In difesa dei nativi americani
Jeremiah Evarts non pone la questione del dovere del cristiano di disobbedire alle leggi ingiuste; le sue argomentazioni sono in gran parte di carattere giuridico ed hanno lo scopo di offrire al movimento di opposizione all’Indian Removal Act una solida base sul piano del diritto. Infatti gli Stati Uniti che già portavano numerose colpe nei confronti dei nativi e “avevano già fatto tanto per la loro distruzione”, fino a quel momento non avevano ancora adottato una legislazione sistematica contraria ai più elementari principi etici”.
In primo luogo Evarts chiariva che il diritto dei cherokee alle loro terre era indiscutibile e inviolabile derivando, come per ogni altro Stato, dall’occupazione pacifica e continua da tempi immemorabili; pertanto il diritto derivante dalla scoperta a cui si appellava l’assemblea della Georgia e che riduceva i cherokee alla condizione di affittuari non aveva alcun fondamento giuridico. Al contrario, era la politica di Andrew Jackson che, disconoscendo i trattati stipulati per decenni con gli indiani, doveva essere considerata illegale. L’avidità di guadagno, all’origine del progetto di espulsione, avrebbe condotto allo sterminio.
Fonte delle informazioni: "Jeremiah Evarts e i diritti delle nazioni indiane"
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