Ahmed, Miluda e i cacciatori
Miluda è un nome che evoca atmosfere da Mille e una notte, da fiaba incantata. «La luna» (in arabo «Miluda» ) in realtà non è una fiaba ma il nome di un «bambi», un cerbiatto salvato ed adottato da Ahmed, un ragazzino extracomunitario di quattordici anni. Proprio perché non è una fiaba, è invece una vicenda di resistenza, di coraggioso opporsi alla violenza e alla bestialità cieca. La storia di Miluda e Ahmed inizia un anno fa a Mulazzano, un paesello abbarbicato sulle prime colline della Val Parma che si affaccia come un balcone, dalle prime pendici dell'Appennino, sulla pianura padana. Da qui, nelle giornate senza foschia, lo sguardo può muoversi libero a 360 gradi da Piacenza a Reggio Emilia, dal Monte Baldo ai confini di Brescia, all'antico torrione di Cremona e ai riflessi lacustri di Mantova. Mulazzano conta poco più di un centinaio di abitanti ed una sola famiglia di extracomunitari residenti: quella di Ahmed.
La sfida dei partigiani.
A Mulazzano non ci sono più i muli, c'è una strada principale asfaltata, la strada provinciale, che attraversa il borgo di umili e dignitose case in pietra, memoria di antichi stenti, punteggiate da alcuni punti esclamativi, dei funghi post-atomici opera di un qualche geometra impunito. C'è la chiesetta, l'osteria e la rivendita di alimentari, sali e tabacchi dove trovi di tutto. Dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Settanta gli amministratori comunisti, rappresentati da due degne persone, due ex partigiani, un idraulico e un imbianchino, cercarono di portare l'acqua, le strade e un po' di pane agli abitanti di questo paese al confine con il mondo. Riuscirono nello sforzo erculeo, ma i due partigiani non potevano immaginare che la degenerazione dei tempi avrebbe pregiudicato fortemente i loro sforzi di rendere il paese più vivibile e civile.
Oggi a Mulazzano arriva l'acqua dell'acquedotto comunale, le strade sono asfaltate dall'Amministrazione provinciale e le pensioni arrivano puntuali a fine mese nel piccolo ufficio postale. Ma i pacifici abitanti di Mulazzano si devono guardare le spalle da altri problemi: un manipolo di «cacciatori» in odore di leghismo che molto assomigliano, con le loro mimetiche e le radio Motorola, alle accozzaglie di paramilitari delle guerre balcaniche.
E' in questo contesto, un paese dove spadroneggiano tutto l'anno una dozzina di «cacciatori», che si inserisce la storia di Miluda, la cerbiatta salvata da Ahmed. Una storia che rappresenta uno spaccato di un'Italia ambigua e controversa, in perenne instabile equilibrio tra umanità e disumanità, dove le leggi sembrano non siano applicabili ai prepotenti e ai violenti di basso o di alto rango.
I falchi in agguato
Tutto inizia più di un anno fa, quando nel suo girovagare incessante tra campi e carraie Ahmed trova un capriolo appena nato. Ahmed non sa cosa fare: aiutarlo o abbandonarlo al suo destino? Si apposta e attende per quasi tutto il giorno che si facciano vivi gli altri caprioli, che si mostri la mamma del piccolo. Attende invano. Forse la mamma è fuggita o, peggio, è stata uccisa dai cacciatori. Passa il tempo e Ahmed osserva preoccupato dei grossi falchi che roteano sopra il piccolo capriolo. Sente in lontananza l'abbaiare furibondo di cani. Decide, senza attendere oltre, di salvare il piccolo capriolo.
Emozionato, Ahmed lo porta a casa e lo mostra al padre, alla madre e alla sorella di poco più grande di lui. Sono tutti felici del nuovo arrivato che battezzano Miluda. La famiglia di Ahmed è composta di marocchini «regolari» che vivono in una dignitosa casa in sasso vicino alla sagrestia della chiesa del paese. Senza indugi, Ahmed e i familiari costruiscono una baracca-stalla e nutrono il bambi orfano con il latte confezionato. Cercano di tenere nascosta la notizia dell'adozione, ma la voce del capriolo allevato in cattività si sparge velocemente tra la piccola comunità di Mulazzano.
