Palestina

L'Organizzazione internazionale: metà dei Territori inaccessibile ai palestinesi, i check point distruggono l'economia

La Banca Mondiale a Israele: rimuovere i blocchi

La politica coloniale finisce sott'accusa Per l'organismo presieduto da Paul Wolfowitz, grazie a un ventaglio di provvedimenti Tel Aviv impedisce lo sviluppo di un settore privato arabo
10 maggio 2007
Michelangelo Cocco
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

La metà dei Territori occupati da Israele nel 1967 è inaccessibile alla popolazione palestinese a causa dell'effetto combinato di 546 blocchi posti dall'esercito e 41 segmenti autostradali - per un totale di 700 chilometri - riservati unicamente a cittadini dello Stato ebraico. Non solo, se «le barriere fisiche rappresentano manifestazioni visibili di chiusura, gli strumenti per limitare la libertà di movimento e di accesso dei palestinesi sono molto più complessi, basati su un insieme di misure amministrative e una politica di permessi che limita la loro libertà di spostarsi da casa, ottenere un lavoro, intraprendere un'attività economica».
Il rapporto pubblicato ieri dalla Banca mondiale rappresenta uno dei più duri atti d'accusa nei confronti della politica delle «chiusure» del governo israeliano e punta l'indice contro il risultato di quella strategia: rendere impossibile lo sviluppo di un'economia palestinese. Nel documento di 12 pagine vengono esaminate le restrizioni amministrative che chiudono ai palestinesi le porte di «tutte le aree all'interno dei confini municipali degli insediamenti, la "zona di cerniera", la Valle del Giordano, Gerusalemme est, strade e altre aree chiuse».
Secondo i dati dell'Ocha - l'Ufficio delle Nazioni Unite per l'assistenza umanitaria ai Territori occupati - il numero di blocchi registrati nel marzo 2007 era pari a 546, una cifra superiore del 44% rispetto a quanto previsto dall'Accordo sugli spostamenti, siglato il 15 novembre 2005 dal governo di Tel Aviv e dall'Autorità nazionale palestinese (Anp) grazie alla mediazione statunitense. «Quest'accordo vuole dare ai palestinesi libertà di movimento, di commercio, di vivere una vita normale», annunciò allora il segretario di stato Usa, Condoleezza Rice.
Quel patto però è rimasto lettera morta. Per effetto delle chiusure il territorio della West Bank - prosegue l'analisi della Banca Mondiale - è stato diviso in cantoni, che stanno diventando sempre più piccoli e scollegati tra loro. «Il sistema ha creato un livello così alto d'incertezza e inefficienza, che la normale conduzione di affari in Cisgiordania è diventata estremamente difficile e gli investimenti sono stati ostacolati - ha dichiarato David Crieg, direttore della Banca Mondiale per Israele e i Territori occupati -. Ristabilire uno sviluppo economico palestinese sostenibile dipende dallo smantellamento del sistema». Via le decine di check points, le centinaia di ostacoli e le strade solo per coloni che strangolano l'economia palestinese: è questa la ricetta dell'organismo presieduto dallo statunitense Paul Wolfowitz.
Ma ieri dal quotidiano Ha'aretz ha riferito che l'esercito occupante è pronto a opporsi a una nuova proposta statunitense, il piano Dayton, che altro non è che la riproposizione dell'Accordo del novembre 2005. Secondo fonti della difesa citate dal giornale progressista «la situazione della sicurezza nella Striscia di Gaza è peggiorata in maniera significativa dall'Accordo sul movimento, e il lanci di razzi Qassam continuano e in alcuni casi sono aumentati. Questo fatto non può essere ignorato». È da due anni però che tutte le milizie palestinesi, tranne quella legata alla Jihad islamica, rispettano una tregua degli attacchi all'interno dello Stato ebraico, mentre decine sono stati i palestinesi uccisi (tra loro tanti civili) nei raid dell'aviazione diretti contro i combattenti dell'intifada.
Se l'economia degli occupati è vicina al collasso, quella degli occupanti va a gonfie vele: lo shekel (la valuta locale) è giunto ai livelli più alti degli ultimi sette anni nei confronti del dollaro, mentre il prodotto interno lordo, per il secondo anno consecutivo, fa registrare un +5%.
E ieri i parlamentari europei del gruppo socialista hanno invitato l'Unione europea a riprendere immediatamente gli aiuti diretti all'Autorità nazionale palestinese (Anp) che il Quartetto di mediatori (Ue, Usa, Russia, Onu) ha bloccato dopo la vittoria elettorale degli islamisti di Hamas alle elezioni del gennaio 2006. «C'è bisogno immediatamente di risorse finanziarie per salvaguardare l'esistenza della Palestina», ha dichiarato Martin Schulz, leader del blocco socialista. L'Ue continua a distribuire finanziamenti attraverso il cosiddetto «Tim» un meccanismo che tiene in vita solo i servizi essenziali.

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