Diritti Animali

Anche a causa della Bse, l'immagine sociale delle mucche sta mutando rapidamente

Il trionfo della vacca

29 marzo 2005
Fonte: www.lastampa.it
23.03.05

Raffigurazione induista della mucca Usate come sfondo di servizi di moda.
Soggetto preferito da artisti che trasferiscono la loro immagine in sculture, tele, installazioni.
Dotate di una carta sanitaria hi-tech che trasmette a un computer in tempo reale le loro condizioni di salute.
Certificate per la provenienza quando arrivano sul banco del macellaio.
Studiate per appagare i loro bisogni psicologici.
Trasformate in insegnanti di alimentazione corretta al sito www.adottaunamucca.it.  
Caricaturizzate con il loro faccione pacioso e cornuto che spunta dai cartoni di latte, dai panetti di burro o, sorridenti come star hollywoodiane, dalle scatole dei formaggini.
Adulate come simbolo del perduto mondo rurale. Non sono più le vacche di una volta.
Anche a causa della Bse, l'encefalopatia spongiforme bovina meglio nota come morbo della «mucca pazza», l'immagine sociale delle mucche sta mutando rapidamente.

In Gran Bretagna, dove iniziò l'epidemia, forse a causa dei sensi di colpa per aver trasformato una specie vegetariana in cannibale attraverso la nutrizione con farine animali, il governativo Defra (Department for the Enviromental Food and Rural Affairs, www.defra.gov.uk)sta sviluppando una "strategia per la salute e il benessere dei bovini".
La sua preoccupazione principale è la bio-sicurezza. In un confronto che appare più filosofico che scientifico, si arriva a dire che quel è vero per gli uomini lo è anche per gli animali.
Che le mucche oltre al cibo e a un rifugio contro il maltempo, hanno anche l'esigenza di essere felici. E questo stato mentale non ha nulla a che vedere con la zootecnia industriale, con le stalle seriali e l'iperproduzione di latte: in Europa le Frisone, pregiata razza tedesco-olandese da mungitura, danno 8 mila chili all’anno di latte (alcuni esemplari arrivano a 15 mila) e in Inghilterra ci sono stalle che producono 10 mila litri per capo.

Nella discussione su come deve cambiare il mondo dell'allevamento, affiora il bisogno di "compassione".
Una parola che nel mondo occidentale finora è stata usata unicamente per il genere umano. Solo nella società indù, dove la mucca è parte della famiglia ed è sacrilegio consumare le sue carni, si parla di compassione per i bovini, eletti dal Mahatma Gandhi «poemi di pietà… perché trasportano l'essere umano al di là dei limiti della sua specie, affermando l'identità dell'uomo con tutto ciò che vive».
Il linguaggio del Defra dev'essere un frutto della globalizzazione che, in questo momento, vede affermarsi l'India come una superpotenza culturale capace di esportare valori e stili di vita, oltre che prodotti artistici e informatici.
Travolti da problemi di costi e concorrenza globale come possono però i nostri allevatori diventare "compassionevoli" e restare sul mercato?
La Bse intanto è sbarcata negli Stati Uniti (informazioni aggiornate sulla malattia al sito www.mad-cow.org), ma da Londra insieme al virus arriva uno strumento di prevenzione ad alta tecnologia.

Una piastrina, nel progetto Animal Identification Plan (www.usaip.info), da attaccare all'orecchio di mucche e vitelli, capace di monitorare ritmo cardiaco, temperatura corporea e ossigenazione di ciascun capo e di trasmetterlo a un computer centrale che, impostato sui più avanzati sistemi di telemedicina, permette ai veterinari di intervenire in tempo reale isolando l'animale e impedendo così la diffusione della malattia.
Un effetto temporaneo della Bse è stata la riduzione del consumo di carni bovine, spesso a vantaggio di quelle suine e del pollame, ma - in percentuale minore - anche di scelte vegetariane più o meno radicali.
Nei periodi di crisi in Italia (dove importiamo il 15 per cento del fabbisogno) si è arrivati a un calo del 20 per cento; siamo un paese con risposte emotive immediate, ma raramente definitive: a livello mondiale il consumo è sceso in modo stabile del 10 per cento.
Al di là della paura della Bse, nei paesi ricchi il consumo di carne bovina è in costante diminuzione da vent'anni per motivi igienici, sanitari, etici e religiosi.

Tutte le ultime tendenze nutrizionali la escludono, o puntano a limitarne il consumo, per i danni che arreca al sistema cardiocircolatorio a causa dell'alto contenuto di colesterolo.
E diverse ricerche sul cancro imputano all'abuso di carne rossa molte neoplasie a reni e intestino.
Sotto il profitto etico il consumo di macellato bovino nei paesi ricchi è indicato come una delle cause di carestie e penuria alimentare nel Terzo Mondo: l'uso del terreno per l'allevamento, sommato alle granaglie usate per l'alimentazione bovina, produce appena un decimo delle capacità nutrizionali che si otterrebbero impiegando le stesse risorse nella coltivazione di cereali per l'uomo.
Da qui l'equazione no-global mangiare carne = affamare il mondo.
Al di là di estremistiche semplificazioni ci sono i dati. I Paesi sviluppati (Europa, Stati Uniti, Australia e Giappone) consumano il 60 per cento della carne bovina nonostante insieme non raggiungano 1 miliardo di abitanti (16 per cento della popolazione terrestre).
La Cina con una popolazione di 1.300.000.000 (21 per cento) ne consuma il 24 per cento. Il restante 63 per cento dell'umanità si accontenta del 16 per cento del macellato totale. Il paradosso è innegabile: considerando il consumo di tessuti animali nel loro complesso si va da 117 chili pro capite negli Stati Uniti a 7 chili in Nigeria (una delle nazioni più ricche dell'Africa Nera) e ad appena 3,8 chili in India.

Anche se in quest'ultimo Paese il dato è viziato da almeno un terzo della popolazione (la più ricca) di stretta osservanza vegetariana.
E la quantità di cereali impiegati negli Usa per nutrire gli allevamenti di bovini sarebbe sufficiente a sfamare 1.300.000.000 di essere umani: basterebbe che gli americani mangiassero il 10 per cento di bistecche in meno e quei cerali andassero al Terzo Mondo per debellare il problema della fame e salvare 60 milioni di vite l'anno, tante sono le vittime di carestie e malnutrizione.
Si trovano decine di dati in proposito al sito statunitense www.aapn.org/vegstats.html.
I vegetariani sono in continuo aumento, spinti anche dalla «new age» e dal diffondersi delle filosofie orientali.
Sono più di 10 milioni negli Stati Uniti, 3 milioni in Gran Bretagna e altrettanti in Italia (dove però è incluso chi mangia anche pesce).
E la Vegetarian Society (www.vegsoc.org), presente in tutto il mondo, è una lobby sempre più potente. Anche perché, al contrario di quel che accadeva nel nostro antico mondo contadino, oggi sono soprattutto i ceti più alti - quelli con maggiore reddito e livello d'istruzione - a scegliere di non mangiare più carne.
Anche questo tasto ritira in ballo l'India, dove sono i bramini (la casta più alta con il mito della purezza) a essere rigorosamente vegetariani, mentre i paria (impuri) mangiano carne ovina e pollame.

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