Valle Cena dei fuochi, nebbia fitta di una politica che non c’è

Senza dimenticarsi silenzi e balbettii vergognosi su Punta Penna
12 novembre 2019
Alessio Di Florio (Azione Civile Abruzzo)

incendio al civeta del 20 ottobre 2019

Terra dei Fuochi è termine ormai di uso comune per tante vicende italiche. Non solo campane. Rifiuti che bruciano, aziende intere che fanno piombare in emergenza ambientale interi territori. C’è poco da girarci intorno, poco da ancora affidarsi a negazionismi o invocazione di allarmismi. La situazione è sotto gli occhi di tutti ed è palese. Non possiamo che partire da quanto affermato tra la conferenza stampa (a Pescara, è già dice tutto e di più) pochi giorni dopo l’ultimo incendio e l’incontro pubblico tenutosi a Cupello oltre una settimana (e anche questo dice tutto e di più) dopo. Nel merito delle “rilevazioni” è già intervenuto il Comitato Difesa Comprensorio Vastese. Ed è stata una disamina che già ben rappresenta lo stato dell’arte in Valle Cena. Ci permettiamo quindi di andare oltre. Il direttore dell’Arta ha affermato che nell’ultimo incendio buona parte della strumentazione dell’Agenzia è andata distrutta. Due domande. Come è possibile che presidi sorti dopo incendi e per monitorarne eventuali successivi vengono distrutti dalle fiamme? E come è possibile che si abbiano risultati di analisi, addirittura rassicuranti, dopo tale distruzione? Dichiarazioni alla stampa e pubbliche riportano che già molte ore prima era segnalato del fumo. Dopo queste prime segnalazioni cosa è avvenuto? Quali protocolli di verifica e sicurezza sono stati attivati? Il commissario del Consorzio ha pubblicamente affermato che sono possibili, quasi a voler dire metteteli in conto, nuovi futuri incendi. Affermazioni che avrebbero dovuto scatenare il finimondo, come minimo allarmare. Invece pare siano sostanzialmente caduti nel dimenticatoio dopo pochi giorni. Da far cadere le braccia. Perché una realtà del genere pretende immediate assunzioni di responsabilità, nomi, cognomi e uffici e rimozioni di massa. E, in tutto questo, torniamo a porre una delle domande già poste nei mesi scorsi. La stampa ha reso noto che le telecamere installate dopo i primi incendi dell’anno scorso non erano attivate, nel frattempo cosa è successo? Sono state attivate? E perché questa lunga inattività? Chi ne è responsabile?

C’è una nebbia fittissima nella Valle Cena dei fuochi. Ma non è soltanto quella degli incendi che si ripetono in maniera inquietante e sempre più frequente. Siamo stati purtroppo facili profeti dopo il sequestro preventivo della “terza vasca” del Civeta con la definizione di “vuoto della non politica”. Questi 8 mesi ci hanno dolosamente dato ragione. Siamo davanti ad una gravissima emergenza ambientale, sociale. E anche politica. Perché finora, lungi dal dipanare la matassa dei sempre più pesanti interrogativi su cosa è successo e sta succedendo, la maggioranza al potere e l’opposizione di oggi che lo è stata fino a ieri, monopolizzano il (non) dibattito pubblico su balletti e rimpalli nel quale ognuno cerca solo di dimostrare che il proprio orticello è più verde dell’altro.

Siamo stati facili lettori della situazione anche nell’affermare che un sequestro preventivo non imbalsama e non blocca nulla, che sono possibili la manutenzione e lavori di messa in sicurezza. Il recente provvedimento del GIP di Vasto Radoccia – che ha bocciato in maniera esplicita il dissequestro – e ha concesso l’autorizzazione alla messa in sicurezza ottenuto il 2 settembre (e che, alla data dell’ultimo incendio, non ancora vedeva nessun intervento). Ora i fatti, per chi vuol vedere e non è in malafede, sono davanti agli occhi. Piuttosto che ripetere le solite sterili polemiche pro domo scuderia da tutto l’arco “politico”, dalle maggioranze di oggi a quelle di ieri, pretendiamo che svelino i nomi dei veri responsabili, di chi dal 2 settembre non si era attivato e perché. E’ ora, anzi è già tardi, che i veri responsabili siano messi davanti alle sacrosante conseguenze.

