Dentro Dimona, la fabbrica della bomba nucleare di Israele
Ogni giorno alle 7 di mattina una flotta di quaranta autobus Volvo, bianchi e blu,
passa velocemente sull’autostrada deserta che attraversa il deserto del Negev.
A 14 chilometri dalla città di Dimona gli autobus svoltano a destra in una strada laterale e si fermano dopo quasi un chilometro presso un posto di blocco militare. I soldati svolgono uno sbrigativo controllo dei lasciapassare e agli autobus viene quindi fatto segno di procedere. Tre chilometri più in là nel deserto si fermano di fronte a un altro segnale di arresto, con maggiori misure di sicurezza.
Qui una recinzione elettrificata si estende tra la polverosa sterpaglia del deserto del Negev. Circonda lo stabilimento più segreto di tutto Israele. La sabbia all’interno del perimetro viene rastrellata da un trattore per segnalare le impronte degli intrusi ai controlli dei soldati e degli elicotteri. Postazioni di osservazione sono installate in cima alle colline circostanti. Delle batterie di missili hanno l’ordine di abbattare ogni velivolo che sorvoli lo spazio aereo, come un pilota israeliano scoprì suo malgrado nel 1967.
Ufficialmente, Dimona è gestita dall’Autorità Israeliana per l’Energia Atomica per condurre esperimenti sull’energia nucleare. Il suo nome ufficiale è Kirya-le-Mehekar Gariny (KMG) - Centro di Ricerca Nucleare del Negev. Il mondo la conosce come Dimona, da tempo considerata la fabbrica della bomba atomica di Israele.
Dimona è un’oasi di palme e cemento raggiungibile dall’autostrada tra Beersheba e Sodom. La strada è il posto più vicino alla base dove chiunque può arrivare senza un lasciapassare. La manciata di fotografi che hanno eluso i controlli e sono riusciti a rubare un confuso scatto da una macchina in corsa cedono le loro rare fotografie a un costo esorbitante.
Gli autobus Volvo percorrono la strada tre volte al giorno per i turni delle 7.30, delle 15.30 e delle 23.30. Trasportano 2700 scienziati, tecnici e personale amministrativo. La segretezza richiede che molte persone non siano a conoscenza dei compiti svolti all’interno della struttura, neanche tra colleghi di lunga data. La punizione per le conversazioni libere è 15 anni di prigione.
Una volta scesi dagli autobus, i lavoratori si disperdono tra diversi Istituti (Machon), che sono unità di produzione con ingresso indipendente.
Ci sono dieci istituti in tutto. L'Istituto 1 è il reattore nucleare, una costruzione con una cupola grigia di 60 metri di diametro. L'Istituto 4 è dove il materiale radioattivo viene immerso nel catrame e compresso in bidoni da seppellire nel deserto. Ma solo a pochi - 150 lavoratori in tutto - è stato permesso di passare attraverso le porte del vero segreto di Dimona, l'Istituto 2.
Visto da fuori, è una costruzione di cemento, grezza e senza finestre, alta due piani, con un magazzino apparentemente poco utilizzato e un blocco per gli uffici.
Due dettagli mostrano qualcosa di diverso dal solito: le mura sono spesse abbastanza da resistere a un bombardamento e sul tetto c’è una torre per l’ascensore che non sembrerebbe necessaria per una costruzione così piccola.
Per tre decenni questo innocuo pezzo di cemento ha nascosto i segreti di Israele da satelliti curiosi e ispettori nucleari stranieri. In superficie l’intero sito è esattamente quello che Israele sostiene: un reattore nucleare di ricerca. Agenzie di intelligence, scienziati e giornalisti hanno provato per molti anni a dimostrare che la realtà è differente. Ma tutti si sono arresi di fronte a una domanda chiave. Dov’è la tecnologia che permette di trasfomare la ricerca atomica per usi pacifici in una fabbrica di bombe? L'Istituto 2 fornisce la risposta. Le mura del piano terra nascondono ascensori di servizio che portano uomini e materiali a 6 livelli sotterranei, dove i componenti per le armi nucleari vengono prodotti e assemblati in parti per testate missilistiche.
