Allan Bay risponde
Questa risposta vale sia per chi ha letto il libro ed è rimasto indignato sia per chi, mi sembra la maggioranza, ha letto solo la RECENSIONE
Un libro di cucina – soprattutto come lo intendo io – non è una mera sequenza di ricette: è anche una occasione per evocare abitudini, manie, ossessioni, culture. Per questo va letto per intero. Non ho presupposti ideologici da difendere e non amo i fondamentalismi. Tutti. Sono convinto inoltre che davanti alla tavola – quale che sia il gusto che professiamo o la civiltà a cui apparteniamo – si celebra innanzitutto un rito di pace. La pace che segue la giustizia di avere mezzi sufficienti di sostentamento e la pace che precede la delibazione dei sapori, la costruzione di un’estetica del gusto.
Mi dispiace se ho urtato la sensibilità di qualcuno che ha scelto una norma di vita (e anche una norma alimentare) che non è la mia. Sono carnivoro e di conseguenza trovo eticamente lecito uccidere e mangiare gli animali. In più la bontà della carne che mangio – lo so - nasce dal fatto che un animale è stato ben nutrito e senza stress per tutta la vita e quindi (anche) per questo motivo sono a favore delle leggi che migliorano le condizioni di vita di tutti gli animali allevati per essere macellati.
Peraltro sono sinceramente incuriosito da tutte le forme in cui la creatività si esprime in cucina, quali che siano gli ingredienti. Se permettete una citazione domestica, non è un caso che condivida con mia sorella – vegetariana di ferro – una tavola “lunga una vita”. Abbiamo anche scritto un libro di ricette insieme.
Il punto maggiormente incriminato del mio libro è questo. Lo riporto integralmente: “Degli orrori (della cucina cinese) abbiamo già parlato prima. Certo, ce n’è qualcuno di difficile digestione, anche se non si sa quanto sia un piatto vero e quanto mito. Come per esempio il cervello di scimmia. Pare che si usa scalzare la calotta del cervello delle scimmie vive per poi mangiarne il palpitante cervello, un piatto attribuito anche ad altri popoli dell’Asia. Altre storie parlano di animali tenuti in gabbia e cucinati ‘a pezzi’, cioè vengono smembrati poco alla volta, cauterizzando le ferite in modo che non muoiano subito: roba da far diventare vegetariano chiunque, roba folle per ogni ghiottone, che sa come qualsiasi trauma, anche il trasporto di animali vivi, peggiori la qualità della carne. Storie o leggende? Non lo so, un po’ non voglio saperlo, ma il rischio di incontrare piatti come questi è virtualmente nullo”.
Nella descrizione di questa orrenda pratica non c’è nessuna condiscendenza, proprio non la vedo: è roba “da far diventare vegetariano chiunque”: più critico di così! In più aggiungo solo che è anche folle dal punto di vista della gola, cosa che non si può dire di tutte le pratiche cruente sugli animali, per esempio l’alimentazione forzata delle anatre e delle oche per ingrossarne il fegato. Ne parlo perché me l’hanno riferita, anche se tutti quelli che me ne hanno parlato riferivano sempre storie di altri, nessuno mi ha mai detto: io c’ero. E quindi riportandole mi chiedo se sono storie o leggende. Tutto qui.
Altre critiche riguardano il consumo di carne di cane. Avviene in tutta l’Asia Orientale ed è un fatto. I cani peraltro vengono macellati esattamente come gli altri animali. Che dire? In Europa il cane è un pet e quindi troviamo, anche noi carnivori, inconcepibile mangiarlo. In Asia lo mangiano. Di contro, nel mondo anglosassone i conigli sono considerati pet e quindi trovano inconcepibile che noi italiani (quelli carnivori naturalmente) li mangino. Quindi la critica è di aver raccontato quanto avviene: una critica che non accetto.
Che dire, in sintesi? Certo, sono carnivoro, ma spero che anche chi non lo è possa accettare che altri continuino a praticare questa multimillenaria tradizione, anche se temo che la più parte dei vegetariani e degli animalisti vorrebbero vedere abrogato per legge il diritto di macellare e mangiare animali. Poi racconto, ma senza condiscendenza, di alcune tradizioni o storie, chi lo sa, in parte orrende in parte estranee alla nostra tradizione. Tutto qui.
Da qui a considerare Le ricette degli altri, come è stato detto, “la cosa più disgustosa mai pubblicata”, il passo mi sembra davvero troppo lungo e colgo un fortissimo sentore di fondamentalismo, un ismo che rigetto, sempre e comunque, in cucina come in tutto.
Si potessero risolvere inasprimenti siffatti con un invito a cena, lo farei. Ripeto: la tavola è simposio, discussione, occasione di civiltà. Sempre.
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