Pollo prigioniero
allevamenti. Per scongiurare il rischio epidemia si deve migliorare la loro
qualità di vita di vita
ottobre 2005
Dicembre 2003-settembre 2005: 150 milioni di volatili morti o abbattuti perché malati; 115 le persone contagiate; 59 le vittime nel Sud-est asiatico. I casi più eclatanti: in Usa, nel 2002, furono uccisi cinque milioni di uccelli, con danni per 140 milioni di dollari. Nel 2003 l’Olanda ne ha abbattuti 32 milioni, perdendo 300 milioni di euro; 89 le persone infettate, un veterinario morto.
L’epidemia nostrana più recente è del maggio 2005: un sottotipo del virus
aviario, a bassa patogenicità (meno pericoloso) è comparso in 15 allevamenti del Bresciano: 30 mila gli animali eliminati. I focolai si susseguivano dal ’97. Nel solo 2000 sono stati oltre 400 gli allevamenti interessati, 16 milioni i capi morti o uccisi e 500 milioni di euro i costi. Nel 2002 sono state coinvolte le zone a maggior densità di allevamenti: Verona, Brescia e Mantova. E, in questo caso, il virus è passato all’uomo. Lo conferma uno studio apparso sul Journal of Infectious Deseases. Nonostante la bassa patogenicità del virus incriminato, è risultato infetto il 3,8 per cento dei 185 campioni di sangue prelevati dal personale che era venuto a contatto con gli animali. «I dati invitano a non abbassare la guardia», dice Isabella Donatelli dell’Istituto Superiore di Sanità, coautrice dell’indagine, «e a migliorare i piani di sorveglianza dell’influenza».
Davvero, come pronostica Beppe Grillo, «ci estingueremo a causa di una piuma di galletto russo. Mentre uno Storace qualunque ci rassicurerà che tutto è sotto controllo»? (www.beppegrillo.it). Il livello di attenzione è alto.
Fao, Oms, Oie e Efsa (Organizzazione per il Cibo e l’Agricoltura,
Organizzazione Mondiale della Sanità, Organizzazione Internazionale per la Salute Animale e Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ci bombardano di bollettini, protocolli, raccomandazioni e linee guida. Ogni giorno le agenzie di stampa aggiornano sui provvedimenti per prepararci a un’eventuale epidemia.
Ma il rischio è reale? E come lo scongiureremo? Lo spiega Stefano Marangon, direttore sanitario dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, cui fa capo il Centro di riferimento nazionale per l’influenza aviaria. L’istituto è stato incaricato dall’Oms di coordinare a livello internazionale tutti i laboratori che si occupano di influenza aviaria, creando un network veterinario ad hoc (www.offlu.net).
«La situazione è preoccupante», spiega Marangon, «poiché il virus
dell’influenza dei volatili H5N1 (il più temuto) è presente nelle anatre
domestiche dei Paesi del Sud-est asiatico». Una presenza invisibile, ma che garantisce al virus di restare nell’ambiente e spostarsi. Da regione a
regione e da specie a specie. Non solo: «Le pandemie si presentano ogni 10-40 anni circa, e l’ultima risale a una trentina di anni fa. Ma il
responsabile potrebbe essere questo virus, o un altro».
Allarme sì, per Marangon, ma non allarmismo. «Bisogna tenere ben distinti i rischi per gli animali e quelli per l’uomo: su 150 milioni di volatili
infettati, a oggi sono state 120 le persone contagiate. Sempre direttamente dall’animale». Come dire: il temuto salto di specie c’è stato. Dal pollo al maiale, dall’anatra allo zibetto, dai gabbiani alle tigri (30 morte in uno zoo della Thailandia, dopo aver mangiato polli infetti crudi) e anche dal volatile all’uomo, ma poi la catena si arresta. Finché il virus non troverà,un ospite malato contemporaneamente della forma aviaria e umana. Oppure finché un virus dei polli non si modificherà, assumendo le caratteristiche dell’influenza umana e diventando capace di contagiare più persone in tempi brevi. Nell’attesa, l’Oms ha messo a punto linee guida di comportamento in caso di pandemia, e ogni Stato ha predisposto un piano di sorveglianza nazionale.