Mordechai Vanunu fu assegnato inizialmente all'Istituto 2 nel 1977. Ebreo marocchino di 31 anni, era nato il 13 di Ottobre del 1954 a Marrakesh, dove i suoi parenti avevano un piccolo negozio. Nel 1963, in mezzo ai crescenti sentimenti antisemiti, la famiglia era emigrata in Israele stabilendosi a Beersheba. Dopo tre anni di leva nell’esercito israeliano, avendo raggiunto il grado di sergente nell’unità dei genieri delle alture del Golan, Vanunu si iscrisse all’Università Ramat Aviv di Tel Aviv. Fu però bocciato a due esami del primo anno del corso di Fisica e ritornò a casa.
Nell’estate del 1976 vide un annuncio per tecnici apprendisti a Dimona e incontrò per caso un amico che lavorava già al KMG. Vanunu prese un modulo per la domanda di assunzione dagli uffici del KMG a Beersheba, vicino alla stazione degli autobus sulla strada principale per Tel Aviv.
Il suo primo colloquio fu con i responsabili della sicurezza. Gli venne chiesto se aveva dei precedenti penali, dipendenza da alcool o droghe e eventuali coinvolgimenti politici. La lettera di assunzione arrivò un mese più tardi.
Ricevette il suo primo stipendio nel novembre 1976, per coincidenza lo stesso mese nel quale venne negato l’ingresso a Dimona a 13 senatori statunitensi in visita in Israele per un’inchiesta. Vanunu non fu subito assegnato al complesso nel deserto. Fu invece mandato a frequentare un corso intensivo di fisica, chimica, matematica e inglese. Nel gennaio del 1977 passò l’esame di ammissione insieme a 39 dei 45 candidati. Agli inizi di febbraio salì su uno degli autobus Volvo per Dimona.
Furono mandati a una scuola sul posto dove il loro primo compito fu di firmare l’Israeli Official Secrets Act. Gli fu dato un lasciapassare, il numero 9657-8, superò una visita medica e fu quindi addestrato, sotto l’egida di un direttore chiamato Parahi, in fondamenti di fisica e chimica nucleare, con particolare riguardo a plutonio, uranio e radioattività.
Ricevette in seguito un altro lasciapassare, il numero 320 per entrare nell'Istituto 2, e un armadietto, il numero 3. Ai nuovi arrivati vennero date 10 settimane per familiarizzare con l'Istituto 2. Alla fine di giugno celebrarono con una festa la fine del loro addestramento iniziale.
A questo punto ci fu un intoppo. Vanunu fu richiamato per un mese come riservista dall’unità del Genio dell’esercito, a quanto pare per errore. Fu immediatamente congedato non appena scoprirono che lavoro faceva. Nel giro di sette giorni tornò all'Istituto 2 e, dopo aver superato un esame finale, fu assegnato al turno notturno, dalle 23.30 alle 8 di mattina.
La commissione valutatrice era composta da tre persone, un ingegnere indipendente, un docente universitario di Dimona e uno specialista nella gestione di materiali radioattivi. Il 7 di agosto del 1977 si presentò per il suo primo giorno completo di lavoro come "menahil", ovvero ispettore del turno notturno. Era l’inizio di una carriera di nove anni come tecnico nucleare all’interno del labirinto dell'Istituto 2.
Dimona fu costruita segretamente dalla Francia tra il 1957 e il 1964. Originariamente Israele dichiarò che si trattava di un impianto tessile. Quando, nel 1960, un aereo spia statunitense U2 la fotografò per la prima volta, l’appena eletto presidente John F. Kennedy costrinse il primo ministro israeliano, David Ben Gurion, ad accettare ispezioni periodiche da parte di scienziati statunitensi per controllare che lo scopo reale di Dimona restasse la ricerca nucleare civile. Queste visite diedero al successore di Kennedy, Lyndon B. Johnson, sufficienti certezze per poter affermare pubblicamente che Dimona era un reattore nucleare civile.
Il presidente De Gaulle aggiunse la sua rassicurazione, confermando che la Francia aveva interrotto la fornitura di tecnologia che avrebbe potuto trasformare Dimona in un impianto “dal quale, un giorno, potessero emergere delle armi nucleari”.
Ma le dichiarazioni ufficiali non sono mai state accettate come convincenti. Si è a lungo sospettato, ma mai pubblicamente confermato, che Israele abbia usato Dimona per produrre il materiale necessario a un’arma atomica. Sono però sempre falliti i numerosi tentativi di sollevare il velo di riservatezza che circonda Dimona. Invariabilmente basati su testimonianze di fonti non identificate, non spiegavano come Israele potesse ottenere il materiale fissile necessario per le armi nucleari.
