Appello: cancelliamo il debito estero di Haiti
Uno dei provvedimenti da prendere con urgenza per alleviare le immani sofferenze del popolo haitiano consiste nella cancellazione di una buona parte dei 641 milioni di dollari del debito estero dovuto dal Paese. La proposta è stata formulata nelle ultime ore dalla rete internazionale Jubilee. Proprio grazie agli sforzi di Jubilee, già nel giugno del 2009 sono stati rimessi i debiti contratti da Haiti fino al 2004 – per un totale di un miliardo e 200 milioni di dollari. La metà della somma dovuta al momento deve essere ripagata al Fondo monetario internazionale e alla Banca interamericana di sviluppo. L’esecutivo di Port au Prince aveva in programma di restituire 10 milioni di dollari entro la fine del 2010, ma con la situazione attuale è chiaramente impossibilitata a farlo, visto che i fondi servono per l’emergenza e la ricostruzione. Per Jubilee l’amministrazione Obama deve usare il suo considerevole potere politico all’interno delle due istituzioni multilaterali succitate per chiedere la cancellazione, domandando in subordine una moratoria immediata. L’Osservatorio sull’America Latina SELVAS si unisce alla Campagna per
Durante il Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre nel gennaio 2005 ho incontrato Camille Chalmers, rappresentante GIUBILEO Sud in Haiti e segretario di PAPDA, ho apprezzato il suo carisma, il suo impegno contro la dittatura Duvaliers che l’ha torturato ferocemente, responsabile di quel debito “ODIOSO” e “ILLEGITTIMO” che il popolo haitiano non deve continuare a pagare; la sua cancellazione deve rappresentare una “risorsa etica” destinata alla ricostruzione.
In una recente Intervista, Camille Chalmers ha affermato che “l’economia del Paese ha subìto negli ultimi anni un costante deterioramento, ben rappresentato dalla svalutazione del gourde, la moneta nazionale, nei confronti di quella statunitense: nel 1994 ne servivano 7 per acquistare un dollaro, oggi 35. La disoccupazione supera il 70 per cento della popolazione economicamente attiva e l’apertura commerciale e finanziaria ha reso fiorente il settore bancario, ma ha portato al collasso interi settori produttivi. Il Paese è divenuto ancor più dipendente dall’estero, tanto che oggi importa l’80 per cento del proprio fabbisogno di riso, mentre nel 1972 era autosufficiente, e sono stati persi altri 800 mila posti di lavoro. Questa crisi è legata alla transizione politica iniziata nel 1986 con la cacciata del dittatore Jean-Claude Duvalier e mai giunta a compimento a causa del conflitto tra le spinte democratiche del movimento popolare e la volontà degli Stati Uniti e dell’oligarchia locale di mantenere il controllo sul Paese. A questo scopo, Washington cerca di presentare quello haitiano come uno Stato «in bancarotta», al fine di giustificare un proprio intervento per la difesa della democrazia e la ricostruzione del Paese, naturalmente garantendo contratti miliardari alle imprese transnazionali. In questo senso
GIUBILEO AMERICHE ha appena lanciato un appello (per adesioni scrivere a: haiti@jubileesouth.org ) sottolineando che “negli ultimi anni abbiamo denunciato insieme a molte organizzazioni sociali di Haiti, l’occupazione militare da parte delle truppe ONU e l’impatto della dominazione imposta attraverso il debito estero, il libero commercio, il saccheggio della natura e l’invasione degli interessi trans-nazionali. La condizione di vulnerabilita’ del paese in relazione alle tragedie naturali –provocate per la devastazione dell’ambiente, per l’inesistenza di infrastruttura basica, per l’indebolimento della capacita’ di azione dello stato, non e’ scollegata da queste azioni, che storicamente calpestano la sovranita’ del popolo”.
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