Mafie, cullarsi nella favola vecchia dell’isola felice e nel silenzio delle coscienze assopite è di fatto complicità

11 settembre 2017
Alessio Di Florio (PeaceLink Abruzzo, Ass. Antimafie Rita Atria)

Gli stralci principali sull’Abruzzo*, in particolare sul vastese e sull’inchiesta “Isola Felice”, del recente rapporto della Direzione Investigativa Antimafia sul secondo semestre 2016 descrivono un quadro che dovrebbe smuovere le coscienze, interrogare e imporre di agire. Sono passati 12 mesi dall’inchiesta, un anno intero e – come già registrammo l’anno scorso – passato il primo clamore, Panta Rei, tutto scorre, tutto cade nell’oblio e si dimentica***. E, se non fosse stato per questo rapporto della DIA e le dichiarazioni del Sindaco di San Salvo sulla necessità di una “maggiore presenza di forze dell’ordine e di maggiore attività di intelligence con una tenenza dei carabinieri”, nessuno si sarebbe ricordato dei Ferrazzo, dei Cozzolino, di mafia, camorra e ‘ndrangheta attivi nel nostro territorio. E questo già dovrebbe preoccupare, indignare, sconcertare. Perché mafie, politica ed economia (e spesso sodalizi massonici) a braccetto inquinano, devastano, egemonizzano territori e società. E questa in Abruzzo è una lezione che non è mai stata assorbita, mai si è incardinata (tranne rarissime eccezioni) nell’agire politico. Sconcerta, ma non stupisce. Cos’altro aspettarci da un panorama politica dove c’è chi esalta i valori della Resistenza e poi trasforma il 25 aprile in una passerella politica e si “dimentica” dell’espressione di una comunità solo perché non è del suo stesso recinto?

E la “politica”, in generale, un certo modo di intendere la politica che oscilla tra le tre scimmiette, l’omertà, la connivenza e la compartecipazione, è tra i soci più forti di ogni sodalizio mafioso. Tutte le mafie prosperano sulla politica dei favori, sulla politica senza respiro alcuno sul futuro ma legata solo al presente dell’algebra dei voti e della ricerca continua di consensi, sulla politica che continuamente sacrifica il bene comune sull'altare degli egoismi di pochi e delle lobby dei piccoli interessi, prona a qualsivoglia potentato. A partire dalla speculazione edilizia e da ogni possibile, anche il più squallido e meschino, clientelismo. Ma, in questo, la “politica” non è sola. Perché la classe e i feudi politici sono espressioni di chi li vota e sostiene, di chi preferisce farsi “li cazza sua” perché potenti e pupari sono “comodi” quando bisogna chiedere un “favore”, bussare ad una porta, perseguire interessi personali tramite facili scorciatoie.  Chi si accontenta di vivere in una mediocre sopravvivenza, pensando che basta semplicemente scansarsi e “farsi i fatti propri” (o, ancor di più, esercitarsi nell’arte più diffusa “chi comanda fa legge” e non importa chi comanda, ar-lecchino sono …), per poi lamentarsi solo quando si può far sfoggio di moralismo a buon mercato, di ipocrita conformismo, di borghese corporativismo (ma è tanto una “brava persona”, “ma lo conosco”, “certe cose si sanno ma non si dicono, non sono fatti nostri”) o il fastidio di chi non vuol fare un cazzo e non vuole che altri lo facciano, sceglie di essere complice di criminali, colletti bianchi, piovre. Ogni volta che si gira la testa dall’altra parte di fronte a corruttele e consorterie, non ci si schiera (trincerandosi dietro fatalismo e qualunquismo d’accatto) o ci si schiera con il forte (arrivando anche ad infangare, insultare, colpire il debole), si è già scelta la mafia, la si favorisce e si è votato contro il proprio territorio, per incatenarlo e devastarlo.     

La relazione della DIA evidenzia l’importanza preziosissima del “metodo Falcone”. Quel metodo che, tra le altre, ci insegna che per indagare sulle mafie è necessario seguire i “soldi”, i flussi economici e finanziari. Sono passati più o meno dieci anni dalle interrogazioni presentate in Senato dall’ex magistrato Giuseppe Di Lello** e alla Camera da Maurizio Acerbo (entrambi di Rifondazione Comunista). Interrogazioni che ancora oggi dovrebbero essere attuali e avere risposte convincenti su quel che si è mosso, si muove e si muoverà. Certi soldi non spariscono improvvisamente. Di quei capitali che ne è stato? Cosa accade quotidianamente intorno a noi, quali movimenti ci sono? Oggi quei movimenti dove e come avvengono?

Ci sono compiti e impegni che devono essere propri di ogni coscienza libera, di ogni schiena dritta che deve dire sempre, comunque, senza se e senza ma, no ad ogni mafiosità, compromesso, intrallazzo. E interrogarsi sempre su come liberare e migliorare la nostra società, essere vedette libere e senza catene. La Terra dei Fuochi non è solo un’espressione geografica, è “capitalismo criminale” come denunciammo a Vasto con il giornalista d’inchiesta Nello Trocchia a maggio. E quel capitalismo in Abruzzo è presente, da vent’anni e più. Come già tante volte abbiamo scritto, documentato e ribadito negli anni. Ma, e proprio l’incontro con Nello Trocchia su Roberto Mancini lo ha dimostrato, l’algebra dei voti e dei consensi per lor signori egemonizza tutto. Quando non ci sono passerelle e voti “pesanti”, quando non si è iscritti a clientele e correnti di potere, le belle “parole” delle grandi cerimonie possono andare a farsi fottere, si dimenticano facilmente. Se le denunce sono reali e non di comodo, se non si è attori sul palcoscenico dei pupari, non sono considerate degne da tanti ambienti di esistere. E vanno, nella migliore delle ipotesi boicottate e ignorate.

