L'Abruzzo del Petrolio
Svendere il territorio per un pugno di posti di lavoro. Succede a Ortona, in una delle zone più belle e fertili della regione verde d'Europa: l'Abruzzo. A due passi dal mare, all'ombra degli ulivi e delle viti che producono olio e vino.
A Ortona succede che l'Eni, già da tempo insediata nelle aree limitrofe, voglia oggi estrarre un olio combustibile che, finora poco conveniente, con l'aumento del prezzo degli idrocarburi, è oggi diventato una delle ultime strade percorribili dalle aziende petrolifere. Insomma si raschia il fondo del barile: letteralmente. E per farlo bisogna ripulire questo petrolio sporco.
La sostanza estratta dai pozzi ortonesi, infatti, va separata dall'acqua e dallo zolfo. E, se questo alla maggior parte di noi profani dice poco o niente, per gli esperti significa invece H2S: idrogeno solforato. Questo gas, altamente solubile in acqua e in grado di paralizzare il senso dell'olfatto, è la sostanza residua del processo di desolforizzazione.
L'idrogeno solforato, ad alte concentrazioni, uccide il nervo olfattivo e può causare incoscienza nell'arco di pochi minuti. A concentrazioni più basse, invece, produce irritazione agli occhi e alla gola, tosse, accelerazione del respiro, oltre che sensazioni sgradevoli legate al suo forte odore di uova marce. Insomma qualcosa con cui non è facile convivere. Eppure finora nessuno si è preoccupato di illustrare nei dettagli la questione, né di fornire ai cittadini dati scientifici e informazioni tecniche sul problema. Molte domande restano senza risposta o con mezze risposte pronunciate a mezza bocca nelle aule del palazzo comunale.
Domande, punti interrogativi: quali sono esattamente le sostanze immesse in atmosfera? Esiste il rischio di inquinamento delle falde acquifere? Dove scaricherà la centrale? Da dove verrà presa l'acqua necessaria per il funzionamento dell'impianto? La questione idrica, in particolare, costituisce un nodo centrale del problema in una zona che, in questa calda estate, ha sperimentato diverse difficoltà legate all'approvvigionamento idrico: in comuni come Guardiagrele e Orsogna l'acqua è stata razionata al punto da essere erogata per sole quattro ore al giorno. Senza parlare della stessa Ortona dove il Comune lancia appelli ai cittadini per un uso razionale dell'acqua in vista di una autunno che si prospetta 'asciutto'. Ma poi la Giunta incontra l'Eni a porte chiuse, nella sede dell'azienda e infine si cerca di convincere i cittadini: "abbiamo ricevuto ampie rassicurazioni e garanzie.
I tecnici dell'Eni hanno risposto a tutte le perplessità espresse dai consiglieri" dice Remo Di Martino, presidente del Consiglio Comunale. Ma forse la Maggioranza dovrebbe avere la pazienza di spiegare dove l'Eni troverà il milione di litri d'acqua al giorno necessario al funzionamento della centrale. Ma quello della salute e della tutela dell'ambiente non è l'unico fronte su cui la questione appare fumosa. Anche per quanto riguarda l'occupazione, ovvero lo stendardo con cui si fanno strada i sostenitori dell'impianto, i numeri sono incerti e, dopo aver agitato sotto il naso degli ortonesi cifre a tre zeri, ora si parla di poche decine di assunzioni e per soli 15 anni (questa è la vita stimata dei pozzi).
L'Eni, nelle poche dichiarazioni ufficiali, ha parlato di un numero di posti di lavoro che potrà andare da 25 a 30, cui dovrebbero aggiungersi gli occupati nell'indotto. Ma i sindacati, spaventati dalla possibilità che l'azienda chiuda le altre attività in zona, insistono con cifre maggiori. Tuttavia in centrali ben più grandi di quella in cantiere a Ortona sono impiegate meno di 40 unità. I sindacati hanno preso posizione, decidendo di schierarsi a favore di un progetto che, se farà guadagnare qualche posto di lavoro, rischia di mettere in ginocchio l'economia che da decenni è la vera risorsa di quel territorio: l'enogastronomia. Dalle colline intorno al futuro centro oli viene il più e il meglio della produzione vinicola dell'Abruzzo.
Per non parlare del turismo. Come pensare che qualcuno possa scegliere di andare in vacanza ai piedi di una ciminiera da cui costantemente fuoriesce una lingua di fuoco? E chi farebbe il bagno in una spiaggia su cui sfocia il canale che raccoglie le acque bianche (se è pensabile che in un centro oli ci siano acque bianche) di un centrale di estrazione e lavorazione del petrolio? Per quante misure di sicurezza l'Eni possa adottare, l'immagine della costa e delle colline del teatino ne verrebbe comunque danneggiata in modo irreversibile. "E dopo 15 anni – si chiede Amedeo D'Addario, ex parlamentare che ha contribuito alla scrittura di alcune delle leggi regionali più importanti per la tutela di ambiente e territorio – chi ricostruirà la nostra economia? Chi ci ridarà la nostra terra?".
L'impressione è che con troppa fretta si stiano aprendo le porte all'Eni permettendole di sfruttare a proprio piacimento il nostro territorio per poi, tra pochi lustri, lasciarlo a se stesso: spremuto, inquinato, impoverito. Ed è inevitabile che qualcuno inizi a chiedersi se non ci siano dietro interessi personali, dato che il primo cittadino di Ortona è anche un imprenditore portuale.
