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Nascere figlio di un Hibakusha

Shimizu Hitoshi
Mi chiamo Shimizu, lavoro a Tokyo come regista free-lance di documentari, principalmente per la TV.
Sono stato in Iraq per sette volte a partire dall’aprile 2002. La seconda volta nel mese di novembre e poi in dicembre dello stesso anno, quindi nel 2003, nei giorni della guerra, e ancora in giugno e novembre. Infine nel marzo del 2004. Ci sono andato insieme al fotogiornalista Naomi Toyoda per documentare l’uso e l’effetto dei proiettili all’uranio impoverito. Il documentario “Unknown terror of DU” costituisce uno dei risultati del nostro lavoro.
Vorrei raccontarvi perché sono andato a lavorare in Iraq.

Ma, per raccontare la mia storia, non posso fare a meno di parlare di mio padre.
Mio padre è un Hibakusha, ovvero un sopravvissuto all’esplosione atomica. Perciò io sono figlio di un Hibakusha, un cosiddetto Hibakusha di seconda generazione.

La prima bomba atomica fu sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945, quando mio padre aveva 11 anni.
La casa della sua famiglia si trovava a meno di 2 chilometri di distanza dall’ipocentro – il punto dove scoppiò la bomba. Ma lui, quella mattina, un lunedì, dopo aver trascorso il fine settimana dai genitori prese un treno di buon'ora per andare dai parenti che stavano 10 chilometri a nord, dove era stato sfollato.
Hiroshima, con la sua industria bellica, poteva essere colpita da un momento all’altro da pesanti bombardamenti, come tutte le altre città giapponesi. Difatti, nel cielo di Hiroshima, si vedevano sempre più sovente volare i cacciabombardieri B29. La popolazione si sentiva minacciata e per questo motivo i bambini erano stati evacuati dalla città presso i parenti in campagna, e anche mio padre frequentava una scuola là dove era stato sfollato.

Ore 8.15: scoppiò la bomba. Mio padre si trovava in un’aula scolastica. Vide un fortissimo raggio di luce, seguito da un vento fortissimo, dovuto allo spostamento d’aria causato dallo scoppio. Benché la scuola fosse situata in campagna, a una distanza di 10 chilometri dall’ipocentro, i vetri delle finestre si frantumarono. Alcuni bambini urlarono: “Il sole si è fatto in due!”.
Mio padre, preoccupatissimo per la sorte dei genitori, si diresse verso la città di Hiroshima, ma fu fermato da un blocco di polizia a meta' strada.
Intanto la confusione e la tensione aumentarono con l’arrivo di una colonna di camion pieni di feriti, insieme alla numerosa gente che fuggiva dalla città. I feriti camminavano con la pelle bruciata e pendente a brandelli. Tra loro c’era anche qualcuno che aveva sulla mano il proprio bulbo oculare o madri che chiedeva l’acqua per il loro bimbo che tenevano in braccio, senza rendersi conto che era già morto.
Gli esseri umani che si trovavano a meno di 500 metri di distanza dall’ipocentro morirono tutti sul colpo a causa della temperatura che, al momento dello scoppio, raggiunse i 3000-4000 gradi centigradi. Dicono che i cadaveri erano completamente carbonizzati. A Hiroshima sono tuttora conservati vari oggetti che testimoniano la tremenda temperatura, ad esempio bottiglie di vetro sciolte come se fossero un gelato o un’ombra umana lasciata su un muro di cemento.

Per quanto riguarda mio padre, non poté che ritornare dai suoi parenti. La sera i suoi genitori, scampati per miracolo, riuscirono a raggiungerli.
C’erano molti sopravvissuti che cercavano rifugio. Molti tra questi, nonostante fossero apparentemente illesi, forse a causa dell’esposizione alle radiazioni, morirono uno dopo l’altro, tutti con gli stessi sintomi. Ovvero prima perdevano i capelli, poi perdevano il sangue non solo dal naso e dalla bocca ma anche dagli occhi e dalle orecchie, quindi emanavano un odore davvero insopportabile. Il fetore era dovuto alla decomposizione del corpo dall’interno, iniziato pur essendo ancora in vita e provocato dalla perdita della capacità rigenerativa dei globuli bianchi, danneggiati dalle radiazioni. Arrivati a questo punto, non gli rimanevano che poche ore prima della morte. Si presume che soltanto nei successivi cinque mesi del 1945 sono morte 140 mila persone a Hiroshima.