Le armi atomiche sono costruite con uranio 235 o con plutonio. La produzione di uranio 235 richiede però un mastodontico impianto a diffusione gassosa, oppure un grande numero di centrifughe a gas. Il plutonio, invece, può essere prodotto in un compatto impianto di separazione.
Il plutonio è un sottoprodotto del processo nucleare, che in alcuni tipi di reattore, come quello di Dimona, può essere estratto dalle barre del combustibile nucleare dopo che queste hanno trascorso un certo periodo nel nocciolo del reattore. Nel progetto di armi sofisticate, appena 2,5 chilogrammi di plutonio sono sufficienti per costruire una bomba.
La Francia ha sempre sostenuto di aver interrotto la fornitura a Israele di tecnologia per la separazione del plutonio, che si pensa essere un’esclusiva delle maggiori potenze nucleari: Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna, Francia e di recente Cina. Per cui molti esperti sono giunti alla conclusione che Israele, grazie alla competenza dei suoi scienziati, sia riuscito a estrarre solo minime quantità di plutonio mediante processi meno efficaci.
Le ispezioni terminarono nel 1969 dopo che gli scienziati statunitensi si lamentarono per la mancanza di cooperazione da parte delle autorità israeliane. Ma non videro mai nessuna prova che potesse confermare che Dimona ospitava l’impianto di separazione del plutonio necessario a trasformare un comune progetto di ricerca in una fabbrica di bombe atomiche.
La CIA e le Nazioni Unite hanno convenuto che al massimo Israele potrebbe aver accumulato abbastanza plutonio negli scorsi 22 anni per costruire forse 10 bombe atomiche come quella da 20 chilotoni lanciata nel 1945 su Nagasaki, ma certo non più di 20.
La stima si basa sulla massima quantità di plutonio che può essere estratta senza l’aiuto di tecnologia avanzata per la separazione. Si pensa che l'eventuale programma di Israele per la costruzione di armi atomiche sia in ogni caso rudimentale. Simili sospetti sono stati avanzati anche per altre nazioni, come Argentina, Pakistan, India e Sud Africa.
Ad ogni modo la testimonianza di Mordechai Vanunu, verificata da esperti nucleari di ambedue le sponde dell’Atlantico, mostra che uno dei segreti peggio nascosti del mondo è, difatti, una delle confidenze meglio nascoste del secolo. Lontano dall’essere un pigmeo nucleare, è evidente che Israele deve ora essere tenuto in considerazione come una potenza nucleare, al sesto posto nella graduatoria atomica, con un arsenale di almeno 100 armi nucleari e con i componenti e la capacità di costruire bombe atomiche, a neutroni e all’idrogeno.
Quando i costruttori francesi spianarono per la prima volta la sterpaglia desertica nel 1957, cominciarono a scavare nella sabbia un cratere profondo 25 metri. In esso seppellirono l'Istituto 2, il bunker di cemento di 6 piani, che fu ricoperto dai due innocui piani in superficie. Le false mura furono costruite per nascondere agli occhi degli ispettori statunitensi gli ascensori di servizio per i piani sotterranei. Quando la struttura fu completata, gli ingegneri e i tecnici francesi installarono la tecnologia che De Gaulle sostenne di aver negato a Israele. I più anziani compagni di lavoro di Vanunu a Dimona ingenuamente raccontarono dei francesi che lavoravano insieme a loro.
I sei piani sotterranei dell'Istituto 2 sono divisi in unità di produzione numerate. C’è anche una sala di dimostrazione dove le personalità in visita, limitate al primo ministro, al ministro della difesa e ai vertici militari, sono informate sull’operazione Hump. Questo è il nome in codice, dice Vanunu, che Israele ha dato al suo ultimo programma di progettazione della bomba.
In questa stanza si trovano i modelli dei dispositivi atomici e una pianta dell'Istituto 2 appesa al muro. I lavoratori sono generalmente liberi di girare all’interno dell’impianto duranti i lunghi e noiosi turni. Vanunu regolarmente abbandonava le abituali partite di canasta con i suoi colleghi per andare a vedere cosa succedeva in giro.
Ha lavorato, o è entrato, in 33 unità di produzione all’interno dell'Istituto 2. L’unità 10, al piano terra, riceve i camion che trasportano le 100 grandi barre e le 40 più piccole barre di combustibile nucleare del nocciolo del reattore. Una gru cala i contenitori contenenti le barre giù attraverso il livello 1, che è un piano di servizio, e il livello 2, che ospita la sala controllo dell’impianto, fino all’unità 11 del livello 3.