Ahmed inizia a preoccuparsi. Quando incrocia qualcuno del manipolo dei «cacciatori» riceve sguardi minacciosi, frasi in dialetto incomprensibili e brutali, ammiccamenti poco simpatici. I «cacciatori», una decina di persone tra i quaranta e i cinquant'anni, si ritrovano puntuali ogni giorno alle 13,30 all'osteria del paese. E c'è veramente da preoccuparsi di loro. Ahmed sa che hanno l'abitudine di far risse, hanno preso a pugni uno di città che si lamentava dei loro cani. Hanno danneggiato con potenti e costose jeep terreni, colture, cancelli, inferiate. Hanno sparato ai fagiani e alle lepri che si rifugiano nei giardini delle case e hanno persino avvelenato i cani da guardia di una signora che tentando di salvarli è sua volta finita in all'ospedale nel reparto di rianimazione per avvelenamento.
Non solo Ahmed, ma anche chi scrive ha visto di persona i sistemi di questi paramilitari cacciatori. Una domenica ho visto uno del gruppo fermarsi con l'auto in paese davanti all'ufficio postale, scendere armato di schioppo, e sparare dall'altro lato della strada su una lepre che scappava nel bosco. Alle legittime rimostranze, il «cacciatore» ha risposto: «Ma ho sparato solo con dei pallini piccoli». Ahmed sa anche che le autorità fanno molto poco per contenere l'istinto delinquenziale di questo gruppo. I carabinieri hanno le mani legati dalla legge regionale: intervengono quando chiamati, ma possono solo fare multe. Se un cacciatore spara in prossimità delle case, o anche in centro paese, c'è solo una multa di poche centinaia di euro. La Procura, malgrado le numerose segnalazioni, è troppo intenta, con vent'anni di lavoro arretrato, a monitorare gli affari di Parmalat. E poi Parma sembra in preda alla «denaro-follia»: si uccidono bimbi di pochi mesi come il povero Tommy e si tagliano a pezzi corpi finanzieri internazionali come Roveraro... Troppo lavoro in Procura per occuparsi dei fuorilegge di Mulazzano.
L'assessore cacciatore
Le istituzioni politiche pensano ad altro. L'Assessore alla caccia e pesca della Provincia, Ugo Dani, un ds, è un cacciatore accanito che ha il suo feudo elettorale tra gli stessi cacciatori. Il sindaco del paese di Mulazzano, un veterinario, manda ogni tanto i vigili urbani, ma di più non può fare. C'è poi la legge regionale che impedisce ai cittadini di difendersi dai cacciatori. Chi vuol proteggere il proprio terreno dall'invasione di questi paramilitari, secondo la legge della «progressivissima» regione Emilia Romagna deve approntare una recinzione alta almeno un metro e ottanta o scavare un fossato di un metro per due. Insomma, bisogna costruire una fortificazione medioevale affinché dei lazzaroni non sparino contro le finestre di casa tua.
Ahmed sa tutto questo. Ha assistito a tante discussioni, ha visto tutta l'impotenza delle istituzioni dello Stato che lo ospita. Ma non ha paura e alleva con amore e con passione la capriola Miluda. La porta a camminare nel prato, la svezza dal latte. Il suo impegno è ricambiato dal profondo affetto: Miluda gli si strofina contro e lo lecca teneramente sulle mani. Ma questi momenti di gioia costano molto ad Ahmed. Quando passa davanti all'osteria i paramilitari lo insolentiscono e lo beffeggiano. Gli urlano: «Cosa capisci tu, marocchino, di caprioli? Dallo a noi quell'animale... che lo facciamo in padella». La cosa si fa ogni giorno più pesante e intollerabile. Per intimorirlo gli dicono: «Vedrai cosa gli facciamo al capriolo appena lo lasci andare...», e giù improperi e insulti para-leghisti. Passando accanto all'osteria, il viandante sente sempre le urla di costoro, le risate sgangherate, i pugni battuti sul tavolo, gli insulti al mondo intero. Per questa gente anche uno di città, o del villaggio vicino, è un «forestiero» da guardare con sospetto, un nemico da controllare con attenzione. Se questi «cacciatori» la pensano così di quelli dei villaggi vicini, non è difficile immaginare cosa possano pensare di un ragazzino marocchino.
