Unioni gay: e se fosse già possibile?
Dopo l'approvazione in Spagna della legge che riconosce le unioni tra persone dello stesso sesso, equiparandole ai matrimoni eterosessuali, anche in Italia la discussione si è fatta accesa. Le associazioni a tutela dei diritti degli omosessuali e delle lesbiche hanno chiesto di inserire il tema nell'agenda politica nostrana e di sancirlo anche in Italia. Proposta che ha incontrato consensi, ma anche tantissime resistenze.
In ogni caso la discussione si è svolta in ambiti morali, filosofici, etici e religiosi, senza mai giungere sul piano prettamente giuridico.
L'Art. 3 della Costituzione recita:
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali."
I cittadini non eterosessuali sono quindi equiparati ai cittadini eterosessuali, non potendo esistere alcuna discriminazione legata a sesso o condizioni personali e sociali(nelle cui categorie può essere fatto rientrare l'orientamento sessuale).
Prosegue poi nel secondo comma:
"E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
Qualcuno potrebbe dare un'interpretazione restrittiva del comma, affermando che esso deve essere circoscritto a determinati ambiti, quali per esempio quello economico(l'uso del termine lavoratori e non cittadini e varie espressioni usate sembrano avvalorare questa tesi). E' però una interpretazione alquanto debole. La costituzione è stata scritta nel 1947 in un contesto sociale molto diverso da quello attuale. Il diritto al lavoro era allora socialmente importante e prevaleva su altre considerazioni(tanto è vero che la costituzione sancisce solennemente che "L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro". La situazione sociale di oggi è molto diversa. Contestualizzando e attualizzando quindi l'ottica interpretativa tutto cambia. E non è più possibile sostenere l'interpretazione restrittiva. A conforto di questa tesi giungono diverse pronunce della Corte di Cassazione, soprattutto degli anni 70. Chiamata a pronunciarsi in materia di senso del pudore e di comune morale la Corte ha affermato che nell'interpretazione delle norme giuridiche va considerata l'evoluzione della società e dei costumi, applicando poi la norma di conseguenza. C'è comunque da aggiungere che una qualsivoglia interpretazione restrittiva viene a cadere nel proseguio del comma stesso. In chiusura si afferma che l'effettiva partecipazione deve avvenire nell'ambito dell'organizzazione politica, economica e sociale.
Del matrimonio si torna a parlare nell'articolo 29 della Costituzione, dove però il legislatore non esprime mai espressamente che esso vada inteso solo come unione tra persone di sesso diverso. Non potrebbe essere diversamente d'altronde, considerando che nel 1947 la questione delle unioni tra persone dello stesso sesso era ben lontana dal porsi. Nell'interpretazione di questo articolo possiamo applicare quanto detto poc'anzi.
Dalla Carta Costituzionale il discorso si può spostare sul Codice Civile.
Negli artt. 84-85-86-87-88-89-90 vengono indicate le situazioni nelle quali è vietato contrarre matrimonio. Tra le altre minore età, interdizione per infermità mentale, matrimonio precedente, legami di parentela legali o di sangue. Vi è quindi silenzio della norma sulla questione. La discussione verte quindi soltanto sull'esaustività o meno della norma. E' quindi da considerarsi esaurita nella trattazione del codice la categoria degli impedimenti o possono sussisterne altri? Alla luce di dottrina e giurisprudenza, applicandosi comunque per analogia quanto detto in altri casi, la trattazione è da considerarsi esaustiva.
Questo breve articolo ovviamente non esaurisce, ne poteva pretendere di farlo, l'argomento. Tantissimo sarebbe ancora da dire, ma non è possibile in queste sede.
Alla luce di quanto detto si può comunque trarre una importante conseguenza. Il riconoscimento giuridico delle unioni tra persone dello stesso sesso è pienamente compatibile con la legislazione italiana. La mancanza è segno di una chiusura totale sul tema da parte di larghi settori dell'opinione pubblica e della classe politica. Atteggiamento che sta portando a situazioni di discriminazione, quelle si realmente incompatibili col dettato costituzionale e con i principi dello stato di diritto.
Nel silenzio totale della legge, così come di dottrina e giurisprudenza, è possibile anzi affermare che, stante l'attuale situazione di mancato riconoscimento palese, nulla osta ad azioni giuridicamente valide che portino ad un riconoscimento di fatto.
Quale norma impedirebbe a due persone dello stesso sesso infatti di unirsi civilmente, trovando un ufficiale di stato civile che sia disponibile?
Praticamente nessuna.
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