Abruzzo e mafie, quando si scuoteranno (e muoveranno) le coscienze?
Quanti sono nella nostra regione le sale, le strade e altri luoghi dedicati ai morti ammazzati dalle mafie? Quante le cerimonie, le commemorazioni, le sfilate per la legalità e la memoria? Tante, tantissime. Quanti invece gli occhi aperti, i megafoni aperti su quel che ci circonda, sul malaffare, sulla penetrazione delle mafie? Immensamente di meno, molto ma molto meno anche dei tantissimi che continuano a (s)parlare di un Abruzzo sano, immune, lindo e pulito. Al massimo sussurrando che qualcosina c’è, “ma giusto nel post terremoto e nulla di significativo”. Eppure inchieste, arresti, fatti di cronaca, processi dimostrano che le mafie in Abruzzo ci sono da decenni, s’infiltrano nella gestione del “bene pubblico”, nell’economia, nel tessuto sociale. Investono, manovrano, trafficano.
Ma ammetterlo costerebbe troppe domande, pretenderebbe troppe indignazioni di fronte a connivenze e convenienze, imporrebbe una mobilitazione coraggiosa, vera e reale di fronte a troppi comportamenti omertosi, criminali, mafiosi che quotidianamente animano la provincia delle clientele e dei perbenismi, dell’alta borghesia della “società bene” che delle mafie si serve e ne è cliente. Droga, rifiuti, traffico d’armi, estorsione, corruzione, appalti, sfruttamento della prostituzione, caporalato e lavoro nero, in Abruzzo l’attività è fiorente e l’elenco è sterminato. Ci sono immensi prati dove nascono affari, traffici, intrecci criminali ripetutamente, costantemente, nell’imperversare di consorterie e comitati d’affari. La DIA un anno e mezzo fa scrisse nero su bianco che ci sono “imprenditori senza scrupoli che potrebbero rappresentare un’efficace testa di ponte per i gruppi camorristici”. Basta semplicemente vedere, leggere, ascoltare, aprire gli occhi. E non accontentarsi di vivere in una mediocre sopravvivenza, non pensare che non ci interessa , che basta semplicemente scansarsi e “farsi i fatti propri”. Per poi lamentarsi solo quando si può far sfoggio di moralismo a buon mercato, di ipocrita conformismo, di borghese corporativismo (ma è tanto una “brava persona”, “ma lo conosco”, “certe cose si sanno ma non si dicono, non sono fatti nostri”) o il fastidio di chi non vuol mobilitarsi e non vuole che altri lo facciano. E’ troppo facile sfoggiare morale e pudore sulla prostituzione, sulla presenza delle “lucciole” in alberghi e strade. Ma quel traffico esiste perché qualcuno lo alimenta, il mercato c’è se ci sono clienti. E ci sono luoghi, strade, contrade chiacchierati e ben conosciuti, basta girare per bar e piazze, case e ville per scoprire che tanti, tantissimi sanno benissimo dove lo sfruttamento è florido. Ma proferiscono solo risolini maschilisti, battute indegne. O preferiscono il silenzio più omertoso possibile. L’ipocrisia è vomitevole, è ripugnante. Perché le risposte sono nelle “tiepide case”, nei borghesi divani dell’alta società, nel jet set della “città bene”. Sono i padri, i fratelli, i figli di “buona famiglia”. Gli stessi che regalano soldi alle mafie il sabato sera in ben conosciute stanze d’albergo o ai margini di viali altrettanto noti. Se questa regione è uno dei maggiori crocevia nazionali (inserita anche, come anche di recente hanno dimostrato inchieste giudiziarie) del traffico di stupefacenti, se sono state costruite vere e proprie cosche locali sulla droga, qualche domanda sarebbe d’obbligo. E la risposta è una sola: il mercato è florido, la domanda è sempre in aumento. Le lacrime davanti alle tragedie personali e familiari, lo stupore perbenista e benpensante non servono a nulla. Anzi, sono complici. Ogni volta che si rimane in silenzio, che non si denuncia, non si mette la faccia, si rimane inerti di fronte ad un luogo di spaccio, ad una persona che diventa ingranaggio del “mercato”, si diventa complici, mafiosi, assassini di ognuno delle vittime (dirette e indirette) della droga.
E’ inutile, offensivo, complice continuare a far suonare fanfare per cerimonie e sfilate, a intitolare strade e riempire “giornate” della legalità e della memoria se si continua a credere che è tutto confinato al passato e a latitudini lontane, a riempirsi la bocca coi morti ma dimenticandosi dei vivi. Il malaffare delle eco camorre sui rifiuti e nel ciclo del cemento era ed è ancora ben presente. E non è mai stato completamente portato alla luce. Ma quei potenti clientelari e mafiosi, quei pupari e pupi appaiono comodi quando bisogna chiedere un “favore”, bussare ad una porta, perseguire interessi personali tramite facili scorciatoie clientelari. Ma nel momento in cui ci si disinteressa (o meglio, ci si interessar solo quando si può servire ed essere favoriti), si gira la testa dall’altra parte di fronte a corruttele e consorterie, non ci si schiera (trincerandosi dietro fatalismo e qualunquismo d’accatto) o ci si schiera con il forte (arrivando anche ad infangare, insultare, colpire il debole), si è già scelta la mafia, la si favorisce e si è votato contro il proprio territorio, per incatenarlo e devastarlo. Si sono scelti i criminali, i colletti bianchi, le piovre. Quella massoneria a cui fa riferimento Claudio Fava è presente anche qui, nel nostro Abruzzo. Ambienti e influenze compaiono improvvisamente nelle cronache, cercando sul web si trova qualcuno che sembra voler denunciare una sua presunta influenza, notizie fanno riferimento a personaggi che entrerebbero in sodalizi per far carriera o che sono protetti nelle loro posizioni perché già affiliati, enti e uffici sono più che chiacchierati perché senza grembiule e compasso non si muoverebbe foglia (ma mai uno solo che abbia il coraggio di metterci la faccia, di denunciare e non sussurrare) ma alla fine tutto si perde come in un porto delle nebbie. Si riuscirà mai a risalire dal porto delle nebbie? L’Abruzzo troverà mai i fari giusti per illuminare le zone grigie e far emergere senza remore la reale realtà dei fatti?
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