Passano le settimane, Ahmed non sa più cosa fare; il capriolo sta diventando grande e non vuol più abitare nel piccolo ricovero vicino a casa. Miluda vuole muoversi libera intorno a casa. Ahmed è disperato e ha paura che i cacciatori siano in agguato dietro gli alberi in attesa che il capriolo si allontani da casa per ucciderlo. Una sera Ahmed, dopo aver attentamente esplorato il circondario decide di rischiare e lascia che Miluda si allontani un po' dalla casa. Ogni sera Ahmed ripete l'esperimento, e Miluda pian piano si abitua ad allontanarsi sempre più. Ma dopo qualche ora, come un qualsiasi animale domestico, ritorna sempre alla stalla.
Un giorno, passando davanti all'osteria, Ahmed riceve nuovi avvertimenti dal gruppo dei cacciatori. Decide di rivolgersi a Nino, ottant'anni, ex partigiano della «Julia», già assessore comunale, un'autorità morale indiscussa in paese. Nino parla, media, ma non può dare ad Ahmed alcuna certezza su quei fanatici che oggi dicono di sì, ma domani chissà cosa faranno.
Nel frattempo è arrivato settembre, il tempo della caccia. Anche se la caccia al capriolo non è permessa in quel periodo, Ahmed teme nuovamente un agguato della banda dei paramilitari ai danni di Miluda. Con il cuore il gola corre ogni sera alla stalla per controllare se Miluda è tornata. La cerbiatta è fedele, puntualmente ritorna, ma sembra voglia manifestare ad Ahmed qualcosa. E' sempre affettuosa, ma è anche agitata. Forse è venuto per lei il tempo di tornare con gli altri caprioli. Ahmed lo intuisce e a malincuore la lascia partire. Ma è anche sollevato: i cacciatori avranno vita dura per ritrovare la sua Miluda.
Arriva l'inverno, nevica molto. Da tempo Ahmed non ha più visto Miluda. Il ragazzo si strugge in silenzio. La televisione, i fumetti non servono a svagarsi, il pensiero fisso è per Miluda, il suo Bambi. A volte si dispera. Pensa che i cacciatori l'abbiano uccisa. Spesso piange. Un giorno Ahmed, quasi per scacciare la malinconia, si mette a spalare la neve. La casa è avvolta da un candore abbacinante. Sotto la neve è scomparso il sentiero che porta al bosco e gli alberi sembrano sparire sotto il peso della neve. Il silenzio profondo è rotto solo dallo sgocciolio dalle grondaie e dal tonfo della pala di Ahmed che affonda nella neve.
All'improvviso Ahmed percepisce una presenza e alza gli occhi. Miluda è apparsa con altri tre caprioli al limitare del bosco. Miluda si avvicina lentamente, mentre gli altri animali osservano curiosi in lontananza. Ahmed l'abbraccia, l'accarezza. Miluda si struscia ruvida contro il giubbotto di Ahmed. Gli altri caprioli la chiamano. E' un verso che assomiglia vagamente ad un grido, allo schiarirsi la voce di qualcuno con un timbro da baritono. Miluda si allontana. Ahmed la guarda per l'ultima volta. E' febbraio. Miluda è ancora viva.
La strage degli innocenti
In questi giorni Ahmed ha comprato la Gazzetta, un quotidiano locale, all'alimentari del paese. Legge costernato un'intervista all'assessore provinciale alla caccia e pesca dove dichiara che quest'anno «saranno uccisi oltre 1500 caprioli» in provincia di Parma. Novecento caprioli in più dei 600 del Piemonte che hanno provocato una sollevazione generale in Italia. L'assessore dice anche che «nel 2005 erano stati autorizzati 1154 abbattimenti ma ne sono stati effettuati 1297». Proprio così. Ahmed mi guarda con fare interrogativo come per chiedermi ragione e conto di queste leggi italiane così strane. Continua a leggere il quotidiano e scopre che «i censimenti degli ungulati (caprioli) si svolgono in marzo, secondo metodi che tengono conto degli avvistamenti diretti, delle tracce e degli escrementi...». Secondo questi metodi così «scientifici» i caprioli nella provincia di Parma sono 15.798 più uno, Miluda. Chi li ha avvistati e contati? Gli stessi cacciatori che li vogliono far fuori. Ahmed per un attimo ripensa al suo Bambi e, con gli occhi un po' umidi, mi chiede: «Uccideranno anche Miluda?».
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