Cioni come Mario Chiesa: l'ingloriosa fine di un partito
di Riccardo Orioles (da La Catena di San Libero del 23 dicembre 2008)
Settembre (Otto)
Il Partito Democratico non esiste più, esattamente come da un certo momento in poi non esistette più il vecchio Partito Socialista. Milano, i tranvieri e i "ghisa", gli onesti ragionieri, i sindaci grigi e perbene, il primo maggio, le riforme, il divorzio, Strehler, "Ma mì", Milva, lo statuto dei lavoratori: tutto questo, una volta, era stato il partito socialista. Onesto e pasticcione, vecchio quanto l'Italia,, profondamente buono. E da un momento all'altro (nel giro di alcuni anni, in realtà: ma quello in cui te ne accorgi è un momento preciso) ecco che non c'è più, ne restano caricature feroci: sfondi di cartapesta, piramidi, "nani e ballerine". Quel momento preciso, quello che passa alla storia, è quello in cui Mario Chiesa, chino sul cesso di casa, cerca febbrilmente di affidare alla fogna le mazzette mentre alla porta tambura già, in forma di carabiniere, il Destino.
E qual è l'ultima foto, la foto storica, dei Democratici italiani? Secondo me, quella dell'assessore alla sicurezza Graziano Cioni. Nell'atto in cui telefona a Ligresti, confidenziale, subalterno - da cortigiano a granduca. Gli chiede, fra le altre cose, un favore servile: di finanziargli il libretto, l'opuscolo comunale, in cui Cioni-Rassi si gloria d'aver sbrattato Firenze dai lavavetri. Vittoria miserabile, che potrebbe valergli però la designazione a podestà scavallando - con manovrate "primarie" - un suo rivale; e che dunque val bene una messa.
A Firenze, come in altri luoghi d'Italia, e nella stessa Milano di Mario Chiesa, ben altri erano certo gl'interessi, che non quella mazzetta finita al cesso o quella telefonata di sottomissione. Eppure l'uno e l'altro episodio sono i più emblematici, i più amari; i più stridenti, soprattutto, con le tradizioni di partiti già nobili e civili. Nel caso di Mario Chiesa, la "Baggina", il Pio Albergo Trivulzio, i vecchi ricoverati dal Comune: illuminismo lombardo, socialismo umanistico, Ottocento; in quello dello sciagurato Cioni, servilismo a un potere - il siculo-milanese clan Ligresti - lontanissimo dalla città, non leopoldino o asburgico ma greve e barbaro, sultaniale; e una spietatezza feudale, da gabelloto, verso i poveri lavavetri. E questo nella città di La Pira, del David, del comandante "Potente" che "l'XI agosto MCMXLIV" - come si legge nella lapide - liberò coi partigiani Firenze, morendo nell'impresa.
Da quei fazzoletti rossi di partigiani, da quelle bottegucce sull'Arno, dalle fabbriche, dale elezioni vinte in nome di una speranza, da quelle regioni e comuni esemplarmente amministrati (erano loro, il socialismo reale!) per generazioni; da quelle povere solidarietà orgogliose che, anche negli anni del castagnaccio e delle prime lambrette, facevano che anche l'ultimo sanfredianino sapesse cos'era il Vietnam e cosa la Sicilia; da quella diversità bellissima, non padronale né borbonica ma popolana, ecco che si precipita nel ligrestume, nei pulcinella servi e avidi e nel feroce "via dal mio parabrezza!".
E' là che è finita quella storia. Non c'era bisogno, per capirlo, di magistrati. Torino che rincorre la Lega, Napoli che tradisce, l'Abruzzo che gela i votanti, la timida Basilicata (perfino lei!) che abbraccia i berluscones in nome delle mazzette: c'è poco da discutere, in tutto questo. Un'ecatombe di regioni e città perse per bestialità di satrapi, cedute al fascio in cambio in cambio di denaro. Le stesse conseguenze secondarie di questa catastrofe (ingigantito Berlusconi, che ne profitta per aa dittatura; promossi i Di Pietro e i Grillo a capi carismatici, non meglio ma meno peggio di Veltroni; ulteriormente rincoglionita la sinistra, affidata a Luxuria e al Circo Togni) sono addirittura meno gravi della catastrofe morale (della morale, ma soprattutto del morale), che è tremenda. "Sei tedeschi, sono bastati, per fare arrendere l'intero battaglione!". Insomma: otto settembre.
* * *
Dopo l'otto settembre non si discute più coi vecchi generali - i Graziani, i Badoglio, persino i "liberali" come Roatta. Son tutti similissimi fra loro. Non hanno più nulla da dire, salvo tradire del tutto e definitivamente o tirarsi da parte. Da loro lezioni non ne vogliamo più, di nessun tipo. Si parla invece, fraternamente e attentamente, con tutti coloro che "non mollare", di qualunque tipo. Dal tenentino sbandato, ligio al suo Regio Esercito e al suo Ds, all'anarchico bestemmiante nel nome di Beppe Grillo; dal carabiniere fedele alle stellette e a Di Pietro alla ragazza precaria seguace di F.& Martello in una delle sue quattrodici varianti. Tutti possono fare, tutti hanno da dire qualcosa. Con tutti bisogna parlare, ciascuno di loro, per confuso che sia, comunque è meglio di tutti i generali sabaudi che hanno tradito.
Infine, secondo me, un'idea ci sarebbe. E' quella della lotta alla mafia, il modello vincente. E' stata fino a questo momento l'esperienza unica - parliamo dell'antimafia vera, non di quella marmorea e da fiction che si diffonde ora - in cui lotta dura e unità si siano, in alcuni momenti e alcuni luoghi, fusi insieme e abbiano per qualche tempo anche vinto. Studiatela, se volete. Studiatela voi dell'Onda, soprattutto, ora che la vostra lotta sta già cominciando a rifluire (per mancanza di lingua e di memoria; eppure era una buona lotta); Cos'è successo nel '93, in Italia? Non ho voglia di chiacchierarne ancora: andate sulle fonti, e studiatelo. In cosa ha funzionato, e in che cosa no, la strategia di allora? Che cosa hanno concluso i nostri uomini - alcuni ci sono ancora - di quel periodo, e in che cosa hanno sbagliato? Dove si sono fermati? Da dove si può riprendere? Da dove ricominciarono - nel fascismo primo - Gramsci e Gobetti?
Sociale.network