Una Vita per la Pace - Premio conferito al Professor Alberto L'Abate
Dichiarazione di Alberto L’Abate in occasione del ricevimento del premio “Una vita per la pace” 2011- 4 Dicembre 2011- Comune di Firenze, Salone dei 500
Il premio è promosso dal "Tempio per la Pace" di Firenze, in collaborazione con la Regione Toscana, la Provincia ed il Comune di Firenze, quest'anno anche con il Patrocinio del Presidente della Repubblica. Il Premio è definito "Firenze per le culture di pace dedicato a Tiziano Terzani".
Questo premio è andato anche al volume di Vittorio Arrigoni, ucciso in Palestina da estremisti islamici, "Gaza. Restiamo umani" (Manifesto Libri).
Ringrazio molto gli organizzatori di questo premio per questo importante riconoscimento, particolarmente gradito in questo periodo nel quale sembra che la pace, vista solo come “assenza di guerra”, si possa ottenere soltanto con l’uso delle armi e della guerra. Il premio datomi riconosce invece l’importanza del lavoro di tutti coloro che, come me, credono che la guerra sia un obbrobrio che la società umana dovrebbe eliminare al più presto, e che si adoperano per realizzare questo obbiettivo, in particolare attraverso l’attività, alla quale ho dedicato molta parte della mia vita, per la prevenzione dei conflitti armati. Purtroppo gli stati, compreso il nostro, dedicano pochissima attenzione a questo obbiettivo. Secondo i dati di uno dei più noti esperti internazionali in questo campo, in un convegno organizzato dall’IPRI-Rete CCP (Italian Peace Research Institute - Rete Corpi Civili di Pace, al quale aderiscono oltre una diecina di associazioni che operano in questo campo, e che ho presieduto per molti anni) gli stati spendono attualmente solo 1€ per la prevenzione dei conflitti armati contro almeno 10.000€ per fare le guerre. Se non si riesce a modificare questo squilibrio, diminuendo le spese militari ed accrescendo quelle per la prevenzione, non ci potremo, in futuro, meravigliare se il mondo sarà sempre più teatro di guerre.
Ma per fortuna la popolazione del nostro, e di tanti altri paesi, è molto più cosciente, rispetto agli stati, dell’importanza di questo obbiettivo, e molti giovani (o anche meno giovani come me mia moglie) lavorano per questo scopo in due modi: 1) adoperandosi per lottare contro le tante ingiustizie che sono alla base di molti conflitti armati, come hanno fatto Vittorio Arrigoni e Rachel Corrie in Palestina e Moreno a Sarajevo, rimettendoci anche la vita; 2) attraverso quello che viene definito il “progetto costruttivo”, per dar vita ad una società più umana di quella attuale, come quella prefigurata da molti dei racconti inediti oggi premiati, ed anche dal bellissimo libro di Arrigoni “Restiamo umani”. Moltissime sono, nel nostro paese, le persone e le organizzazioni che credono nella necessità di cambiare la situazione per sostenere uno sviluppo diverso basato sui “beni comuni”, come l’acqua, e sulle energie alternative rinnovabili, come abbiamo visto nel recente referendum che, contro la volontà del governo Berlusconi, ha visto il 57 % dei votanti andare alle urne. Credo che questo abbia dimostrato che la nonviolenza, alla quale ho ispirato tutta la mia vita, non sia un ideale così peregrino e minoritario, ma che cominci ad essere addirittura maggioritario.
Ma dato che anche il termine “nonviolenza”, come quello “pace”, è spesso oggetto di equivoci, vorrei utilizzare questo mio intervento per chiarire meglio questo concetto. Spesso quando si pensa alla nonviolenza si crede che questa sia la negazione della violenza rivoluzionaria, e l’accettazione del riformismo come strumento principe per migliorare la società nella quale viviamo. Nella concezione di Gandhi e di Capitini (che già durante il fascismo ha scritto e diffuso le idee della nonviolenza gandhiana) la “nonviolenza “ non è la negazione della violenza, ma il suo superamento: la ricerca cioè di uno strumento più valido della violenza per ottenere quei valori (pace, libertà, giustizia, ecc) e quei beni, che spesso si ritiene, erroneamente, essere raggiungibili solo con l’uso della forza, e della violenza armata. E per quanto riguarda il riformismo bisogna, secondo me, tener presente la distinzione fatta da un grande studioso francese, André Gorz, tra le riforme dall’alto e quelle dal basso. Le prime, quelle “dall’alto”, che si ottengono attraverso accordi di vertice tra partiti o elite di vario tipo, riescono difficilmente a modificare profondamente la realtà esistente, e la struttura sociale che è alla sua base, e sono inoltre facilmente modificabili attraverso altri accordi, sempre di vertice. Le seconde, invece, quelle “dal basso”, che si ottengono solo attraverso una grande organizzazione della base sociale, possono modificare in modo anche sensibile la realtà di partenza, e sono inoltre molto più difficili da eliminare, grazie all’organizzazione di base che è riuscita ad ottenerle. Per questo la nonviolenza lavora alla base, con la gente, per dar vita a quella che è stata definita “la pace dal basso”.
