Diritti Animali

La lobby della caccia è una delle più potenti in Italia, e crea un micidiale intreccio di interessi economici e politici

L'uomo che sferrava i cavalli

20 febbraio 2006
Andrea De Carlo
Fonte: www.proequo.it
http://www.proequo.it/newfiles/sole24ore.html
Tratto da "Il Sole 24 Ore", inserto culturale della domenica del 12 Febbraio 2006

Poco più di un mese fa, in un giorno particolarmente freddo, ho percorso una strada appenninica per andare a trovare il professor Carlo Faillace. È un studioso di storia e di letteratura, ha insegnato in Italia e negli Stati Uniti, condotto ricerche in Tailandia, viaggiato e soggiornato a lungo nel Medio Oriente. Oltre a questo, è uno dei più grandi conoscitori di cavalli che esistano al mondo.

Mi piace molto andare a cavallo: trovo che sia non solo un'attività fisica appassionante, ma anche un modo di riscoprire un'antica simbiosi, e di vivere il paesaggio con estrema intensità. Purtroppo, come in quasi tutte le attività umane che coinvolgono animali di altre specie, anche l'equitazione tende alla sopraffazione più che alla collaborazione. In particolare, la ferratura degli zoccoli dei cavalli mi è sempre sembrata una pratica crudele e non necessaria. Quando ho avuto l'occasione di avere un cavallo mio, gli ho tolto i ferri. Poi ho cominciato a cercare informazioni sull'argomento, e ho scoperto che la stessa idea si sta poco a poco diffondendo in diverse parti del mondo. In America, in Australia, in Germania, appassionati di equitazione scoprono che lasciarli 'scalzi' migliora la vita dei loro cavalli e permette di salvarne altri che ferrati sembravano destinati al macello. Il vecchio detto inglese 'No foot, no horse', 'niente piede, niente cavallo', si dimostra vero anche in questo caso. Lo zoccolo equino è il risultato di un'evoluzione che nel corso di milioni di anni ha trasformato un unico dito in una struttura meravigliosamente adatta alla sua funzione; inchiodarci sopra un pezzo di metallo è un po' come incollare ai piedi di una persona un paio di scarpe permanenti. Eppure l'idea di rispettare l'opera della natura è sempre stata considerata un'eresia dagli addetti ai lavori, fino all'arrivo di Carlo Faillace. Dopo essersi formato alla scuola militare e aver studiato a lungo la storia dell'equitazione e la psicologia e la fisiologia dei cavalli, agli inizi degli anni Sessanta ha cominciato a sostenere che la ferratura non era affatto necessaria. Trent'anni prima che altri scoprissero la stessa verità, quest'uomo coraggioso e anticonformista ha sfidato da solo la prevenzione, le critiche e gli attacchi spesso feroci che gli venivano dal suo stesso ambiente, fino a diventare una figura leggendaria per chi non solo ama andare a cavallo, ma ama anche i cavalli. Dopo qualche ricerca ho trovato su Internet il suo sito (www.proequo.it) e gli ho scritto. Lui mi ha risposto, e abbiamo scoperto di abitare tutti e due nelle Marche, a poco più di un'ora di distanza. È così che ho deciso di andare a fargli visita, insieme ad alcuni amici.

Poco dopo il piccolo centro di Apecchio, ci siamo fermati in un bar sulla strada a chiedere indicazioni su come arrivare a casa sua. Le reazioni degli avventori ci hanno sorpreso: sguardi sospettosi, sorrisi ironici, commenti ostili. “Chi, il matto?”; “Cosa avete a che fare con quello là?”, “Lasciatelo perdere, che è meglio”. Un po' perplessi ma determinati a trovarlo, siamo andati su per una strada che sale tra boschi e valli. Il paesaggio era molto bello, ma percorso avanti e indietro da fuoristrada carichi di uomini in tuta mimetica e armati di fucili automatici, con cani chiusi in gabbie che a malapena li contenevano. Ci guardavano male, come se stessimo entrando in un territorio di loro pertinenza. Se qualcuno associa ancora all'idea di cacciatore l'immagine di un simpatico vecchietto con stivali, pipa e schioppo in spalla, farebbe bene ad aggiornarsi. I cacciatori di oggi assomigliano, per equipaggiamento, spirito e anche fisionomia, ai membri di un gruppo paramilitare. Avete in mente le Tigri di Arkan che hanno fatto strage in Bosnia solo pochi anni fa? Lo stile è più o meno quello.

