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"Non aprire mai"

Un libro sul Kosovo, raccontato con gli occhi di Francesca Borri
18 agosto 2008

"Non aprire mai" di Francesca Borri

Francesca Borri
“Non aprire mai”
Edizioni La Meridiana

Ma quanti serbi sono rimasti nella capitale del Kosovo, a Prishtina? L'autrice del libro, Francesca Borri, c'è stata lì e ci infila il numeretto che la sconvolge: forse cinquanta. Erano cinquantamila prima della guerra "contro la pulizia etnica" promossa da Nato-Clinton-D'Alema. Poi è tornata la pace, la tolleranza e la democrazia e i serbi a Prishina scendono a trecento e infine vengono confinati "in un parallelepipedo di cemento che chiamano the cage", ossia "la gabbia" dei cinquanta.

A pagina 14 c'è la frase che mi spiega tutto il libro: "qui dove ognuno continua a non capire".

Conosco Francesca Borri perché è venuta a Firenze all’ultimo incontro di PeaceLink. Ne ho subito colto una sorridente intelligenza.

Quando per la prima volta ho sfogliato "Non aprile mai" sono rimasto interdetto: mancavano le maiuscole, non trovavo molti segni di punteggiatura e gran parte delle regole sintattiche che in genere... insegno a scuola. Ma che razza di libro era questo?

Ho letto e riletto parecchie volte prima di ambientarmi in un libro magro di pagine e scarno di spiegazioni.

E poi mi sono chiesto: nel libro sono saltate tutte le regole, ma del resto in Kosovo cosa è successo? C'è qualcosa di coerente a cui sentirsi legati, oltre alla sintassi, in quella terra che nel 1999 venne "difesa" dalla pulizia etnica a suon di "bombe intelligenti"?

E così eccolo qui questo libro, strano più che mai. Sembra aver subito il trauma fatale di una "bomba a grappolo". Ora lo riprendi in mano scombinato, frammentato, confuso. Le frasi che ti aspettavi all'inizio le trovavi a metà pagina o nel capitolo successivo. E poi il titolo... perché "non aprire mai"?

Poi ho capito che non avevo di fronte un racconto classico o un'inchiesta libro ma un libero flusso di pensieri: non la realtà esterna ma le emozioni da quella generate e registrate nel loro libero dipanarsi.

Questo libro di 113 pagine va letto almeno due volte: 226 pagine che prima le leggi in prosa e poi in poesia. E poi ci ritorni e poi le rimastichi quelle parole evocative, che inviano immagini e condensano pensieri rapidi e divergenti.

Al centro c'è l'esperienza del Kosovo "da ricostruire" fatta in prima persona da Francesca Borri nell’ambasciata italiana. E' una fitta serie di momenti di vita quotidiana filtrati attraverso i dubbi e le sensazioni della sincerità, senza mediazione.

Francesca Borri


Ma facciamo un passo indietro.
Francesca, dopo essersi laureata e aver acquisito competenze in ambito di diritto internazionale e diritti umani, decide di andare sul campo.

Decide di vedere e capire.

Ma Francesca non capisce la realtà, nonostante tutti gli studi e le letture che gli ritornano in mente e che cita con evocativi flash.

Appena ci si addentra nella lettura ci si rende conto che è il diario di un disagio profondo: “Possibile che ovunque arrivo il mondo è un disastro?”

Un gorgo di immagini e riflessioni mi trascina verso un flusso continuo di pensieri che dal Kosovo partono e finiscono al disagio esistenziale di chi non si adegua ad accettare l'incomprensibile. Francesca finisce per constatare che in questa vita "la ricompensa non è il potere ma la bellezza".

Uno stalcio dal capitolo 15
...stanno solo applicando le leggi, non sono affari miei già, e neppure affari loro, peccato solo siano leggi criminali, e perché quale altro aggettivo usereste voialtri tanto di sinistra?, criminali, sono leggi criminali, ma quando un uomo finisce che ci muore, ma come vorreste chiamarle?, e non venitemi a raccontare poi che sono la solita comunista, perché era il vangelo no?, a dire di non tacere, erano pietro e giovanni mica marx era don tonino, pronunciate le parole per intero!, don tonino, ma avete dimenticato tutto?, e perché è questo il problema diceva, l’ultima sillaba e perché è esattamente questo il problema, che siete tutti qui a scrivermi che tanto ho ragione, e quindi cosa mi importa, sono leggi criminali ho ragione, ma non posso farci niente e quindi, non posso tacere per una volta, evitarmi disastri?, e perché siete tutti qui in ansia, dovessero davvero rispedirmi in italia domani e il concorso in diplomazia allora e voglio dire, perché non so qui chi sia più in cortocircuito, uno intanto che muore e la gente che si preoccupa per il concorso in diplomazia, e ma perché la verità è che è sempre la stessa storia, e queste cazzo di parole, mai che l’ultima sillaba che è la sillaba della coerenza di chi osa, le azioni dopo le parole e perché non è questione di fare poco o molto, è questione di fare intanto, fare il possibile e non venitemi a dire che conto zero perché so perfettamente che conto zero, non cercatemi alibi perché è questa giuro, la cosa che più mi fa impazzire, che neppure uno in questi giorni che sia qui a scrivermi coraggio! no, tutti a scrivermi che sono sbagliata, e perché non può essere un caso, è certo colpa mia, possibile che ovunque arrivo il mondo è un disastro?, è certo colpa mia, il disastro sono io sono un fattore di instabilità, accidenti a voi, un fattore di instabilità e vorrei tanto ammirarvi voialtri qui dentro, io che ho paura, se proprio vi interessa saperlo paura...