Ma, per evitare equivoci legati al concetto di “nonviolenza” preferisco parlare, come fonte della mia ispirazione, di “azione nonviolenta” che è anche il titolo del giornale fondato da uno dei più importanti maestri della mia vita, Aldo Capitini. L’azione nonviolenta si caratterizza in tre forme : 1) il cambiamento sociale; 2) la difesa sociale; 3) l’intervento nonviolento, come terze parti, nei conflitti, Accennerò a quello che, in questi tre settori, con l’aiuto di tante altre persone, ho cercato, e sto cercando, di fare.
1) Il cambiamento sociale. Per poter cambiare in meglio la società nella quale viviamo è fondamentale aver chiaro dove vogliamo andare. Il nostro obbiettivo, portato avanti con attività di formazione e di sperimentazione (unite tra loro attraverso la ricerca-intervento alla quale ho dedicato buona parte del mio insegnamento universitario), è quello di superare, nella società attuale, la centralità del denaro e del capitale finanziario che per difendere i propri guadagni e privilegi, ha bisogno della produzione e della vendita delle armi, e quindi delle guerre. Vogliamo, invece, dar vita ad una società basata sul valore della persona, sul rispetto reciproco al disopra di tutte le frontiere, sulla solidarietà, sul dialogo, sulla ricerca della prevenzione dei conflitti armati e sulla eliminazione delle armi e degli eserciti da sostituire con forze di polizia internazionale e con corpi nonviolenti, specializzati nella prevenzione e trasformazione dei conflitti. Infine una vita basata anche sul rispetto della natura (valorizzazione delle risorse rinnovabili).
2) La difesa sociale. In questo settore la mia, e nostra, azione si è caratterizzata nella difesa dei diritti riconosciuti dalla nostra Costituzione, in particolare l’art. 11, che vieta al nostro paese di fare le guerre se non di difesa (quindi anche quelle subdolamente presentate come “umanitarie”, per la “democrazia” e “contro il terrorismo”). Infatti abbiamo lottato, a Comiso, contro l’impianto di missili Cruise (di primo colpo, perciò di offesa), contribuendo, così, alla trasformazione della base missilistica in aeroporto civile. Altre lotte ed altre iniziative le abbiamo fatte per il riconoscimento dei diritti dei cittadini di fronte allo stato, ad esempio, per il “diritto alla salute” minacciato dalla espansione del nucleare civile (Capalbio, Montalto, ecc.), e per il diritto all’obiezione di coscienza sia al servizio militare che alle spese militari. Altre ancora sono state rivolte a difendere il carattere parlamentare della nostra democrazia, e per passare da una democrazia solo formale, delegata (e spesso gestita dai più ricchi), ad una democrazia partecipativa, per andare verso quel “potere di tutti” promosso e predicato da Aldo Capitini.
3) ) L’intervento nonviolento come terze parti nei conflitti. In questo settore siamo intervenuti in Iraq, e nel Kossovo. Purtroppo le proposte emerse, ed ampiamente diffuse, per la prevenzione dei conflitti armati in questi due paesi, che avrebbero, forse, potuto evitare le guerre, non sono state accettate dalle nazioni più potenti che hanno voluto intervenire militarmente, e siamo arrivati a guerre che non hanno risolto i problemi di base di tali paesi, dove, tuttora, avvengono forti episodi di violenza tra gruppi etnici.
Per il superamento di questa violenza l’ IPRI-ReteCCP sta tuttora lavorando per la formazione di formatori alla nonviolenza, e per un appoggio alle iniziative nonviolente di kossovari, iracheni e palestinesi. Una parte del premio concessomi verrà dedicato a questo lavoro nel Kossovo.
Ma, malgrado queste iniziative, le molte ONG italiane che operano in questo settore sono ancora piuttosto scoordinate tra di loro, e quindi hanno una scarsa incisività politica. Per questo, con l’aiuto di “Peacelink”, stiamo proponendo la costituzione di un tavolo che metta insieme le tante campagne che operano per la prevenzione della guerra e per lo sviluppo di una politica di pace.
Mi auguro che il conferimento a me di questo prestigioso premio possa servire al perseguimento di questo obbiettivo, possibilmente aiutandoci a ritrovarci in una sede comune, in questa città, tradizionalmente per la pace.
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