Giulietto Chiesa: «La verità non è nascosta in una grotta afgana»
«Perché quel giorno non furono eseguite le procedure operative standard per la gestione del dirottamento di voli di linea?». «Perché durante l'attentato non furono attivate le imponenti batterie missilistiche e le difese aeree schierate intorno al Pentagono?». «Perché Sibel Edmonds, una ex traduttrice del Fbi che sostiene di essere a conoscenza di avvertimenti precedenti all'attentato, è stata pubblicamente messa a tacere con una ordinanza di divieto a parlare, richiesta dal procuratore generale Ashcroft e comminata da un giudice nominato da Bush?».
Belle domande, solo tre delle dodici, tutte stringenti, avanzate da un gruppo di sopravvissuti e familiari delle vittime dell'11/9. E solo tre, delle tante, tantissime, tutte stringenti, che ormai da sei anni vengono poste, sollevate, gridate in decine, centinaia, migliaia di articoli, inchieste, denunce, libri, che su quel giorno fatale delle Torri Gemelle sono apparsi in tutto il mondo. Ora questo volume curato da Giulietto Chiesa - Zero. Perché la versione ufficiale sull'11/9 è un falso , (Piemme, pp. 412, euro 17) è come la summa e il rilancio della tesi ormai ampiamente diffusa e fondata su un solo assunto: «La verità ufficiale sul WTC è una menzogna di proporzioni planetarie. Un complotto contro l'umanità».
La lettura di questo libro è indiscutibilmente del genere "inquietante", non fosse altro per la pesantezza e la quantità degli indizi raccolti e messi in fila (del resto è operante dal 2003 negli Usa il "Movimento per la verità sull'11/9", il 42 per cento degli americani, sondaggio del maggio 2006, pensa che la Commissione d'inchiesta governativa non sia attendibile e da più parti si chiede una inchiesta internazionale).
La "pistola fumante" non c'è (o non c'è ancora), ma pagine e pagine di stranezze, incongruenze, depistaggi, e misteri mettono insieme una montagna troppo grande di sospetti per essere aggirata. O, tanto più, ignorata.
I "Complottisti" - anzi "Cospiratisti", come vengono chiamati - sono ormai, oltre che numerosi, anche una categoria nota e abbondantemente "mostrificata". E tra gli scettici, quelli che non concedono credito ai cospiratisti, c'è pure un'icona intangibile della sinistra come Noam Chomsky.
«Noi siamo partiti dalla necessità della ricerca della verità, ben sapendo che essa non è celata in un posto solo. Meno che mai in una grotta afgana»: questo, scrive Giulietto Chiesa, il senso del libro. Una lunga ricerca a più mani, alla quale hanno contribuito storici, ricercatori, professori universitari, matematici, ingegneri, uomini politici, scienziati, giornalisti. Ricerca appunto, ricerca senza nessun manicheismo e senza pretesa di possedere la verità assoluta. Ma con un punto di partenza preciso. «Noi sappiamo dalla "prova di Godel" che la quantità di proposizioni vere non dimostrabili è infinita, ma abbiamo sperimentato che è possibile dimostrare la falsità di un numero definito di proposizioni false». Dimostrare - fine del tabù - che «la versione ufficiale è falsa».
Va in pezzi, ad esempio, sotto la critica impeccabile di David Ray Griffin, uno dei quattordici "nomi" che hanno contribuito al volume, l' impianto (571 pagine) del "Rapporto della Commissione d'inchiesta sull'11 settembre", proprio la Commissione ufficiale, quella istallata dal governo Usa, composta da settantacinque membri, un direttore esecutivo e dieci commissari. «Dimostrerò che il Rapporto costituisce, di fatto, un insabbiamento di proporzioni colossali».
E, francamente, Griffin vi riesce. Tanto per cominciare, dal momento che i membri della Commissione risultano essere "tutti uomini del Presidente", in realtà «la Commissione rappresentava la Casa Bianca che indagava su se stessa».
