Alexander Langer, uomo di frontiera senza frontiere
Alexander
Langer nacque il 22 febbraio 1946 a Vipiteno, figlio di un ebreo non
praticante di origine viennese e di un’italiana. Allora le differenze
etniche causavano attentati autonomisti e i suoi genitori, per tutelare il suo
futuro, lo iscrissero all’asilo italiano, affinché imparasse bene
la nostra lingua. In lui confluivano dunque radici italiane, tedesche ed ebraiche.
Per spiegare le sensazioni provate scrisse: “E’ sempre complicato
spiegare da dove vengo. ‘Ma allora sei italiano o tedesco?’ Nessuna
delle bandiere che svettano davanti a ostelli o campeggi è la mia. Non
ne sento la mancanza. In compenso riesco, con il tedesco e l’italiano,
a parlare e a capire nell’arco che va dalla Danimarca alla Sicilia.”
Frequentò il liceo dei francescani a Bolzano e qui fondò il suo
primo periodico bilingue, intitolato “Offenes Wort – Parola aperta”,
sul quale pubblicò un’intervista al locale segretario del Partito
Comunista Italiano nonostante l’impronta religiosa della scuola. Dal 1964
al 1967 studiò giurisprudenza a Firenze e qui conobbe Valeria, che sposò
nel 1985. Divenne amico del sindaco Giorgio La Pira, che era
suo professore, e di padre Ernesto Balducci. Conobbe don
Lorenzo Milani e la sua scuola di Barbiana e nel 1970 tradusse in tedesco
il suo libro Lettera a una professoressa. Imparò diverse lingue e vari
dialetti e sviluppò la sua naturale predisposizione al dialogo e all’incontro
con gli altri. Gli anni dell’università segnarono il suo avvicinamento
agli ideali religiosi e militò per breve tempo nella Federazione Unitaria
Cattolica Italiana, attratto dalla vasta eco che aveva il Concilio Vaticano
II, ma se ne allontanò man mano che conobbe gli elementi del dissenso
cattolico fiorentino. Egli concepiva una Chiesa capace di adempiere alla funzione
di servizio dell’umanità e secondo quest’ottica avrebbe voluto
operare per una democratizzazione delle sue strutture.
Svolse supplenze in licei classici di lingua tedesca a Bolzano e a Merano e
poi una borsa di studio di un anno a Bonn gli diede la possibilità di
far conoscere in diversi Paesi dell’Europa centrale il fermento che contraddistingueva
la lotta politica italiana in quegli anni. In una raccolta di appunti annotò:
“Sul mio ponte si transita in entrambe le direzioni e sono contento di
poter contribuire a far circolare idee e persone”. Verso la fine degli
anni Sessanta si dedicò totalmente al suo Sud Tirolo – Alto Adige,
impegnandosi per far comprendere ai suoi conterranei che l’unica alternativa
al conflitto degli attentati poteva provenire sperimentando la convivenza tra
diverse etnie, nel rispetto reciproco. Nel 1967 diede vita a Bolzano al gruppo
“Die Brucke / Il ponte”, frequentato tra gli altri dall’assessore
provinciale alla sanità Lidia Menapace. Scrisse un articolo che propugnava
l’eliminazione dell’esercito italiano, cosa che gli costò
una denuncia per vilipendio alle istituzioni costituzionali e alle Forze armate,
dal quale fu assolto per insufficienza di prove nel 1972, poco prima di iniziare
il servizio militare nel corpo degli artiglieri di montagna di stanza a Saluzzo.
Verso la fine del 1970 aveva aderito a Lotta Continua (L.C.), formazione extraparlamentare
capeggiata da Adriano Sofri, Mauro Rostagno e Luigi Bobbio,
che contestava da sinistra il Partito Comunista Italiano e i sindacati. Non
aveva più di tremila iscritti, ma le sue manifestazioni avevano una forte
eco nel panorama politico italiano. L’organizzazione propagandava la rivoluzione
del sistema, ma non predicava l’insurrezione distinguendosi in ciò
da gruppi similari, come Potere Operaio. Langer vi aderì per legarsi
a una realtà che oltrepassasse i confini del Sud Tirolo e che fosse liberatoria
e rivoluzionaria. Per conto di L.C. Langer organizzò la formazione dei
Proletari in divisa, organizzazione di soldati di leva che lottavano per democratizzare
l’esercito, senza peraltro metterne in discussione l’esistenza.
Dal 1973 al 1975 Langer visse in Germania come membro della Commissione immigrazione
e in questi due anni creò legami con studiosi, sindacalisti e militanti
della sinistra. Organizzò anche uno dei primi incontri fra rappresentanti
della sinistra israeliana e componenti del Fronte per la liberazione della Palestina.
Poi si trasferì a Roma dove si occupò del giornale “Lotta
continua”, che nel frattempo era diventato quotidiano. Per le diverse
denunce che il giornale riceveva il ruolo di direttore era svolto a rotazione
fra i redattori e anche lui lo assunse durante il 1975. Si emancipò dal
punto di vista economico da “Lotta continua” insegnando storia e
filosofia in un liceo della periferia romana.