Ecco le contromisure italiane. Un decreto legge dello scorso 16 settembre (www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/influenza_aviaria/decreto.html)
prevede: l’istituzione di un centro di controllo per le malattie animali, al
ministero della Salute; il potenziamento delle indagini con l’assunzione di
60 veterinari e 50 operatori per assistenza e prevenzione; un rafforzamento dei carabinieri della Sanità (Nas) con l’aggiunta di 96 unità per intensificare i controlli alle frontiere e fermare le importazioni di carni
clandestine. E ancora: l’obbligo, da ottobre, di etichettare il pollame. La
confezione riporta la sigla IT seguita da: numero di registrazione alla Ausl
dell’allevamento di provenienza, data di macellazione e numero di
riconoscimento dello stabilimento in cui è stata fatta.
I grandi allevamenti sembrano carceri di massima sicurezza. Racconta Paolo Berizzi, giornalista di La Repubblica, dell’azienda agricola Malaghi di Palosco (Bergamo): «Reti alle finestre per evitare il contatto con uccelli
selvatici, pareti e soffitti isolati e ispezionati continuamente». E per
accedere alla stanza dove crescono 15 mila pulcini Aia, «bisogna indossare una tuta chiusa fino al collo, calzari usa e getta, cuffia e guanti». Nella sua vita di neanche due mesi, ogni broiler (pollo selezionato e allevato per il consumo alimentare) è esaminato in media tre volte. «Dallo scorso gennaio sono stati 80 mila i controlli a campione nelle tre zone a maggiore densità di allevamenti: Verona, Mantova e Brescia», dice Marangon. E la sorveglianza è ancora più rigida nelle aziende all’aperto. «Sono così poche (30 su 2000 in Veneto), che riusciamo a metterle sotto stretta osservazione ogni tre
settimane». A sfuggire alla rete delle Ausl, dei veterinari reclutati dalle grandi aziende e dei dieci Istituti zooprofilattici del territorio nazionale
potrebbero essere i pollai familiari. O negozi e ristoranti asiatici.
All’alimentari Asia di via Sardegna a Cagliari, i Nas hanno sequestrato 20
chili di pollo importato dalla Cina, nonostante il divieto del ministero
della Salute. Nei depositi di Prato, tra topi e scarafaggi, erano
accatastati galletti neri. Negli allevamenti asiatici vi è promiscuità tra
le diverse specie. Aggiunge Marangon: «In Asia il virus è presente dal ’97.
Sono otto anni che l’Occidente si sta allarmando e attrezzando, anni che
avremmo potuto impiegare supportando il Sud-est asiatico, fornendogli le
risorse per eradicare il virus». Ci siamo invece limitati a metterlo al
bando, concentrandoci sui controlli e i vaccini per i nostri polli. «La
strategia, messa in atto dal 2002 nelle aree con più allevamenti, si sta
dimostrando utile per sconfiggere più in fretta i focolai di infezione». Un
programma che non sarà però esteso a tutta Italia: per ora i costi non sono giustificati.
Nonostante tutto, i consumatori italiani non dormono notti tranquille.
L’Una, Unione Nazionale Avicoltori, fa il quadro di un settore in crisi, dal
giro d’affari in calo del 10 per cento. Il presidente Aldo Muraro teme che
l’allarmismo faccia crollare i consumi, già in ribasso dell’1,7 per cento
nel 2004 rispetto al 2003. L’anno scorso ogni italiano ha mangiato 18,4
chili di pollame (nel 2001 erano due chili in più) ed è delle ultime
settimane il crollo dei prezzi di questa carne. Proprio per risollevare un
settore che conta 80 mila addetti (180 mila con l’indotto) e oltre seimila
allevamenti, e che vale circa quattro miliardi di euro, l’Una ha lanciato la
campagna “Conosciamo i nostri polli”, sulla sicurezza della filiera avicola
italiana. Tranquillizza Muraro: «La situazione nel nostro Paese è del tutto
garantita. Istituzioni e aziende assicurano un monitoraggio continuo, e non importiamo carni o animali vivi dalle zone colpite dall’influenza aviaria. L’Italia è infatti pienamente autosufficiente».