Per esempio, c'è la questione del crollo delle Torri Gemelle che, secondo il Rapporto, sarebbe avvenuto per effetto dell'impatto degli aerei e del conseguente incendio. Strano, il Rapporto «non ha neppure ricordato che il crollo di ognuna delle Torri ha almeno dieci delle caratteristiche tipiche del genere di demolizione controllata noto come "implosione", nella quale l'edificio sprofonda al suo interno».
La descrizione di come il crollo è avvenuto, è effettivamente impressionante. Di colpo, in perpendicolare, alla velocità virtuale di caduta libera e totale. Vale a dire che i due edifici, alti 110 piani, 417 metri, «si ridussero a un cumulo di macerie alto appena pochi metri». Evento inspiegabile, tanto più che il nucleo di ciascuna delle Torri consisteva di 47 solidi pilastri d'acciaio. Inspiegabile, anzi praticamente impossibile, «a meno che non sia stato utilizzato l'esplosivo». Che dice allora Il Rapporto? Un bel niente, se la cava, semplicemente negando l'esistenza dei pilastri, «l'ossatura degli edifici era formato da un fusto d'acciaio cavo»...
E c'è anche il mistero del famoso edificio 7, il quale, a differenza delle Torri, non fu colpito dall'aereo, eppure crollò alla velocità di caduta libera. Una circostanza che anch'essa, ancor più che per le Torri, fa pensare «a un'implosione pianificata». Ma che dice al riguardo la Commissione? «Ha scantonato le numerose contraddizioni semplicemente - e ha del'incredibile - omettendo di menzionare il crollo dell'edificio 7».
Il Movimento per la verità dell'11 settembre, ha appurato, tra l'altro, che i caccia, per quanto riguarda il volo 11 (uno degli aerei della American Airlines dirottati) non si mossero affatto dopo le 8,21, (25 minuti prima che la Torre Nord fosse colpita), ma se la presero molto comoda. Perché? Non si sa, la Commissione ha omesso di rispondere...
E che dire della sbalorditiva circostanza (leggere il contributo di W. Griffin Tarpley), grazie alla quale, proprio la mattina dell'attacco, «era in programma una serie di esercitazioni militari delle forze aree statunitensi» che, assai provvidenzialmente, «dislocarono la gran parte dei caccia intercettatori molto lontano dal luogo della strage?» Silenzio della Commissione. E il famoso areo precipitato sul Pentagono con una virata di almeno 270 gradi? «Non si trovarono, nè si trovano oggi, i resti del velivolo, così come dei passeggeri e dei bagagli».
Sono solo alcuni degli indizi, ma il libro è un'accusa imponente. «Questo lavoro vuole anche essere la descrizione e l'analisi di quel tabù che attanaglia da sei anni la politica mondiale, che ha trasformato l'intera politica internazionale in una interminabile giaculatoria il cui mantra obbligatorio è la ripetizione rituale della necessità "di combattere il terrorismo internazionale". L'11 settembre 2001 ha segnato l'innalzarsi di un totem tragico sulle nostre teste. Una cerimonia di sangue, con il sacrificio umano di tremila innocenti, ha celebrato una nuova era di terrore collettivo. Tutti dovevano assistere, e infatti hanno assistito. Anzi si potrebbe dire che l'11 settembre è stato pensato per essere visto da tutti. Un 11 settembre senza televisione globale non sarebbe servito».
Perciò si può ben dire che l'11 settembre è stato un grande successo: per il Patriot Act, per la Pax Americana, per l'Impero Egemone, per la Dottrina della guerra preventiva. Tutto ciò che abbiamo dovuto conoscere dopo l'11/9. Tutto ciò che non nasce in una grotta afgana, ma proprio là, nella Casa Bianca dell'era Bush. No, non siamo "tutti americani".
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