Nel 1977 aderì ai referendum radicali, che nella sua visione potevano
rappresentare un modo per concludere in maniera non traumatica l’esperienza
di L.C., nella quale egli si poneva come elemento di congiunzione fra l’ala
estremista, che stava convogliando nella lotta armata, e l’ala moderata
che avrebbe voluto trasformare il movimento in partito, rientrando nella logica
parlamentare.
Alle elezioni amministrative del 1978 il Partito Radicale appoggiò Langer
che faceva parte della lista “Neue Linke / Nuova sinistra”. Fu consigliere
provinciale a Bolzano dal 1978 al 1981. In quest’anno l’allora Presidente
del Consiglio, Giovanni Spadolini, pensò di risolvere
l’annosa questione altoatesina con una dichiarazione di appartenenza etnica
da riportare all’anagrafe. Langer rifiutò questa imposizione e
ciò gli costò l’esclusione dall’insegnamento, prima
che una sentenza del Consiglio di Stato gli desse ragione. Nel 1983 fu eletto
in Regione con la Lista alternativa per l’altro Sudtirolo da lui fondata.
Tra il 1984 e il 1985 Langer divenne un punto di riferimento per il nascente
partito Verde, a cui portava l’esperienza dei corrispondenti Grunen tedeschi
che ben conosceva. Provò, senza successo, a fondere insieme i Verdi con
il Partito Radicale. Cercò anche di ricomporre, senza riuscirci, lo strappo
fra i Verdi sole che ride e i Verdi arcobaleno.
Nel 1989 fu eletto al Parlamento europeo nelle liste Verdi. Nel 1991 fece parte
degli osservatori internazionali nelle prime elezioni libere in Albania e fece
passare a Strasburgo una risoluzione contro la brevettabilità delle manipolazioni
genetiche di materia vivente.
Nel 1992 partecipò all’organizzazione della conferenza mondiale
sull’ambiente a Rio de Janeiro e alla parallela conferenza Global Forum.
In tale occasione propose una riduzione del debito dei Paesi in via di sviluppo.
Nel 1994 fu rieletto al Parlamento europeo e divenne presidente del gruppo Verde;
inoltre fu membro della commissione politica estera. Partecipò a seminari
e incontri; fu membro del Movimento Nonviolento, finanziatore della Casa per
la nonviolenza di Verona e obiettore alle spese militari.
Dopo le prime avvisaglie di guerra in Jugoslavia, si interessò della
questione dei Balcani. Si oppose alle precipitose dichiarazioni di indipendenza,
che avrebbero poi fomentato gli odi etnici e la guerra. Cercò invece
di far entrare la Bosnia Erzegovina nell’Unione Europea, per preservarla
dalla guerrra, e cercò di sostenere i profughi e gli obiettori di coscienza.
Presentò una risoluzione per la creazione di un Corpo civile europeo
di pace, formato da professionisti non armati sotto l’egida dell’O.N.U.
Parallelamente alle iniziative istituzionali ne seguì molte altre a livello
movimentista, nelle quali si prodigò per sostenere le iniziative di pace,
spesso finanziandole con il suo stipendio di parlamentare. Compì diversi
viaggi in Jugoslavia e si interessò soprattutto della situazione di Tuzla,
città bosniaca dove si era mantenuta una cordialità fra le diverse
etnie, facendogli sembrare qui possibile ciò che non era riuscito nel
suo Sud Tirolo. Ma l’attentato del 25 maggio 1995 nel quale persero la
vita settantun ragazzi fra i diciotto e i vent’anni incrinò la
sua speranza. Arrivò a sostenere un intervento armato di polizia internazionale.
Scrisse: “Di fronte agli ultimi eventi in Bosnia, non è più
possibile tentennare: bisogna che l’O.N.U. invii un cospicuo contingente
supplementare (chiedendo, se del caso, l’aiuto della N.A.T.O. e della
U.E.O.) e assegni un nuovo e chiaro mandato ai caschi blu. Quello di ristabilire
– con l’uso dei mezzi necessari – quel minimo di rispetto
dell’ordine internazionale che consenta di cercare una soluzione politica
al dramma della distruzione della convivenza e della democrazia.”
Si tolse la vita al Pian dei Giullari presso Firenze nell’anniversario
della morte del padre, il 3 luglio 1995, all’età di quarantanove
anni. Probabilmente le ragioni del suo gesto sono da ricercare nelle parole
che lui stesso aveva usato per scrivere il necrologio della sua amica attivista
verde Petra Kelly, anche lei morta suicida: “Forse è troppo arduo
essere portatori di speranze collettive: troppe le invidie e le gelosie di cui
si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità
e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra
ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere.”
Adriano Sofri nella sua commemorazione disse: “Se avessi
di fronte a me un uditorio di ragazze e ragazzi, non esiterei a mostrar loro
com’è stata bella, com’è stata invidiabilmente ricca
di viaggi, di incontri, di conoscenze, di imprese, di lingue parlate e ascoltate,
di amore la vita di Alexander. Che stampino pure il suo viso serio e gentile
sulle loro magliette. Che vadano incontro agli altri con il suo passo leggero
e voglia il cielo che non perdano la speranza.”
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