Dobbiamo fidarci? Non dubitiamo dell’effettività dei controlli: troppi i
riflettori puntati. Se un solo pollo Aia, Amadori o Arena risultasse
infetto, l’industria avicola crollerebbe. Né gli animalisti né le
associazioni di consumatori sembrano preoccupati di una falla nella rete di sorveglianza. L’influenza potrebbe però essere l’occasione per rivedere le leggi sugli allevamenti dei polli da carne (è in discussione una proposta di Direttiva europea). Come stupirsi dell’estrema vulnerabilità dei broiler ai virus, viste le condizioni di vita? Densità abnormi (20 in un metro quadrato: un pollo in uno spazio inferiore a un foglio A4); crescita
accelerata dall’esposizione alla luce artificiale (23 ore al giorno);
inattività totale (due terzi della vita immobili, appollaiati sui propri
escrementi); selezione genetica esasperata per aumentare i ritmi di
ingrasso. Il tasso di crescita di un broiler è raddoppiato rispetto a
trent’anni fa, e si prevede che nel 2007 raggiungerà in soli 33 giorni il
peso minimo per la macellazione. «Sono animali deboli dal punto di vista
genetico, capaci di vivere solo sotto costante copertura antibiotica»,
denuncia Legambiente, che fa notare come le multinazionali proprietarie dei brevetti di queste razze (Kob e Ross) abbiano partecipazioni da aziende farmaceutiche, le stesse che forniscono antibiotici e vaccini. «Pensiamo agli allevamenti solo quando scoppia un’emergenza sanitaria: l’afta epizootica, la brucellosi, le diossine, la lingua blu, l’encefalopatia spongiforme e ora l’influenza aviaria», afferma Gianluca Felicetti della Lega Antivivisezione. Per denunciare la cruda realtà degli allevamenti, la Lav è nelle piazze di tutt’Italia oggi e domani con la campagna “Conosci il tuo pollo” (www.infolav.org). Si è inoltre appena concluso il tour italiano di Tom Regan, filosofo e leader intellettuale del movimento per i diritti degli animali, che ha presentato il suo ultimo libro Gabbie Vuote (Sonda). In esso denuncia, tra l’altro, come negli Usa vengano macellati ogni anno nove miliardi di polli (450 milioni in Italia, cinque miliardi in Europa) che hanno il sistema immunitario danneggiato dalle esalazioni di ammoniaca delle loro stesse deiezioni.
Ma non sono solo gli animalisti a criticare i sistemi di allevamento. Il
virologo Fabrizio Pregliasco dell’Università degli Studi di Milano ha
dichiarato che, entro il 2017, ci sarà un’epidemia di aviaria se non saranno aboliti gli allevamenti intensivi: «Sono bombe pronte a esplodere». Anche Marangon si dice d’accordo nel limitare la densità: «Le aree più popolate sono più difficili da controllare». Lo ha suggerito nell’ambito di una recente proposta dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria sulla necessità di riorganizzare il sistema avicolo italiano, migliorando il livello igienico sanitario degli allevamenti, diminuendo la densità e stabilendo regole di biosicurezza uguali in tutte le regioni. Intanto la Lav chiede che la Direttiva europea sulle condizioni di vita dei broiler preveda il divieto di selezioni genetiche e di esposizione forzata alla luce, e una notevole riduzione del sovraffollamento. Perché finché il pollo sarà malato, stressato e zoppo, il virus sarà pronto a colpirlo.
Sociale.network