Perché il futuro non sia un macello
6.10.05
Nei paesi più agiati, dove il modello alimentare è una scelta, quanta parte della popolazione si astiene stabilmente dal consumo di animali? La loro aggregazione europea, l'European Vegetarian Union (Evu), il cui IX congresso annuale si sta svolgendo in questi giorni a Riccione, ha dato i numeri (sul sito www.vegetarianet.com). Si va dall'8% della Germania al 6% dell'Irlanda, da un consolidato 9% della popolazione in Gran Bretagna (secondo un'inchiesta commissionata dal Daily Telegraph) al 4% di Stati uniti (sondaggio di Time/Cnn), Spagna, Romania, Canada, Austria, Paesi bassi; per arrivare ai fanalini di coda: 2% per Francia, Repubblica Ceca, Belgio, Portogallo, Norvegia, 1% o meno in Polonia, Slovacchia, Danimarca... In realtà, è probabile che alcune delle percentuali più elevate si riferiscano a chi nei sondaggi si dichiara «quasi vegetariano»; sicuramente è così per l'Italia, a quota 9% secondo il sondaggio Ac Nielsen di un anno fa. Ma certo l'Occidente vede una lenta transizione da una dieta altamente carnea al piatto vegetale, anche «grazie» a epidemie e scandali. Disparati i vantaggi, e il congresso dell'Evu li sta passando in rassegna in questi giorni, con partecipanti da 20 paesi, relatori internazionali e menù deliziosi.
Primo vantaggio, meno animali prigionieri degli allevamenti e avviati ai macelli. Un altro vantaggio è che si riducono il consumo di petrolio, la distruzione delle foreste equatoriali, l'inquinamento delle acque, l'effetto serra (per mutare il modello agricolo, però, è anche necessario che i veg - vegetariani e vegan, che sono lo stadio successivo della scelta senza carne - consumino bio; o non si uscirà dal circuito dell'agricoltura chimica basata su sostanze sintetizzate dal petrolio e biocidi). La dieta senza animali porta poi vantaggi per la distribuzione delle risorse a livello internazionale: gran parte dei terreni coltivabili nel mondo è destinata alla produzione di alimenti per gli animali allevati anziché a nutrire direttamente gli animali, e la resa energetica e proteica è in genere scarsa.
Ormai documentati sono i benefici che una dieta vegetale procura alla salute umana, come spiegano fra gli altri i medici italiani, pediatri e neurologi, nutrizionisti e geriatri, della Società scientifica di nutrizione vegetariana (www.scienzavegetariana.it) e quelli statunitensi del Physicians Committee for Responsible Medicine (www.pcrm.org), il cui consigliere Colin Campbell ha diretto uno studio epidemiologico (definito dal New York Times «il migliore e più esteso sulle correlazioni fra dieta e malattie») sul disastroso impatto sanitario delle mutate abitudini alimentari in Cina: sempre più carnivore.
Già, nel Sud del mondo il consumo di carne e pesce presso le classi medie aumenta e conseguentemente crescono gli allevamenti intensivi di terra e d'acqua. Per un futuro che non sia un macello, l'accento anche educativo e politico dovrà essere messo su quel mondo, diviso ora fra i «vegetariani per forza» (per ragioni di reddito) pronti a cambiare status non appena salgono di un gradino la scala sociale, e i «carnivori per censo».
Nella stessa India i vegetariani sarebbero ormai solo più il 15-20% della popolazione e, come spiega l'attivista Hiren Kara, moltissimi che lo erano dalla nascita anzi da generazioni cambiano campo, per pregiudizi sanitari ed effetti di imitazione. E l'Africa? Isaac Obiora Dikeocha, presidente della Vegan Society del Ghana, sottolinea che non è la mancanza di cibi animali a provocare la malnutrizione ma l'impossibilità o l'incapacità di permettersi qualcosa di diverso da riso brillato e patate. Così, egli promuove nel suo paese le fonti proteiche vegetali a basso prezzo, come il latte di soia che piccoli gruppi di donne, scuole e ospedali possono autoprodurre con piccole macchine manuali. Cambiare si può perfino nelle emergenze: Food for life è un'organizzazione internazionale di attivisti che distribuiscono ottimo cibo vegan a titolo di soccorso immediato per le vittime di catastrofi.
Sociale.network