Bolivia: cacciato l'ambasciatore americano Goldberg
L'evidente tentativo di forzare l'ordine costituzionale in Bolivia da parte dei prefetti separatisti, tramite l'utilizzo di gruppi paramilitari che cercano di rovesciare con la violenza il governo di Evo Morales, perlomeno è riuscito a far alleare tutti i paesi sudamericani nell'esprimere solidarietà a La Paz, anche quelli politicamente più distanti come il Perù di Alain Garcia e la Colombia di Alvaro Uribe. Palacio Quemado però non ha da risolvere soltanto la crisi interna determinata dai governatori separatisti dell'oriente del paese, ma anche quella apertasi con gli Stati Uniti, dovuta all'espulsione dell'ambasciatore americano Goldberg, in cui è intervenuto anche il Venezuela di Chavez. Il presidente bolivariano ha scelto la strada dell'espulsione dell'ambasciatore Usa, Patrick Duddy, per esprimere tutto il suo appoggio alla Bolivia, il paese maggiormente legato al Venezuela per via dell'Alba (Alternativa Bolivariana per le Americhe), oltre che per denunciare i tentativi di destabilizzazione in atto nel suo paese ad opera degli Stati Uniti. Quindi, il primo dato di fatto è che la crisi rischia di allargarsi a tutto il continente sudamericano e alla protesta contro le ingerenze statunitensi, il secondo dato significativo segnala che per la seconda volta nel giro di pochi mesi sorge una disputa tra paesi latinoamericani e gli Stati Uniti dopo quella manifestatasi in seguito allo sconfinamento delle truppe colombiane in Ecuador e conclusasi con l'uccisione di Raul Reyes: in quel caso l'unica differenza riguardava il sostegno reciproco tra la Casa Bianca e Palacio Nariño, mentre la maggior parte del Latinoamerica esprimeva solidarietà a Rafael Correa.
Nella media luna boliviana la situazione stava quotidianamente peggiorando da almeno tre settimane, con l'occupazione di raffinerie, il blocco delle vie di comunicazione utili a rifornire di gas Brasile e Argentina e dell'aeroporto di Tarija, infine azioni di violenza e vandalismo dietro le quali si celavano gli organizzatori della Union Juvenil Cruceñista (Ujc). Proprio militanti della Ujc sembrano essere i principali responsabili del massacro avvenuto nel municipio di El Porvenir (a trenta chilometri da Cobija, capitale dipartimentale del Pando), dove quattordici aderenti alla Federación Campesina sono stati uccisi nel corso di una manifestazione. Inoltre, sembra che proprio il governatore del Pando, Leopoldo Fernandez, sia responsabile della formazione e dell'addestramento di cecchini e pistoleros appartenenti ai comitati civici che hanno sparato senza pietà sulla manifestazione provocando non solo morti, ma un alto numero di feriti e dispersi.
In questo contesto, nonostante l'opposizione separatista abbia volutamente alzato il tiro senza quindi prendere assolutamente atto dell'esito del referendum dello scorso agosto (che aveva comunque ampiamente riconfermato Morales, nonostante nell'Oriente boliviano tutti i governatori ribelli fossero stati a loro volta riconfermati con l'esclusione di Manfred Reyes Villa a Cochabamba), il presidente boliviano ha scelto di instaurare il dialogo con le istituzioni dei dipartimenti della media luna. Ai tentativi di pacificazione si sono aggiunti tutti i presidenti latinoamericani, pur deplorando le spinte secessioniste in atto. Il cancelliere del Cile Alejandro Foxley, in qualità di rappresentante pro-tempore di Unasur (Unión de Naciones Suramericanas), ha rilasciato una dichiarazione in cui si sottolinea l'auspicio dei paesi latinoamericani ad un immediato ripristino delle condizioni di agibilità democratica in Bolivia. La posizione espressa da Unasur (comprendente Brasile, Argentina, Colombia, Guyana, Paraguay, Uruguay, Cile, Ecuador, Perù, Suriname, Venezuela e la stessa Bolivia) è stata ribadita dalla Can (Comunidad Andina de Naciones), presieduta attualmente dal presidente ecuadoriano Rafael Correa, che ha convocato ad ottobre un vertice per discutere della situazione. Incassata quindi la solidarietà dai suoi omologhi latinoamericani, lo sguardo di Morales si sposta ora verso gli Stati Uniti, che per rappresaglia hanno a loro volta espulso l'ambasciatore boliviano (oltre a quello venezuelano). La grande stampa italiana è rimasta stupita dall'espulsione di Goldberg dalla Bolivia, chiedendosi quali interessi ci potrebbero mai essere per l’amministrazione statunitense verso questo paese andino e ignorando l'inquietante curriculum dell'emissario di Washington a La Paz. In realtà le motivazioni che spingono gli Usa a controllare la Bolivia sono molteplici. Goldberg è strettamente legato all'addetto alla sicurezza del Dipartimento di Stato americano Vincent Cooper, responsabile di aver spinto il borsista statunitense Alex Van Schaick (in Bolivia nell’ottobre 2007 per una ricerca su questione agraria e lotte contadine) a denunciare al governo americano qualsiasi persona venezuelana o cubana incontrasse durante la sua permanenza nel paese. Fortunatamente il tentativo di arruolamento di Van Schaick sotto la copertura di studente con licenza di spionaggio andò a vuoto proprio per la coraggiosa denuncia dello stesso Van Schaick pubblicata sul quotidiano "Il Manifesto" lo scorso 15 Febbraio 2008. Cooper fu poi dichiarato "persona non gradita" dal governo Morales. Sempre Goldberg si è reso più volte protagonista di visite interessate ai prefetti dell'oriente boliviano, un dato non trascurabile considerato che il suo precedente incarico era stato quello di responsabile della missione americana in Kosovo, dove ha contribuito allo scoppio della crisi nella ex-Yugoslavia, da cui la ricorrente accusa di voler "balcanizzare" la Bolivia. Infine, come riporta l'associazione Yaku (vedi www.yaku.eu), Goldberg è stato ritratto a fianco di un paramilitare colombiano, mentre si trovava in Bolivia, in una foto alla fine del 2007. L'invio di Goldberg in Bolivia, servito anche per curare gli interessi poco chiari dell'agenzia di cooperazione statunitense Usaid, è stato deciso dalla Casa Bianca per tutelare le riserve di gas del ricco oriente del paese, impedirne la nazionalizzazione da parte del governo boliviano ed evitare la formazione dell'asse Bolivia-Venezuela.
La storia, per certi aspetti, si ripete: nel 2002 l'allora ambasciatore Usa Manuel Rocha accusò Evo di essere un narcotrafficante (trasformandosi paradossalmente nel suo miglior agente pubblicitario per la campagna elettorale, come sottolineò ironicamente lo stesso Morales), oggi la Bolivia si è trasformata in uno dei paesi simbolo dell'America Latina che prova a rifiutare il neoliberismo e le imposizioni dell'ingombrante vicino nordamericano e dei suoi alleati in loco.
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