Qui viene chimicamente rimosso il rivestimento in alluminio delle barre di uranio contenenti il plutonio. Una volta messo a nudo, l’uranio, che pesa 650 chilogrammi viene immerso in acido nitrico. Questo viene riscaldato a 109 gradi centigradi per 30 ore in modo da sciogliere l’uranio.
A questo punto il contenuto di uranio è di 450 grammi per litro e viene trasferito attraverso delle tubature sottovuoto alle unità dalla 12 alla 22, il centro principale di trattamento.
E’ così grande che occupa una immensa sala che si estende dal livello 4 fino al livello 2. Durante questo processo il liquido viene trattato in modo da rimuovere parte della radioattività e gli viene aggiunto una miscela di solvente e acqua. E’ a questo punto che il plutonio, mescolandosi con l’acqua, viene separato dall’uranio, che si miscela al solvente. Quando il miscuglio viene pompato fuori dal centro di produzione, contiene 300 milligrammi di plutonio per litro.
Nell’unità 31 il liquido viene ulteriormente concentrato a 2 grammi per litro e mandato all’unità 33, dove viene pompato in taniche da 20 litri e riscaldato con vari prodotti chimici, tra cui perossido di idrogeno, per 4 ore. Dopo un periodo di raffreddamento di otto ore viene mescolato con altri prodotti chimici in modo che la polvere si unisca in grumi, che vengono poi scolati e asciugati, lasciando una "torta" di plutonio che viene poi riscaldata nell’unità 37.
Il processo di cottura concentra il metallo in un bottone solido che pesa 130 grammi. Nove bottoni di plutonio venivano prodotti ogni settimana, 1,17 chilogrammi alla settimana per le 34 settimane all'anno di funzionamento dell'impianto (veniva spento complessivamente per 4 mesi per riparazioni e manutenzione).
Il prodotto annuale netto di questo processo di separazione é di circa 40 chilogrammi di plutonio all'anno, all'incirca sei volte la previsione più ottimista della capacità di produzione di plutonio da parte di Israele.
Inoltre, altre unità vennero aggiunte tra il 1980 e il 1982, costruite e installate dagli israeliani intorno all'impianto di separazione del plutonio e monitorate dalla medesima sala controllo.
Una di loro, l'unità 93 del livello 4, produce Trizio. Ciò è di grande importanza, perché significa che Israele può potenzialmente produrre armi termonucleari molto più potenti delle bombe atomiche ordinarie.
Barre di litio e alluminio, irradiate nel reattore, producono il trizio come sottoprodotto. Riscaldate nell'unità 93 a 625 gradi centigradi, le barre fondono e il trizio viene estratto.
Nell'unità 95, costruita a fianco dell'impianto principale di trattamento che si estende per tre piani, all'interno di un pozzo di un ascensore inutilizzato, il Litio 6 viene separato dal litio disponibile commercialmente, producendo 180 grammi al giorno.
L'unità 98 è un impianto di produzione di deuterio. Tutti questi componenti, plutonio, litio 6, trizio e deuterio, sono trasportati a un'altra sezione nel livello 4 nota col nome in codice MM2, Machon Metallurgia 2. E' qui che i materiali grezzi vengono lavorati per formare i componenti delle bombe nucleari.
I processi appena descritti sono un riassunto semplificato delle descrizioni dettagliate, dei flussi, delle misure, delle temperature e degli altri dati scientifici che Vanunu, dalla sua posizione nella sala di controllo e dal suo lavoro nelle altre unità, è stato in grado di memorizzare in nove anni e di passare al gruppo Insight del Sunday Times, che a sua volta li ha verificati insieme a scienziati nucleari.
Vanunu non ha mai detto di aver visto una bomba completa e non ha mai detto di conoscere con precisione la natura dei componenti prodotti. Ha detto che i componenti venivano portati via da Dimona a intervalli regolari in una flotta di camion e macchine a noleggio con scorta verso una località sconosciuta vicino Haifa.
I nostri lunghi colloqui con Vanunu, durati quattro settimane, hanno prodotto la stima che Israele stava producendo 40 chilogrammi di plutonio all'anno, sufficienti per 10 bombe all'anno. Durante il periodo in cui Vanunu ha lavorato Israele ha quindi prodotto abbastanza plutonio per 100 bombe nucleari da almeno 20 chilotoni, equivalenti a quella sganciata su Nagasaki. Mediante progetti sofisticati richiedenti minori quantità di plutonio, potrebbe essere in possesso di 200 bombe nucleari.
