Pasolini tutta la vita Fascismo e Potere li ha combattuti
L'Italia è considerata da millenni la "culla" della cultura. Una cultura espressa da poeti, scrittori, intellettuali. Una cultura che ha sempre vissuto di una dicotomia fortissima tra i servi del padrone di turno, sempre pronti ad esaltarne le "gesta"(anche quando le più vili e criminali) e a piegare la penna ai loro interessi e pensieri, e gli intellettuali veri, con la schiena dritta, liberi e libertari, capaci di denunciare e opporsi ad ogni forma di oppressione e Potere. Tra i secondi nel Novecento spiccherà per sempre la figura di Pier Paolo Pasolini, capace di fortissime invettive e di denudare il "ventre molle" della borghesia e la volgarità del Potere. Pasolini è stato capace di intuizioni, di visioni e di una forza prorompente che superava i suoi tempi e che, probabilmente, neanche oggi si è ancora capaci di leggere e valutare nella sua interezza. Nei suoi confronti il Potere, e chi non l'ha saputo comprendere, sta portando avanti la peggiore delle vendette: la citazione parziale e strumentale che ne cerca di piegare e manipolare il pensiero e le parole. Accade sui temi etici, sulla cinematografia, accade per la lettera agli studenti di Valle Giulia (quanti, tra chi strumentalmente e abusivamente ne ripetono citazioni ad orologeria, l'hanno mai letta interamente?) e, in questi giorni, è accaduto anche a Vasto. Per giustificare e difendere la proposta, fortemente rigettata dagli altri, dell'ingresso di un esponente di un movimento neofascista nella battaglia civile e ambientalista in corso si è riportata questa citazione (in realtà parziale) di "Scritti Corsari":
"Ebbene, a questo punto mi farò definitivamente ridere dietro dicendo che [di queste nefandezze] responsabili [...] siamo anche noi progressisti, antifascisti, uomini di sinistra. Infatti in tutti questi anni non abbiamo fatto nulla [...] perché i fascisti non ci fossero. Li abbiamo solo condannati gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione; e più forte e petulante era l’indignazione più tranquilla era la coscienza. In realtà ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti, e di fronte a questa decisione del loro destino non ci fosse niente da fare. E non nascondiamocelo: tutti sapevamo, nella nostra vera coscienza, che quando uno di quei giovani decideva di essere fascista, ciò era puramente casuale, non era che un gesto, immotivato e irrazionale: sarebbe bastata forse una sola parola perché ciò non accadesse. Ma nessuno di noi ha mai parlato con loro o a loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male. E magari erano degli adolescenti e delle adolescenti diciottenni, che non sapevano nulla di nulla, e si sono gettati a capofitto nell’orrenda avventura per semplice disperazione."
Ma già dalla lettura della citazione immediatamente si evidenzia che non c'è stata alcuna legittimazione o volontà di dialogo con i fascisti da parte di Pasolini, tanto è vero che il fascismo viene definito "orrenda avventura". Pasolini è sempre stato un intellettuale libero, e per questo capace di inveire contro ogni forma di fascismo, ogni cedimento morale e culturale, ma era totalmente schierato. Nell'immediatezza del dopoguerra Pier Paolo Pasolini fece una scelta netta, iscrivendosi al Partito Comunista Italiano (dal quale fu poi espulso, ufficialmente perché omosessuale, ma secondo molti proprio per il suo essere libero e per il suo rigetto ad essere irregimentato) e perseguendo per tutta la sua esistenza quella scelta.
Pasolini descrisse, vivendo quella realtà lui stesso, i "ragazzi di strada" della periferia romana, quei figli del proletariato che erano nel suo cuore e che vedeva resi disperati dall'abbandono di tutti. Nella lotta di classe essere comunisti per lui significava schierarsi con loro e combattere per la loro libertà e dignità. A loro si rivolse anche nel brano citato, sostenendo che quei ragazzi non andavano abbandonati all'ideologia fascista ma bisognava donare loro una speranza e una prospettiva di vita. Pasolini denunciò, e in molti degli "Scritti Corsari" emerge, quanto ciò non avvenisse da parte del Partito Comunista e della Sinistra. Ne denunciò sempre e ripetutamente gli errori, il trasformarsi in una vera e propria "Chiesa Rossa", con gerarchie, riti, omologazione e imborghesimento susseguenti. Ma non per questo cambiò mai la sua scelta di vita e di pensiero, l'essere comunista e figlio di una sinistra libera e libertaria.