Mio padre ritornò in città 3 giorni dopo.
Quasi tutte le costruzioni erano crollate, anche la sua casa era metà distrutta e quindi inabitabile. Dappertutto si vedevano le colonne di fumo della cremazione dei cadaveri e la gente disperata in cerca dei figli o dei genitori. Mio padre cominciò a vivere in una baracca costruita da sé in un posto non lontano da dove era prima la sua casa .
Ho detto che mio padre era un Hibakusha. Lo è nel senso che possiede una tessera sanitaria per Hibakusha. Cioè gli è stato riconosciuto ufficialmente di essere stato esposto alla radiazione residua, essendo entrato nella zona che dista al massimo 2 chilometri dall’ipocentro nei tre giorni successivi all’esplosione. E come prova gli fu richiesto di portare due testimoni.
Per fortuna mio padre sta tuttora abbastanza bene, ma ci sono molte altre persone che non stanno affatto bene. Si dice che siano più di 250 mila. Molti di loro sono soggetti ad alto rischio tumorale e soffrono ancora oggi dopo oltre 60 anni.

Anche mia madre è nativa di Hiroshima. All’epoca aveva 9 anni. Non fu esposta alla radiazione tuttavia ha perso sua madre, cioè la mia nonna.
Il 6 agosto, la nonna si trovava alla stazione di Hiroshima, a 1 chilometro dall’ipocentro, perché stava portando il figlio, il fratellino di mia madre (mio zio) in ospedale. Quando esplose quel forte raggio di luce, la nonna coprì lo zio con il proprio corpo. Così la nonna morì, ma lo zio sopravvisse.

Questo genere di esperienze non erano affatto rare per noi, i bambini di Hiroshima.

Ora, vorrei raccontarvi una storia poco conosciuta nella tragedia di Hiroshima: ci furono alcuni americani morti, non contati tra le vittime.
Una settimana prima dello sgancio della bomba atomica su Hiroshima, ci fu uno spaventoso bombardamento da parte delle flotte aeree statunitensi su una città portuale militare vicina che si chiama Kure.
In quella occasione qualche cacciabombardiere B29 americano fu abbattuto dalla contraerea giapponese e alcuni soldati americani, salvatisi col paracadute, furono fatti prigionieri.
Internati in una struttura militare non lontana dall’ipocentro subirono anche loro la bomba sganciata dalla propria patria. Due di loro, nonostante le cure dei giapponesi, morirono dopo qualche giorno vomitando sangue e soffrendo parecchio. Non possiamo affermare, quindi, che le vittime siano state soltanto gli Hibakusha di Hiroshima e Nagasaki. Ci fu un’altra tragedia dentro la tragedia.
Oltre a quei due ci furono altri americani che sopravvissero ancora per qualche tempo dopo lo scoppio. A Hiroshima sono conservati alcuni disegni che li ritraggono. Alcune decine di migliaia di disegni sono stati prodotti grazie a un’iniziativa popolare con lo scopo di conservare e trasmettere la vivida memoria degli Hibakusha . Ho visto uno di essi che ritraeva uno straniero biondo immobilizzato per le caviglie con il filo di ferro al parapetto di un ponte molto vicino all’ipocentro, ucciso a colpi di botte. Sembrava che non fosse morto per la bomba ma per il linciaggio da parte della popolazione.
“Guarda cosa ci hanno fatto i tuoi connazionali con quella bomba!”.
Era una vendetta. Hiroshima non era una vittima unilaterale. Vorrei che vi ricordaste: tutti possono diventare sia la vittima sia il carnefice.

