"Non chiamarmi zingaro" di Pino Petruzzelli
L'autore va incontro agli zingari nelle periferie delle nostre citta' e poi in Romania, Bulgaria, Albania e Francia e dona loro la possibilita' di raccontare loro stessi, le loro vite, le loro storie. Storie da zingari, ma anche storie da "gage'": medici, tecnici di antifurti, preti, badanti che vivono in mezzo a noi ed hanno dovuto, per sopravvivere, nascondere la loro identita' e le loro origini zingare...
Alla fine del libro, Pino Petruzzelli, si sofferma sulle persecuzioni e le torture che gli zingari hanno subito nella Germania nazista e nella "pulita" Svizzera.
[Ed io, leggendo questo libro, improvvisamente ricordo un funerale in un giorno remoto della mia infanzia, la' in quel paese sul lago Maggiore dove sono nata e cresciuta. Ricordo bambine vestite di bianco che, in un girotondo a ritmo di musica assordante, lanciavano in aria, con le loro manine scure, chiari petali di rose; rivedo le donne, nelle lunghe gonne colorate, che piangevano disperate e gli uomini, in fondo al corteo, con i vestiti della festa e le facce arrossate. Ricordo quelle macchine, che parvero, infinitamente lunghe agli occhi miopi di quella bambina estasiata e spaventata quale io ero...
Immagino che fu in quell'occasione che nacque in un me uno strano interesse per quelle persone cosi' diverse da me...
Oggi con rammarico penso, pero', che invece di "idealizzarli" in silenzio, avrei dovuto, come Pino Petruzzelli, tendere loro la mano, andare loro incontro, bere, magiare piangere e ridere insieme a loro, comprare loro una piccola stufetta elettrica, e soprattutto ascoltarli per capirli, per imparare a conoscerli e ad accettarli per come sono, senza più chiamarli zingari...]
Elisabetta Caravati
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