Denunciò ripetutamente il rischio che l'omologazione e l'imborghesimento della Sinistra e del PCI stavano portando ad un Fascismo dal volto diverso, più subdolo e pericoloso. La lotta al Fascismo e al Potere dominante e omologante fu uno dei fili rossi della sua esistenza. Lo dimostra uno dei suoi brani più conosciuti, quella fortissima invettiva contro lo stragismo fascista e la sua violenza pubblicato sul Corriere della Sera il 14 Novembre 1974. Un Fascismo e un Potere contro cui la Sinistra, a partire dal PCI, non combattevano come avrebbero dovuto e anzi erano, in alcuni casi, addirittura accondiscendente (erano gli anni che portarono al "compromesso storico"). Tra gli errori che denunciava, per dirla con le parole del saggista Enrico Campofreda, c'era "un antifascismo difensivo, non offensivo come quello partigiano". Pasolini ben conosceva la differenza tra i fascisti che avevano dominato e devastato l'Italia per un ventennio, approdando poi nel dopoguerra alla più pericolosa e antidemocratica eversione stragista e criminale, e chi combatté nella Resistenza ispirandosi ai valori democratici. E proprio per questo considerò sempre pericoloso l'emergere dell'omologazione borghese inter-classista e il Fascismo che ne emergeva, ancor più pericoloso quando nasceva e cresceva a sinistra, e quando il Partito Comunista e la Sinistra non avevano il coraggio di opporsi fino in fondo e con la forza e la durezza necessaria al neofascismo, ma anzi, erano persino tolleranti e accondiscendenti: quando ci fu la proposta di un referendum popolare per la messa fuorilegge del Movimento Sociale Italiano l'intero Parlamento la osteggiò e il PCI investì il suo peso istituzionale per evitare il ricorso alle urne.
Tornando al brano citato all'inizio, un episodio (narrato proprio in "Scritti Corsari" e pubblicato la prima volta col titolo "Fascisti padri e figli") è rivelatorio della sua lotta al Fascismo e alla violenza borghese e ne spiega l'interezza del pensiero, l'incontro con la madre di un ragazzo dichiaratamente fascista. La madre viveva come un dramma la scelta ideologica del figlio e cercava di far di tutto perché si modificasse. Pasolini la incontra per essere intervistato e la conversazione cade anche su questo figlio fascista( poi, scrive Pasolini, "il discorso sul figlio cadde, secondo la souplesse mondana di colloqui del genere, e passammo ad altro"). Grande fu la rabbia quando Pasolini lesse l'intervista, che "Era quanto di più offensivo si potesse scrivere nei miei riguardi: offensivo perché scritto non dal solito imbecille che mi detesta in nome dei suoi padroni reali o immaginari, ma da una persona educata, civile, a un livello giornalistico buono. Mi offendeva il fatto di veder ribaditi, da quella persona che mi era parsa rispettabile, tutti i luoghi comuni che persone indegne di ogni rispetto hanno accumulato su me" con "Giudizi da provinciale e da ignorante". E allora si rese conto che la madre, anche se l'apparenza e le dichiarazioni andavano in tutt'altra direzione, era molto più fascista del figlio, e che il suo fascismo era molto più pericoloso: perché nel figlio era "una protesta, una rabbia" di un adolescente che "capisce che il mondo in cui vive è, nel fondo, atroce: e vi si scaglia contro, con la forza dello scandalo" mentre nella madre "è cedimento morale, complicità con la manipolazione artificiale delle idee con cui il neocapitalismo sta formando il suo nuovo potere". E conclude con la più dura delle invettive: "Che vi vengano figli fascisti - questa la nuova maledizione - figli fascisti, che vi distruggano con le idee nate dalle vostre idee, l’odio nato dal vostro odio." Il fascismo per Pasolini era una maledizione, era il Potere e la sua violenza da denunciare e combattere, bisognava farlo comprendere alle nuove generazioni e costruire con loro una nuova Resistenza, una prospettiva nuova e diversa. Sembra quasi una sintesi della sua lotta al Fascismo quest'altra invettiva dello stesso articolo "L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società".
Davanti a queste parole non c'è altro da aggiungere...
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