In più, la produzione del litio 6, del trizio e del deuterio evidenzia che Israele sta producendo i materiali grezzi necessari per realizzare componenti atti ad aumentare di dieci volte la potenza di 20 chilotoni delle armi atomiche di tipo più semplice.
Due foto in particolare sembrano mostrare un emisfero di deuteruro di litio che potrebbe essere usato per la costruzione dell'arma più devastante di tutte, la bomba termonucleare, un'arma equivalente alla forza esplosiva di centinaia di migliaia di tonnellate di TNT. Nel gelido gergo dei costruttori di armi nucleari, Israele sarebbe passato dalla capacità di produrre armi "spiana-quartiere " a bombe nucleari "spiana-città".
Una domanda rimane senza risposta nel resoconto di Mordechai Vanunu. La Francia ha costruito per Israele un reattore da 26 Megawatt che può produrre al massimo 7 chilogrammi di plutonio all'anno. Come poteva Vanunu riportare un valore annuale di 40 chili?
Il suo riferimento a 100 barre di uranio grandi, e 40 piccole, e le relative quantità, in litri o in grammi, prodotte dal processo di separazione suggeriscono un reattore da 150 Megawatt, l'esatta potenza per produrre 40 chili di plutonio all'anno.
Due eventi avvenuti verso la fine degli anni '60 spiegano la discrepanza nei calcoli.
Primo, il servizio segreto di Israele, il Mossad, ideò alla fine del 1968, durante un'operazione nota come Affare Plumbat, l'acquisizione illegale di 200 tonnellate di "yellow-cake", il materiale grezzo dal quale si possono estrarre 123 tonnellate di combustibile nucleare. Nessuno ha mai saputo spiegare come mai Israele avesse bisogno di così tanto combustibile. Un reattore da 26 Megawatt richiede soltanto 20 tonnellate di combustibile all'anno. La Francia aveva fornito il combustibile iniziale, l'industria dei fosfati di Israele forniva altre 10 tonnellate all'anno e il combustibile usato veniva riciclato per costruire nuove barre. In questo modo Dimona aveva uranio a sufficienza per alimentare un reattore da 26 MW.
Alcuni mesi dopo Israele provocò deliberatamente gli scienziati statunitensi che ispezionavano periodicamente Dimona, stressandoli al punto che decisero tutti insieme di ritirarsi. Da allora nessuna agenzia esterna è stata dentro Dimona, lasciando quindi gli israeliani liberi di ingrandire il loro impianto da 26 Megawatt trasformandolo in uno da 150 Megawatt. Scienziati atomici britannici hanno confermato che il potenziamento del reattore francese di Dimona di un fattore cinque sarebbe stato possibile senza dover ricostruire il reattore.
Ciò viene confermato da notizie provenienti dalla Francia. Fonti citate in un recente libro sulla cooperazione nucleare franco-israeliana affermano che il reattore costruito nel Negev era molto più grosso di quanto ammesso.
Il livello e la sofisticazione della capacità di produzione di armi nucleari da parte di Israele, messa in evidenza da Insight, mostra come Israele sia ora una potenza nucleare. La sua sopravvivenza di fronte a una sconfitta in una guerra convenzionale sembra assicurata, perché nessuna nazione araba potrebbe contrapporsi alla sua potenza nucleare. La Cina possiede approssimativamente 300 testate nucleari, la Francia 500 e la Gran Bretagna 700. Sia gli Stati Uniti che l'URSS sono in un'altra categoria, con le loro 27.000 testate ognuno. La proiezione dell'arsenale di Israele tra le 100 e le 200 armi potrebbe sembrare minima in confronto agli altri, ma è sufficiente a rendere Israele la sesta potenza sul pianeta.
Dieci giorni fa il primo ministro uscente, Shimon Peres, ha preso parte a un incontro periodico con i direttori dei giornali israeliani. All'ordine del giorno c'era l'imminente pubblicazione dell'indagine di Insight sul Sunday Times.
Sebbene nessun editore rivelerà mai i dettagli di questo incontro, è plausibile che Peres, avendo preannunciato agli editori questo rapporto, abbia ricordato loro gli obblighi dell'Official Secrets Act. Ha ammesso che Insight ha avuto accesso a una fonte interna.
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