora più forte quando i leader dell'Rcd hanno affidato la gestione e la direzione della Somigl a una donna ricca dal passato oscuro e la reputazione solforosa: Aziza Gulamali Kulsum, una meticcia araba e burundese di etnia hutu. Proprietaria di una fabbrica di sigarette a Bukavu, al confine con il Ruanda, la donna dirige anche la propria attività di comptoir con una catena di negozi che acquistano la preziosa sabbia nera direttamente dai minatori. Per anni Aziza è stata la principale finanziatrice della ribellione hutu in Burundi che dispone di basi segrete anche in Congo. La donna ha costruito un impero fondato su un gigantesco contrabbando di sigarette, oro, avorio, diamanti, armi, e ora anche di coltan. "Quando il prezzo del coltan è salito alle stelle", racconta il presidente dell'Rcd, "stavamo cercando una figura che potesse aiutarci a fare dei soldi e gestire il monopolio per il commercio del minerale. Abbiamo pensato subito a madame Gulamali perché conosce ogni canale legale e illegale di questo Paese. E poi da quando collabora con noi ha smesso di vendere le armi agli hutu". Dopo l'allontanamento della ribellione hutu dal Congo orientale, grazie all'occupazione dell'esercito tutsi ruandese, mascherato da ribellione interna, pare che la donna abbia deciso di prendere le distanze dai suoi vecchi amici ed entrare in affari con i nuovi leader venuti da Kigali.

CARNEFICI E VITTIME D'ACCORDO IN NOME DEL COLTAN

Tuttavia i bene informati rivelano che la società di Aziza, la Shelimed, compra la sabbia nera da chiunque, anche dalle miniere controllate dagli attuali nemici dei suoi soci e dalle milizie hutu ruandesi che hanno bisogno di denaro contante per comprare i kalashnikov. Gli autori e le vittime del genocidio ruandese sembrano così aver inventato un modello di esistenza basato sul commercio. La leggendaria madame si interessa personalmente a tutto. È lei che controlla la merce e si assicura che la sabbia nera sia imbarcata a bordo di aerei protetti dalle squadre speciali dell'esercito ruandese, per essere esportato a Kigali. Nelle zone controllate dagli ugandesi, invece, il monopolio non è mai esistito. A Butembo, per esempio, operano sei grossi compratori stranieri, ufficialmente in concorrenza tra loro. Lo strano, però è che operano in sordina, discretamente. La visita in uno di questi uffici se da un lato lascia insoddisfatti, dall'altra sorprende. Gli impiegati stranieri, a parte un ugandese, sono tutti ex sovietici: russi o kazaki, forse, i quali non vogliono rivelare la loro identità. "Meglio che non le diciamo i nostri cognomi. Io sono Alexiei, lui è Misha. Niente di più. Viviamo in Sudafrica da anni e ora siamo qui solo per seguire il business del coltan". Ma chi lo compra? Solo alla fine di una conversazione che dura più di un'oretta si riesce a strappare a denti stretti: "Il Kazakistan". Informazioni riservate in possesso delle Nazioni Unite rivelano che in Kazakistan è diretta la maggior parte del coltan estratto da queste parti e che a organizzare il traffico sia addirittura la figlia del presidente kazako, Nursultan Nazarbaev, attraverso società di comodo e partner belgi. Particolare inquietante, la figlia di Nazarbaev è sposata con Vassili Mette, direttore generale della Ulba, la società kazaka che si occupa dell'estrazione e della raffinazione dell'uranio e che possiede uno degli impianti più grandi del mondo. Naturalmente non sarebbero estranei al traffico i familiari dei presidente ugandese Yoweri Museveni, e in particolare il fratello Salim Saleh, noto per avere lo zampino in qualunque affare poco pulito che coinvolga il suo Paese.

UN'INCHIESTA DELL'ONU

Il traffico illegale di materie prime del Congo è diventato talmente drammatico che il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha istituito una commissione di inchiesta che sta attualmente indagando sullo sfruttamento illegale delle risorse congolesi, tra cui il coltan, e del collegamento con il conflitto in corso. Un primo rapporto degli esperti delle Nazioni Unite è appena stato pubblicato rivelando che "le attività commerciali dei Paesi stranieri "invitati" da Kinshasa e "non invitati" presenti in Congo oltrepassano la qualifica di "sfruttamento illegale", ma sono diventate un vero e proprio "saccheggio sistematico" delle ricchezze del ricchissimo Paese. I destinatari finali sono, per ordine di importanza, i seguenti Paesi: Stati Uniti, Germania, Belgio e Kazakistan". Lo sfruttamento delle materie prime è una partita di poker che si gioca fra più fazioni su un campo in rovina. Ma fino a quando? A Bruxelles all'Istituto di studi internazionali sulla tantalite, frenano gli entusiasmi sulla frenesia attuale che circonda il miracoloso minerale. La crescita favolosa del prezzo del coltan nel 2000 è stata eccezionale, ma la tendenza attuale è un po' al ribasso. L'Africa deve fare i conti con la concorrenza dell'Australia e del Brasile, che stanno scoprendo giacimenti di colombite-tantalite. Difficile dire se la febbre del coltan rimarrà solo un miraggio. È certo però che la strana sabbia nera è un anello indispensabile della catena lucrativa che è alla base della cosiddetta new economy, e l'industria hi-tech continuerà a finanziare la più grande e sanguinosa guerra africana. Per il momento, senza sapere il perché, i contadini nella foresta congolese continuano a riempire i loro sacchetti di sabbia.

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