Terremoto di L'Aquila

Tentare di salvarsi con la lista dell'Unesco

L’Aquila rischia di diventare una Disneyland dell’orrore. Le centinaia di milioni, d’incerta provenienza e nell’arco di un quarto di secolo, servono a ben poco. Ci vogliono decine e decine di miliardi, per rifare il centro storico del capoluogo e rimettere piú o meno in sesto tutto il resto. L’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale gestita dall'Unesco potrebbe sensibilizzare la comunità internazionale al fine di reperire risorse e tecnologie adeguate per far fronte con efficacia ai problemi specifici di conservazione e restauro.
22 giugno 2009
Errico Centofanti
Fonte: L'Aquila città futura - 20 maggio 2009

La cupola della cattedrale di San Bernardino, con il campanile distrutto.

Ai californiani, le autorità gliel’hanno detto: prima o poi, arriverà “The Big One”, cioè il “Botto Grosso”. Noi, invece lo sapevamo per esperienza: all’Aquila, quando la terra comincia a danzare con ritmo serrato, prima o poi il “Botto Grosso” arriva. Mi si perdoni l’autocitazione, ma di questo mi sono occupato in un libro uscito nel tricentenario del terremoto del 1703. Nel ricostruire fatti e conseguenze di quella catastrofe, evidenziavo che nel 1703, come pure nella anch’essa poderosamente distruttiva circostanza del 1461, il “Botto Grosso” era arrivato dopo settimane di paurose scosse preliminari. Non c’è due senza tre? Puntualmente, anno 2009, ecco il terzo “Botto Grosso”, esploso dopo tre mesi e mezzo di scosse premonitrici.
Ce l’aspettavamo. Tuttavia, proprio nella settimana che aveva preceduto il 6 Aprile, i massimi specialisti nazionali dei “grandi rischi” s’erano congregati all’Aquila e avevano diffuso rassicuranti pronunciamenti ufficiali. C’eravamo fidati noi del centro storico, che abbiamo visto crollarci addosso la casa, s’erano fidati quelli delle periferie e dei borghi circostanti, che hanno perduto tutto o parecchio, s’erano fidati tutti quelli che dalle macerie sono stati estratti tramortiti o morti del tutto.
Adesso, dovremmo fidarci di chi promette di ricostruire tutto e alla grande. A parte il formidabile exploit di uomini e mezzi andato in scena nella prima emergenza, di soldi veri, finora, non se ne vede traccia. E le centinaia di milioni, d’incerta provenienza e nell’arco di un quarto di secolo, servono a ben poco. Ci vogliono decine e decine di miliardi, per rifare il centro storico dell’Aquila e rimettere piú o meno in sesto tutto il resto. Chi parla di entità diverse, dice bugie o non sa di cosa sta parlando.
La realtà è che il terremoto del 6 Aprile ha raso al suolo o atrocemente manomesso trecento ettari di fabbricati, insigni o semplicemente densi del vissuto di generazioni, innalzati tra Medioevo e Liberty: il piú vasto centro storico maciullato sulla superficie della terra dopo il sisma del 1755 che atterrò Lisbona.
Con l’evitare di rappresentare la gravità dell’accaduto agli inviati di giornali e tv di mezzo mondo che s’erano immediatamente precipitati all’Aquila, s’è persa l’occasione di ricavare dalla tragedia sismica le premesse del suo superamento: bisognava fargli vedere e comprendere quanto esteso e terribile fosse il danno, unico nel suo genere. Ne sarebbe venuta un’eco che avrebbe potuto far germinare un’ondata di inquietudine capace di calamitare una solidarietà non di facciata, non meramente emozionale, tale da stimolare in ambito mondiale gli innumerevoli interventi necessari per ricostituire tutto l’immenso patrimonio compromesso.
Adesso, si rischia che, con i quattro soldi ipotizzati dal governo e qualche generosità sponsorizzativa, vengano aggiustati un quindici/venti dei nostri pezzi d’architettura piú pregiati e che tutto il resto rimanga allo stato di spettrale cornice di rovine. L’Aquila rischia di diventare una Disneyland dell’orrore, che allo Stato costerebbe addirittura meno del sudario di cemento armato disteso con la firma di Alberto Burri sui mozziconi della minuscola Gibellina.
Sarebbe bello per noi e giustamente in linea con i precedenti friulani e umbro-marchigiani che lo Stato si facesse carico di rimettere tutto in piedi. Tuttavia, non possiamo abbandonarci alle illusioni. Penso, dunque, che, oggi come oggi, esista una sola possibile fonte dalla quale sperare di ottenere il mare di denaro indispensabile per rifare L’Aquila e che si profili una sola opportunità per riagganciare l’attenzione internazionale. Le due cose sono inscindibili.
La possibile fonte è quella dei governi e delle imprese dei 7 Paesi che, insieme con il nostro, producono il 60% della ricchezza mondiale. L’opportunità è il G8: il vertice di quei Paesi, che si terrà all’Aquila in Luglio, la cui unica ricaduta utile ci può venire dalla visibilità planetaria garantita dai mass-media.
Ma, non basterà sognare e restare alla finestra. Occorrono iniziative da parte nostra, per cogliere l’opportunità del G8 e indurre i Paesi piú ricchi del mondo a coordinarsi per rifare L’Aquila. Perciò, se non emerge niente di meglio, considero determinante mirare all’inserimento del nostro centro storico nella Lista del Patrimonio Mondiale gestita dall’agenzia culturale dell’Onu, cioè dall’Unesco.
L’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale consente di sensibilizzare la comunità internazionale e di reperire risorse e tecnologie per far fronte con efficacia ai problemi specifici di conservazione e restauro. Ottenere l’iscrizione non è cosa semplice né rapida, ma può diventare l’operazione-simbolo grazie alla quale far fruttare per noi il G8. Inoltre, essendo necessario un ruolo attivo del governo, prima a livello di Ministero Beni Culturali e poi di Esteri e Presidenza del Consiglio, questa iniziativa, se dalla Municipalità venisse proposta, consentirebbe di instradare verso un minimo di concretezza i fantasmagorici annunci governativi.
Quanto a motivazione e fondatezza dell’iscrizione nella Lista non c’è da dubitare: occorre possedere almeno uno dei dieci requisiti previsti e L’Aquila ne vanta piú d’uno, a cominciare da quello di «rappresentare un capolavoro del genio creativo dell’uomo». Il che deriva non tanto dalla ricca e multiforme dotazione monumentale quanto (e sopra tutto) da quel capolavoro, intatto nonostante secoli di terremoti, che è la forma della città, disegnata a tavolino dai padri fondatori e considerata dagli urbanisti un vertice della creatività medioevale europea.

Note: Errico Centofanti, giornalista e scrittore, è stato uno dei fondatori del Teatro Stabile dell’Aquila, che poi ha diretto per vent’anni. Autore di numerosi libri di ambientazione storico-letteraria, è stato direttore artistico dei festivals “La Perdonanza” dell’Aquila, “Rinascimenti” di Urbino, “Castel dei Mondi” di Andria e “Le Stelle della Grangia” dell’Abbazia di Fossanova nonché del settore spettacolo per il Settembre Dantesco di Ravenna. In occasione del tricentenario del sisma che aveva distrutto la città nel 1703, ha pubblicato il volume “La Festa Crudele”, che è un’ampia riflessione di antropologia culturale sui terremoti dell’Aquila e le loro conseguenze


http://www.laquilacittafutura.it/politica/tentare-di-salvarsi-con-la-lista-dell%e2%80%99unesco/#comment-610

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