In tutta la faccenda, infatti, hanno molto peso i profitti legati al trasporto dell'olio: è dal porto di Ortona che partiranno i 5.000 barili quotidianamente prodotti dalla centrale. E l'appalto per il trasporto fa gola all'imprenditoria locale.
Ma la questione dovrebbe andare ben oltre gli interessi personali. "Nel giro di pochi anni – commenta Giusto Di Fabio, presidente del comitato Natura Verde, costituitosi allo scopo di impedire l'apertura della centrale, potremmo ritrovarci ad affrontare gli stessi problemi con cui da tempo combattono, per esempio, a Viggiano, in Basilicata, dove sorge una centrale come quella che vorrebbero fare qui (seppur più grande) e dove ora decine di famiglie hanno denunciato l'Eni e chiesto risarcimenti per i danni provocati dalla presenza di quel mostro".
I residenti della zona lamentano malesseri fisici come nausee e mal di testa, oltre a un netto peggioramento della qualità della vita (rumore costante e tremolio del terreno, odore nauseante e una patina nera che spesso si deposita su ogni cosa) e incalcolabili danni economici (prodotti agricoli impossibili da piazzare sul mercato e immobili completamente svalutati).
"È importante che gli abruzzesi si rendano conto che questo non è un problema che riguarda soltanto la zona di Ortona o la provincia di Chieti. Si tratta di una questione che interessa l'intera regione e la decisione non può essere demandata al solo comune di Ortona". Ma sull'argomento la Regione Abruzzo ha tenuto un atteggiamento che D'Addario ha definito "angustiante". Dopo aver dato parere positivo alla realizzazione della centrale ha rimesso la questione nelle mani del Comune di Ortona. "Perfino Ponzio Pilato ha avuto una posizione più decisionista di quella dei nostri consiglieri regionali" dice l'ex parlamentare.
Eppure nella Legge Regionale 18/1983, all'articolo 68, si legge: "sono considerati obiettivi prioritari per la Regione la valorizzazione e recupero del patrimonio agricolo, (..) ed ogni intervento atto a soddisfare le esigenze economiche e sociali dei produttori, dei lavoratori agricoli e delle imprese diretto-coltivatrici singole o associate". Un impegno che non sembra rispettato ora che, il Comune di Ortona, dopo aver annunciato di voler giungere a una decisione entro il 15 di settembre, si appresta a far approvare una variante al piano regolatore che modifichi la destinazione d'uso dell'area da agricola a estrattiva. Il che appare in evidente contraddizione con quanto detto nel secondo comma del suddetto articolo: " è fatto divieto di destinare ad uso diverso da quello agricolo i terreni sui quali siano in atto produzioni ad alta intensità quali, tra l'altro, quella orticola, frutticola, fioritola ed olivicola".
Ma le contraddizioni non finiscono qui: la stessa amministrazione ortonese non sembra aver chiari i suoi obiettivi se, da una parte, sembra decisa a procedere con il centro oli, mentre, dall'altra, ha di recente istituito un'area protetta costiera proprio ai piedi della collina del petrolio. Intanto i malumori riguardo al progetto crescono. Le cantine della zona, quelle sociali, come quelle private, sono sbalordite dalla facilità con cui si sta svendendo il lavoro di decenni, proprio ora che i vini abruzzesi cominciavano a guadagnarsi un'ottima reputazione.
"Cosa venderemo? Vino al petrolio?" si chiedono. E davanti alle proteste sembra davvero sospetto che il Consiglio Comunale sia così deciso a continuare per la sua strada. "Abbiamo tutti gli elementi pe decidere con serenità – ha detto Di Martino – L'Eni ci ha fornito una relazione dettagliata da cui risulta chiaro che non esistono rischi ambientali. Le nostre scelte non possono essere condizionate da timori ingiustificati e posizioni allarmistiche". E, mentre circola la voce che sia stato proposto un voto a scrutinio segreto, qualcuno si chiede come si possa definire dettagliata una relazione carente, piena di lacune, con riferimenti a pagine inesistenti e pareri scritti e poi
cancellati (a penna). Da quel che si riesce a capire, comunque, i pareri non sono tutti positivi. "C'è ad esempio la Provincia di Chieti – spiega Luigi Tiberio di Natura Verde che ha approfonditamente e non senza fatica studiato il materiale presentato dall'Eni in Comune – che ha messo in dubbio la Valutazione di Impatto Ambientale fatta per il progetto. Mentre la Asl mette in luce i rischi legati al consumo idrico specificando la necessità di anteporre i fabbisogni umani agli usi industriali".
Le domande senza risposta sono ancora troppe, ma la decisione è vicina e il rischio che un'intera regione veda trasformarsi la propria vocazione e il proprio futuro è alto. L'Abruzzo sembra di fronte a una scelta cruciale: puntare sul turismo valorizzando e tutelando il territorio, il paesaggio e le ricchezze naturali oppure buttarsi su un'industria che non è mai stata il settore trainante dell'area.
Seguire l'esempio della Toscana, dove da decenni vivono di un turismo attento alle ricchezze del territorio o quello della Puglia, dove un'intera regione è stata sacrificata a uno sviluppo cieco? Bisognerà chiedersi qual è la vera vocazione della regione e sarebbe doveroso chiedere agli abruzzesi se siano disposti a dilapidare il tesoro verde su cui sono seduti in favore di qualche manciata di oro nero.
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