Ma non possiamo fermarci all’attualità. E’ ora, anzi è già tardi da troppo tempo, che la verità emerga per intero. E ci si interroghi sulla storia di Valle Cena e di una gestione dei rifiuti mai diventata virtuosa. Sul sito del Consorzio leggiamo che la discarica “risulta di servizio a tutti gli impianti del polo tecnologico del consorzio e accoglie gli scarti derivanti dalle lavorazioni impiantistiche non suscettibili di ulteriore riciclo”. La cronaca e i fatti ci riportano che vi è giunto di tutto e di più, che un’inchiesta della magistratura avrà bisogno di (almeno) un anno per capire cosa c’è e perché. Nulla hanno da dire su questo, chiaro, conciso e senza stracci di scuderia, PD e centrodestra? La storia del CIVETA è poi a dir poco travagliata e costellata di periodi più neri del fumo dei 5 incendi dell’ultimo anno e mezzo. Non possiamo dimenticarci quel che è stato scritto su documenti ufficiali, su quanto dichiarato da organi di controllo e sul prezzo che la collettività ha pagato, per l’ultima grande crisi di due lustri fa. Basta rileggersi l’accordo di programma Regione-Civeta per comprendere cosa mai è stato svelato, quali “responsabili” (o meglio presunti tali) non sono mai stati posti di fronte alle loro responsabilità http://www.regione.abruzzo.it/xAmbiente/docs/rifiutiDGR09/CIVETA_AdP_%2027_11_2009.pdf Gli stessi, probabilmente, che devono ancora far capire alla cittadinanza tutta su come è possibile che abbia vinto l’appalto per la gestione della terza vasca un personaggio già noto alle cronache giudiziarie, anche nazionali. Su come è possibile che per anni siano arrivati rifiuti da altre regioni, quelli su cui sta indagando la magistratura, anche da ditte i cui nomi dovrebbero a dir poco preoccupare, a partire dalle campane. Ma le cronache giudiziarie sono ancor più datate. La prima volta che furono occupate da impianti rifiuti in Valle Cena è addirittura nel luglio 1995. Quando un’inchiesta – scaturita da quella sull’assassinio dell’avvocato Fabrizi a Pescara, vicenda simbolo del malaffare e dei torbidi intrecci con le consorterie politiche, così grave che portò alla caduta della giunta regionale dell’epoca e dei consigli comunali di Pescara e Chieti – fece tremare diversi “colletti bianchi”. Ma, come accaduto per altre grandi inchieste dell’epoca e come troppo spesso accade a queste latitudini, tutto finì nelle secche del “porto delle nebbie”.

In tutto questo vuoto pneumatico ci sconcertano alcuni silenzi, di chi dimentica che il proprio comune avrebbe un peso enorme nel consorzio e che il Civeta non è solo questione di Cupello. Il sindaco del maggior Comune del comprensorio, Vasto, sempre presente sulla stampa esattamente come la sua fida assessora all’ambiente, pronta a sbandierare grandi risultati green quasi ogni settimana sulla stampa e portarla fino al profondo Nord, nulla hanno da esprimere su tutto questo? Nulla hanno da dire sulla qualità dell’aria che respirano anche i cittadini che li hanno eletti? Tra l’altro all’assessora ci permettiamo di ricordare, visto che ha affermato che per colpa della Regione non si potrà monitorare l’aria di Punta Penna che a) dopo il precedente piano regionale di tutela della qualità dell’aria, l’ex giunta (compreso Mazzocca del suo partito), anzi dei suoi visto che ne hanno cambiati un paio, aveva fatto partire l’iter per un nuovo piano, quale strumento migliore? b) In tutta Italia e nel mondo le istituzioni hanno concretizzato la possibilità di monitorare ogni fonte, soprattutto industriale, in continuo, con monitoraggi pubblicati online e direttamente sugli impianti. Perché a Punta Penna non sarebbe possibile? E in conclusione, l’attuale capogruppo del PD – che dieci anni fa in altro partito lanciò accuse pesantissime di clientelismo e politica sfruttatrice nel Consorzio – oggi nulla ha da dire?

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