Io sono nato nel 1963, 18 anni dopo l’accaduto, a Hiroshima in pieno sviluppo per la ricostruzione del dopoguerra.
Erano tuttavia ancora visibili molte ferite causate dalla bomba atomica. In quegli anni, intorno al famoso monumento Hiroshima Peace Memorial Dome, c’erano ancora molte baracche, abitate dalle persone che avevano perso la casa distrutta dalla bomba. E dal fondo dei fiumi, dove dopo il bombardamento molte persone si buttarono in cerca d’acqua, si recuperavano ancora molte ossa umane.
Anche a scuola circa la metà della mia classe, con più di quaranta bambini, era composta da figli di Hibakusha o da chi aveva qualche Hibakusha in famiglia. Senza troppa malizia, succedeva ai bambini di prendere in giro chiamandolo “Hibakusha” qualche compagno con problemi dermatologici.

Eppure l’atmosfera suggeriva di non toccare l’argomento per timore di aprire il vaso di Pandora, la discriminazione.
Dicono, difatti, che c’erano tante discriminazioni, tipo evitare di sposare uno o una Hibakusha.
Dopo il 1945 ci fu un aumento nella nascita di bambini malformati o con microcefalia. Aumentarono anche i casi di leucemia e delle persone incapaci di lavorare a causa della stanchezza cronica, denominata “Genbaku-burabura-byo” (sindrome dello scansafatiche che va a zonzo dopo la bomba atomica).
Ma quanto erano diffusi questi fenomeni? Non ci sono delle statistiche disponibili. Quasi nulla è rimasto dopo che gli occupanti americani si sono ritirati. Come forse sapete nell’immediato dopoguerra il Giappone fu occupato dalle truppe statunitensi. Si sa che raccolsero meticolosamente i dati e svolsero indagini accurate sugli effetti provocati, ma quando se ne andarono portarono via tutta la documentazione con se'.
Questo ci fa sospettare che l’uso della bomba atomica su Hiroshima sia stato un esperimento su corpi umani. Non so se riuscite a capirci.

Per queste ragioni molti a Hiroshima e Nagasaki finirono per accumulare dentro di sé una specie di cupezza, qualcosa di difficile da scacciare via.
Anche nel mio caso, essendo stato un bambino di salute cagionevole, per ogni cosa che non andava bene si dava colpa a mio padre Hibakusha. Essere anemico, avere l’orticaria e perfino il sonno leggero erano tutti colpa di papà. Non vi è, in realtà, una prova scientificamente accertata del nesso. Ma si trascinava sempre un’angoscia assai opprimente che non mi faceva sentire sereno. Tale situazione continuò fino alla nascita di miei figli. Perché si diceva che gli effetti negativi della radiazione potevano essere trasmessi atavicamente, benché non si sa se sia vero.

Sono stato sposato: la mia ex-moglie soleva dirmi che non avevo gioito affatto quando mi aveva comunicato della sua gravidanza.
I miei figli sono nati sani e godono di buona salute. Ma anche se fossero nati con problemi, credo che la mia ex-moglie si sarebbe sentita ugualmente felice. Invece, io? Sarei stato contento lo stesso? Se esaminassi a fondo il mio sentimento, scoprirei che anche in me vi sono dei pregiudizi.
Agli effetti terrificanti delle radiazioni si potrebbe aggiungere anche questo fattore psicologico dell’ansia e della discriminazione. È davvero difficile stabilire gli effetti della radiazione perché non sono sempre tangibili.