Droga, rifiuti, traffico d’armi, estorsione, corruzione, appalti, sfruttamento della prostituzione, caporalato e lavoro nero(da parte di “tanti onesti imprenditori e lavoratori” che però hanno il “vizio” di non capire perché gli operai hanno diritti e salari degni), in Abruzzo l’attività è fiorente e l’elenco è sterminato. I traffici della prostituzione e delle droghe esistono perché qualcuno li alimenta. E le risposte sono nelle “tiepide case”, nei borghesi divani dell’alta società, nei padri, fratelli, figli di “buona famiglia” nel jet set della “città bene”. La stessa che regala soldi alle mafie il sabato sera in ben conosciute stanze d’albergo o ai margini di viali altrettanto noti. O in un quartiere in riva al mare quasi al confine del Molise (dal nome di ninfe greche …) dove tutti sanno è fiorentissimo il mercato della prostituzione. E di piazze e piazzette dello spaccio, tra un casale e l’altro, chiunque sa. Ogni volta che si rimane in silenzio, non si denuncia, non si mette la faccia, si rimane inerti di fronte ad un luogo di spaccio, ad una persona che diventa ingranaggio del “mercato”, si diventa complici, mafiosi, assassini di ognuno delle vittime (dirette e indirette) della droga.

Almeno da inizi Anni Novanta ogni tanto compare e scompare nelle cronache anche la massoneria. Dai tempi della lista Cordova, quando emerse che la terra del Gran Sasso è anche terra di grandi e piccole logge coperte e la “Guglia d’Abruzzo” finì nell’elenco. E torniamo all’inizio, ai soldi con i quali ci si insinua dappertutto, si muovono fili e pupi, si decidono le sorti di territori, appalti e affari.  E negli anni ambienti e influenze compaiono  improvvisamente nelle cronache, cercando sul web si trova qualcuno che sembra voler denunciare una presunta influenza, notizie fanno riferimento a personaggi che entrerebbero in sodalizi per far carriera o che sono protetti nelle loro posizioni perché già affiliati, enti e uffici sono più che chiacchierati perché senza grembiule e compasso non si muoverebbe foglia (ma mai uno solo che abbia il coraggio di metterci la faccia, di denunciare e non sussurrare)  ma alla fine tutto si perde come in un porto delle nebbie. Si riuscirà mai a risalire dal porto delle nebbie? L’Abruzzo troverà mai i fari giusti per illuminare le zone grigie e far emergere senza remore la reale realtà dei fatti?

Note: *“In Abruzzo e in Molise, invece, quelli che in passato venivano registrati come segnali di una presenza delle cosche, grazie alle evidenze investigative raccolte nel semestre con l’operazione “Isola Felice” sono diventati tasselli importanti della continua strategia espansionistica della ‘ndrangheta verso regioni – o nazioni - solo all’apparenza meno “appetibili”. “Il capo ‘ndrina non solo aveva scelto di stabilire ufficialmente la propria residenza in San Giacomo degli Schiavoni (CB), ma si era di fatto reso promotore di una associazione criminale composta sia da calabresi che da siciliani (famiglia MARCHESE di Messina) che operava tra San Salvo (CH), Campomarino (CB) e Termoli (CB). […] Le indagini hanno ben delineato come la cosca FERRAZZO volesse ricompattarsi in Abruzzo, arrivando, appunto, in un’“isola felice” per rinsaldare le proprie attività criminali. In conclusione, l’analisi degli avvenimenti porta ragionevolmente a far ritenere che l’ascesa del clan FERRAZZO in Abruzzo e Molise sia stata in qualche modo favorita dalla “caduta” del clan campano COZZOLINO, precedentemente egemone nello stesso territorio e fortemente ridimensionato a seguito dell’operazione “Adriatico” della Procura Distrettuale aquilana”

** Il 3 aprile e il 17 ottobre 2007, oltre a ricordare la scoperta del “tesoro di Ciancimino” si sottolineano aspetti della presenza finanziaria e imprenditoriale mafiosa “un numero di istituti bancari e società finanziarie assolutamente abnorme rispetto alla densità della popolazione, al reddito pro capite, e al volume economico delle imprese attive, e nonché alla tipologia delle forme di investimento, che restano caratterizzate dalla tendenza a non investire sul territorio di appartenenza; attività di indagine della Polizia giudiziaria hanno accertato una decina di bancarotte fraudolente e truffe con conseguenti indebiti arricchimenti per almeno 5 milioni di euro con notevoli pregiudizi economico-patrimoniale per almeno un centinaio di imprenditori […]esistenza di ragioni di sospetto circa la presenza di interessi del crimine organizzato pugliese, siciliano e soprattutto campano in relazione a rilevanti operazioni di investimento immobiliare soprattutto sul litorale adriatico interessato da imponenti insediamenti immobiliari nel settore alberghiero e della ricreazione collettiva […]”
*** Eppure 6 anni fa il compianto giudice Rossini dichiarò senza mezzi termini che l’Abruzzo isola felice è una “favola vecchia”, nel 1997 il procuratore generale della Corte d’Appello Bruno Tarquini disse “la cosiddetta fase di rischio è ormai superata e si può parlare di una vera e propria emergenza criminalità, determinata dall’ingresso di clan campani e pugliesi anche nel tessuto economico”, due anni fa la stessa DIA scrisse che in Abruzzo ci sono “imprenditori senza scrupoli che potrebbero rappresentare un’efficace testa di ponte per i gruppi camorristici”.
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