Dopo alcuni tentativi a vuoto, siamo finalmente riusciti ad arrivare al cancello giusto. Sono sceso a citofonare, mentre nella strada alle mie spalle continuava il traffico di uomini armati in missione di guerra. Qualche minuto più tardi ho visto un signore dai capelli e la barba grigi venire con una certa diffidenza verso di noi. Dietro e intorno a lui, cani dalle fisionomie assortite. Più vicino alla casa, un gruppo di capre. Ancora oltre, oche, galline, anitre. Tutto intorno, boschi scoscesi interrotti da poche radure. Il professor Carlo Faillace ci ha aperto, e nel giro di qualche minuto la sua diffidenza si è dissolta nel più amabile desiderio di comunicazione. Mentre parlavamo, dal bosco è arrivato un cavallo, fiero e padrone di se stesso, senza ferri ai piedi. Uno a uno, ne sono arrivati altri cinque, tutti di razze diverse, tutti salvati dalla zoppia e dal macello, ora parte della famiglia. Faillace ha indicato i confini lontani della sua proprietà, ha detto “Fino all'inizio della stagione della caccia, passavano la giornata felici tra i boschi. Al tramonto fischiavo, e li sentivo galoppare verso casa. Adesso non riesco più a farli allontanare da me, hanno troppa paura”. In effetti i cavalli gli giravano intorno come in cerca di sicurezza, mentre colpi di fucile rimbombavano in sequenza serrata tra le valli. Quel giorno Carlo Faillace non aveva voglia di parlare di cavalli sferrati: voleva descriverci la sua condizione di persona sotto assedio.

La realtà è che ogni anno, dalla fine di agosto alla fine di gennaio, le campagne italiane sono percorse e devastate da un'orda di individui armati fino ai denti che sparano a tutto quello che si muove. I campi coltivati vengono calpestati, le vigne e i frutteti crivellati, le coltivazioni avvelenate dai pallini di piombo, gli animali domestici terrorizzati, tonnellate di bossoli, lattine, bottiglie di plastica e altra spazzatura sono abbandonate in mezzo alla natura. A morire per mano dei cacciatori non sono soltanto milioni di animali selvatici, e decine di migliaia di cani e gatti scambiati per prede nella frenesia di premere il grilletto: ogni stagione di caccia produce anche decine di vittime umane. In quella scorsa i cacciatori hanno ammazzato 54 persone, e ne hanno ferite 94. In quella appena finita i morti sono 60, i feriti xx.

Tutto questo succede non solo nell'indifferenza di autorità, enti, amministratori, ma quasi sempre con la loro connivenza. La lobby della caccia è una delle più potenti in Italia, e crea un micidiale intreccio di interessi economici e politici. Il fatto che la stragrande maggioranza degli italiani sia contrario alla caccia è di ben poca importanza rispetto ai pacchetti di voti garantiti dalle associazioni venatorie ai partiti, le industrie di armi vengono accolte dalle amministrazioni comunali come dispensatrici di posti di lavoro e benessere. Le leggi sono tutte a favore dei cacciatori: il proprietario di un fondo per non vederselo invaso è tenuto a chiuderlo con una recinzione di almeno un metro e venti, per di più seguendo alcuni criteri ben definiti che rendono l'operazione complicata e costosa. In questo modo il diritto del cacciatore è così forte da superare perfino il valore apparentemente sacro della proprietà privata. Se un cittadino non è disposto ad accettare che un esercito di occupazione devasti i suoi terreni, uccida i suoi animali, e rovini la sua pace mentale, sa fin dall'inizio di esporsi a ogni genere di ritorsione. Minacce scritte e urlate, fucili puntati, colpi sparati verso case e macchine, bocconi avvelenati gettati fin sulla soglia per uccidere cani e gatti, anitre domestiche abbattute in volo: non c'è limite alla rabbia vendicativa dei cacciatori, quando si mette in dubbio il loro diritto di saccheggio. Possono arrivare, come nel caso di Carlo Faillace, ad accusare un giovane aiutante rumeno di averli (loro, armati fino ai denti) bersagliati con colpi di un fantomatico fucile. E trovare poi un giudice che fa arrestare e rinchiudere il giovane in carcere senza prove (mentre scrivo queste righe è ancora dentro).

Prima di salutarci, il professor Faillace ha detto “Senza neanche aprire il discorso sul diritto alla vita degli animali, sarebbe troppo chiedere a chi governa l'Italia e a chi la vorrebbe governare un impegno ad assimilare le nostre leggi a quelle di Francia e Spagna? Dove per lo meno nessuno può venire a sparare e ammazzare nella tua proprietà senza una tua precisa autorizzazione?”. Nel viaggio di ritorno, su e giù per le belle strade dell'Appennino marchigiano, io e i miei amici ci siamo ripetuti “Sarebbe troppo?”.

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