Mi è capitato di intervistare un dottore che aveva visitato più di diecimila pazienti tra gli Hibakusha e i loro figli. Si chiama Shuntarò Hida, un medico che fu vittima anche lui stesso della radiazione del 6 agosto 1945.
Sono andato dal dott. Hida per accompagnare una persona che desiderava ad ogni costo essere visitato. Il suo nome è Gerard Matthew, ex soldato statunitense inviato in Iraq durante l’ultima guerra. Nel 2003, appena scoppiata la guerra, è stato in servizio nell’Iraq meridionale come autista di camion. Ma poco dopo ha cominciato ad accusare un malessere, mal di testa, gonfiore e stanchezza fisica ecc. a tal punto da dover essere rimpatriato in anticipo. E anche dopo il rientro continuava a star male. Un anno più tardi gli è nata una figlia, di nome Vittoria, una bimba molto carina con gli stupendi grandi occhi, ma senza le dita della mano destra.
Gerard Matthew ci ha messo un bel po’ di tempo per poter collegare la propria malattia con la malformazione della figlia, finché non è venuto a conoscenza dell’esistenza dei proiettili all’uranio impoverito. E negli Stati Uniti non ci sono cure per la sua malattia nè l’aiuto per tranquillizzare la famiglia. Li ha trovati soltanto in Giappone, dove la sua patria, gli Stati Uniti d’America, aveva sganciato la boma atomica oltre 60 anni prima! Se non è questa l’ironia della sorte, che cosa è?
Il dott. Hida, visitando il Signor Matthew, ha detto:
“Stai male per l’effetto della radiazione, non c’è dubbo”.
In quell’istante, si potrebbe dire, Hiroshima, gli Stati Uniti e l’Iraq sono stati collegati, per la prima volta, con un filo diretto che si chiama “la radioattività”.
Il dottore Hida ripete che non esiste una cura vera e propria per guarire chi ha subito la radiazione e soprattutto riguardo all’esposizione alla radiazione che avviene all’interno del corpo ci sono troppe cose di cui non sappiamo ancora. Si vede che anche la scienza medica contemporanea ha i suoi limiti.
Il dott. Hida non ha potuto che offrire a Matthew la conoscenza della medicina orientale per alleviare i sintomi comparsi.
Alla fine della visita, il dottore ha detto a Matthew:
“Poiché molti degli Hibakusha sono morti per tumori, anche tu sei un soggetto a rischio di tumori.”
Doveva essere una sentenza shock per Matthew, ma dopo la visita mi ha espresso tutta la sua soddisfazione. Aveva infatti un’espressione molto serena sulla faccia, come se tutti i suoi tormenti fossero spariti.
E io, che stavo filmando con la telecamera in mano rivolta a lui, alle sue parole ho sentito anch’io una specie di catarsi. Probabilmente ero nello stesso stato d’animo di Matthew. Mi ha detto ”è impagabile aver potuto incontrare una persona che, finalmente, mi ha detto la verità. Sono contento di aver potuto scoprire la verità”.

“Iraq è come Hiroshima.”
È una frase pronunciata da alcune persone che hanno vissuto Hiroshima del 1945, che ho accompagnato in Iraq nel 2002.
A Bassora, nell’Iraq meridionale, c’è un posto chiamato “Cimitero dei bambini”.
Nella zona meridionale vicino al confine col Kuwait dove ci furono i combattimenti durante la prima guerra in Iraq, a partire dal 1991 si è visto un aumento di quindici o sedici volte dei casi di tumore e leucemia.
Negli ospedali di Bassora ci sono tanti bambini e neonati senza il cervello o gli occhi oppure con gli arti deformati. Prima della guerra le mamme si chiedevano se avevano partorito un maschio o una femmina, ma ora la prima domanda che rivolgono è: “è sano?”.
“Il cimitero dei bambini” è sorto in un luogo dove prima c'era un campo di gioco per i bambini, perché non si sapeva dove altro poter seppellire i bambini che morivano uno dopo l’altro, a causa della loro difesa immunitaria più fragile rispetto a quella degli adulti. È un paesaggio, a dir poco, desolante, con un infinito numero di piccole lapidi in continuo aumento. Ho pensato: dopo 60 anni, ecco, abbiamo un’altra terra di Hibakusha. Perché è molto probabile che la causa di questi decessi si trovi nell’uso dei proiettili all’uranio impoverito.
Nel deserto distante alcuni chilometri dal centro abitato c’è invece un luogo chiamato “Il cimitero dei carri armati”. Fu uno dei campi di battaglia durante la guerra prima guerra in Iraq. Tutti i carri armati sono perforati, con buchi di cinque o sei centimetri di diametro, creati dai proiettili all’uranio impoverito. Se avviciniamo un contatore Geiger sentiamo subito un forte sibilio.
Il proiettile all’uranio impoverito è “un’arma eccezionale” per gli americani perché riesce a penetrare perfino la corazza molto spessa di un carro armato. Ma l’uranio impoverito quando penetra nell’obiettivo, si infiamma e si polverizza in particelle molto fini. Queste particelle, sparse nell’aria, vengono poi inalate dall’uomo, oppure cadono per terra e inquinano l’acqua o entrano nella catena alimentare attraverso la coltivazione quindi nel corpo umano. Così possono finire per danneggiare anche il DNA del feto nell’utero.

