La strana guerra tra il vino e il petrolio
Tutto nasce da quando è venuto alla luce pubblicamente - da meno di un anno - un progetto Eni per la costruzione di un centro per l’estrazione, la prima lavorazione e la desolfurizzazione degli idrocarburi tra Ortona e Miglianico, in provincia di Chieti. Una storia nata l’11 settembre 2001, quando fu sottoscritto al Ministero delle Attività Produttive un documento d’intenti, ma venuta alla luce solo nel maggio del 2007 con la pubblicazione all’albo pretorio del comune di Ortona della Conferenza di servizi e la «relazione tecnica descrittiva» dell’impianto, pubblicazione necessaria all’ottenimento della variante specifica del piano regolatore comunale per trasformare i 12 ettari di vigneto doc in zona industriale.
A sollevare ed animare una protesta partita dal basso non solo associazioni ambientaliste con Legambiente e WWF in testa, e comitati spontanei ma soprattutto agricoltori e produttori viti-vinicoli. L’impianto sorgerebbe infatti tra viti e colline a forte vocazione agricola, dove assieme all’olio si produce il Montepulciano d’Abruzzo. E piuttosto che dare il benvenuto alle attività di ricerca ed estrazione petrolifera (già esistono peraltro due pozzi Eni) piuttosto che vedere le viti sparire sotto torri fiammanti e un oleodotto di 2 chilometri qui si assiste ad una mobilitazione che davvero non ha precedenti in regione. Una mobilitazione che ha «costretto» il Consiglio Regionale, lo scorso 4 marzo, ad un parziale dietrofront.
Di fronte alla sede del Consiglio regionale dell’Aquila, c’erano gli striscioni di coltivatori e di associazioni ambientaliste a chiedere di fermare l’Eni. Alla fine, complice anche la scadenza elettorale, ha prevalso il compromesso: il Consiglio Regionale ha bloccato fino al 31 dicembre 2008 le autorizzazioni per il progetto del «Centro Oli di Ortona». «Nessuno si aspettava che la destinazione dell’Abruzzo fosse la petrolizzazione - dice Luigi Tiberio, tra i fondatori del comitato Natura Verde - . Lo sviluppo della nostra zona, ma della regione in generale, è legata all’ambiente, al territorio. Non a caso l’Abruzzo viene definita regione verde d’Europa, o regione dei parchi.
Proprio nella zona dove dovrebbe insediarsi questa attività di prima raffinazione del petrolio, si dovrebbe istituire un Parco nazionale, il quarto dell’Abruzzo, quello della costa teatina». La mappa ufficiale delle concessioni in Abruzzo (a terra e a mare) pubblicata su www.comitatonaturaverde.it ci dice che il 35% del territorio abruzzese è dato in concessione per lo sfruttamento degli idrocarburi. E le royalty? «Quello che sappiamo con certezza riguarda la convenzione urbanistica con il comune di Ortona, che parla di 21,7 milioni di Euro che l’Eni pagherebbe in 18 anni. Nonostante l’attività petrolifera sia prevista su 15 anni. Cifre non paragonabili con il fatturato della produzione vinicola» dice Tiberio.
Per rendersi conto dell’impatto di un simile impianto sul territorio, i comitati sono andati in Basilicata dove ha sede l’impianto Eni di Viggiano, in Pieno Parco Nazionale della Val d’Agri: esteso su 15 ettari, serve 44 pozzi, per una produzione di 80-90 mila barili al giorno. Dove 50 famiglie hanno fatto causa all’Eni per cattivi odori e rumori che peggiorano la qualità della vita. Lo spauracchio qui è l’idrogeno solforato, emesso dalle attività di desolfurizzazione. Altamente infiammabile e tossico. «Tutto intorno all’impianto l’immagine è desolante - dicono al comitato - . Il puzzo è insopportabile. La gente del luogo concorda: l’agricoltura è annientata, i valori immobiliari e dei terreni sono azzerati, le attività commerciali sono in grave difficoltà».
C’è anche un giallo sull’impatto ambientale dell’attività. Uno studio realizzato dal Consorzio Mario Negri Sud (su dati Eni) segnala emissioni - rispetto allo studio completo realizzato dall’Eni - 5 volte maggiori per quanto riguarda gli ossidi di zolfo, 15 volte maggiori sul monossido di carbonio. Ma esiste anche un fronte del sì. I rappresentanti sindacali delle aziende chimiche di Ortona: «Tutti i politici abruzzesi oggi contrari hanno sottoscritto accordi a tutti i livelli istituzionali. Gli interessi in campo sono compatibili e le esigenze dei due schieramenti possono creare sinergie per entrambi».
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