Francesca Borri

In ventuno capitoli Francesca va all'attacco della banalità, dell'ipocrisia e del conformismo di chi si adegua senza capire, fino a giustificare il disastro della Nato contro tutte le evidenze. Racconta i percorsi mentali di tutti coloro che fingono di credere alla presunta ricostruzione del Kosovo, alle politiche della Nato e dell’Italia. Chi vive nell’ambasciata è tenuto a rispettare regole e procedure che Francesca - tutt'altro che credente nei formalismi e nelle formalità - racconta in modo tra l’attonito e lo sbigottito, rimbalzando fra un pensiero eretico e l’altro. Lei, che come secondo nome ha quello di “Marxiana”, è un pesce fuor d’acqua e sembra quasi un personaggio di Voltaire - il Candido - che cerca di comprendere le logiche di un mondo barocco e assurdo che le è estraneo. Il suo archivio mentale di studi finisce per non combaciare con una realtà in cui le procedure valgono più della realtà stessa e in cui la ragion di Stato prevale sulla ragione in generale, il cui il potere prevale sulla verità e sulla bellezza della vita, quella per cui – forse – Francesca si era mossa in questo viaggio verso il Kosovo.

Ma chi volesse leggere questo libro per capire il Kosovo rimarrà deluso ed è bene che non lo legga con questo fine. In fondo è un diario poetico e null'altro. Lo si può aprire anche a casaccio, come un libro di aforismi, e leggerlo a spicchi perché rinvia al senso della vita e alla scelta di andare controcorrente in coerente solitudine.

Più che un libro di narrazione o di inchiesta è un desiderio di sincerità verso se stessa. Sono continui i rinvii a brani, letture e aforismi che ritornano alla mente e la spalleggiano mentre vive la sua radicale diversità esperienziale ed esistenziale con orgoglio.

Il flusso narrativo, in un primo momento ostico per assenza di regole, diviene gradevole dopo un primo momento di “rodaggio”. Dopo qualche pagina finalmente si comprende che quei pensieri si potevano esprimere solo con quel linguaggio.

Se si impara a seguire il filo conduttore dei pensieri si comprende la genesi dello stupore, dell'indignazione e della coscientizzazione.

E così, senza risistemazioni a posteriori che ne avrebbero depotenziato l’irruenza immediata, Francesca ci lancia parole che emergono nella loro urgenza, nella velocità delle emozioni, come in uno spot dal montaggio ultrarapido e dal ritmo serrato.

All’inizio di questa recensione ho subito precisato che conosco l’autrice di questo libro e l’ho fatto non a caso perché l’apprezzo profondamente.

Parlando con lei sono rimasto ammirato della sua allegria costruttiva: riesce a trasformare l'indignazione nell'ironia.

Ha una scrittura sottile e precisa, uno stampatello inconfondibile che rispecchia un pensiero analitico, metodico e ordinato. L'esatto opposto che deriverebbe dalla frettolosa lettura del libro in questione.

Ha un'intelligenza costruttiva che talvolta sconfina nella premura didascalica. Ogni volta che abbiamo affrontato un problema mi ha sempre voluto indicare le vie della sua soluzione, con una meticolosità unica: prendeva un foglietto (o inviava un SMS o una email) e mi scriveva numeri di telefono e indirizzi e-mail a cui rivolgersi, e qualche stringato consiglio. Dal suo smartphone tirava fuori la rete di suoi contatti e te li metteva a disposizione.

Tengo a precisare questo perché una superficiale lettura di questo libro potrebbe fornire un’immagine dell’autrice in chiave sperimentale futurista per via del linguaggio inusuale e privo delle classiche regole a cui siamo abituati.

Credo invece che il senso più profondo di questo libro sia nella sua sincerità e immediatezza.

Per qualche ora si entra nella vita di Francesca che sperimenta il fascino di rimanere unica e se stessa, senza cedere ad alcun compromesso. Alla verità del potere oppone il potere della verità, alla presunta bellezza del potere oppone il potere della bellezza, che cerca oltre l'orizzonte di una realtà sfregiata dalla guerra.

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