La stessa storia si è vista ripetere anche nella seconda guerra in Iraq del 2003.
Ma questa volta l’uranio impoverito è stato usato non soltanto in Bassora nell’Iraq meridionale, bensì nelle zone di Bagdad e anche in Nassiriya dove sono state inviate le truppe italiane.
Non posso negare la forte preoccupazione che “il cimitero dei bambini” si estenda ancora di più e che possano sorgere altri cimiteri di bambini ovunque in Iraq. Si calcola che per dimezzarre la radiazione dell’uranio impoverito occorrono 4 miliardi e 500 milioni di anni.

Si dice che il Giappone è l’unico paese nel mondo ad aver subito la bomba atomica, ma questo non è vero. Bisogna aggiungere alla lista anche Kosovo e Afghanistan.
Se vogliamo parlare soltanto dell’Iraq, il Giappone vi ha pure inviato delle truppe armate. Proprio il paese che potrebbe e dovrebbe aiutare la gente irachena facendo valere la conoscenza diretta del terrore della radioattività! Mi vergogno davvero del mio paese.
In un lapide vicino all’ipocentro di Hiroshima è incisa una frase pregnante della speranza per la pace: “Non ripeteremo mai più l’errore”.
Ma in realtà? Il Giappone collabora con gli Stati uniti che hanno sganciato le bombe atomiche e sparano i proiettili all’uranio impoverito. E, come se non gli bastasse l’esperienza di unico paese di Hibakusha, si espone di nuovo al rischio della radiazione nella terra irachena contaminata dall’uranio impoverito. Questo non è tragico, è tragicomico.

Eppure, la speranza c’è.
Il signor Matthew, ex soldato statunitense di cui vi ho raccontato prima, si trovava a Hiroshima, proprio un anno fa, 2 e 3 novembre. Di fronte al Peace Memorial Dome ha detto:
“Vorrei chiedere scusa alla popolazione di Hiroshima per il grave crimine commesso dal nostro paese. Vi supplico il perdono.”
Non avevo mai incontrato un americano simile. Tutti gli americani con cui ho avuto l’occasione di parlare avevano sempre la stessa risposta: “Era inevitabile per terminare il conflitto, per non fare altre vittime”. Cioè, per loro, la bomba atomica fu necessaria.
Perciò credevo che tutti gli americani pensassero nello stesso modo. Ma Matthew mi ha aperto gli occhi, mi ha mostrato che avevo un pregiudizio. E oggi trovo normale il suo modo di pensare e di sentire e credo che esso non appartenga soltanto a una minoranza. Anzi, penso che la maggioranza dell’umanità sia come Matthew.
C’è, quindi, la speranza. È proprio la speranza che mi spinge a tornare in Iraq e per questo mi sto preparando per il prossimo viaggio.
Grazie.

Note: Discorso tenuto durante il ciclo di conferenze in Italia (dal 2 al 7 novembre 2006, Torino, Genova, Firenze, Ladispoli)
Tradotto da Yukari Saito e revisionato da Francesco Iannuzzelli per Centro di documentazione “Semi sotto la neve” e “PeaceLink”.

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