Cani poliziotto, stressati e affamati
Cani artificieri, cani antimine, cani antisommossa, cani antisabotaggio. Li vediamo ormai numerosi purtroppo negli aeroporti, nelle stazioni, negli stadi.Tempi duri anche per loro dunque, ma tempi durissimi per i cani antisabotaggio della polizia, talmente duri che il loro addestramento e la loro conduzione hanno passato il confine che separa il lavoro duro da quello del maltrattamento.
Non stiamo facendo dell’animalismo estremista. La vigilanza di un aeroporto o di una stazione ferroviaria è oggi di cruciale importanza e può salvare migliaia di vite, in caso d’attacco terroristico con esplosivi. Se esistono cani che, opportunamente addestrati, aiutano l’uomo ben più delle macchine, come sostenuto dagli istruttori di polizia, ben vengano questi animali e se il loro addestramento non è proprio un pic nic, non lo è neanche quello di un marine, di un paracadutista o di un agente del Mossad o della SAS.
Però esiste un limite, oltre il quale non ci si deve profittare di chi non ha voce, per meri interessi di bottega. Se quanto sostengono Ilaria Ferri, direttore degli Animalisti Italiani, e il Sindacato Lavoratori di Polizia (SILP) è vero, risulta necessario un intervento da parte del ministero dell’Interno.
“I cani sono addestrati a riconoscere gli esplosivi con il metodo utilizzato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, Bureau of alcohol, tobacco and firearms, dichiara la Ferri “nel quale si indica chiaramente la necessità di condizionare gli animali verso una risposta basata sull'istinto di sopravvivenza". Come avviene questo processo? A Nettuno (Roma) esiste il centro dove si addestrano i Labrador che sono impiegati come cani antisabotaggio. Dopo il corso, questi cani vengono assegnati ai conduttori e pare che l’attuale programma privilegi il risparmio economico e il riposo degli uomini fregandosene altamente dei diritti dei cani. Dodici ore oggi, sei ore domani, poi dodici ore dopodomani e sei ore ancora il giorno dopo. E via così. In una giornata i cani arrivano alle 120 “prese”, che vuol dire scoprire per 120 volte quei pochi grammi di esplosivo nascosti nella “ruota”, dove solo in uno dei contenitori c’è la sostanza “calda”, mentre negli altri non c’è nulla oppure c’è una sostanza distraente.
Solo quando il cane annusa l’esplosivo gli viene concessa una piccolissima porzione di cibo, senza che mai sia reso sazio. Non esiste una ciotola di cibo per questi cani alla sera o alla mattina. Mai. Si chiama “deprivazione alimentare”. E arriviamo a un’altra nota molto dolente. L’assistenza veterinaria. Non si sa per quale motivo (e visto che sono laureato in tale materia colgo l’occasione per chiedere) in Polizia sono riconosciute tutte le lauree di area sanitaria, esclusa quella in medicina veterinaria. Così succede che i cani siano addestrati, non sotto gli insegnamenti dei medici veterinari specialisti in comportamento, ma da sedicenti istruttori cinofili che hanno effettuato un breve corso in America. Sarebbe come se di un poliziotto depresso (e armato) si prendesse cura, anziché un bravo psichiatra, un infermiere che ha fatto un po’ d’apprendistato presso uno psicologo. L’ultimo medico veterinario in polizia a Roma ha fatto dodici anni l’inserviente in infermeria, prima di salutare, essendosi rotto i santissimi di distribuire supposte ed enteroclismi.
A metà aprile un conduttore ha chiesto una visita per il proprio cane che non stava bene. Gli accertamenti che hanno permesso di diagnosticare una seria malattia renale sono stati concessi alla metà di giugno, momento in cui il cane ha subito il fermo. Ha lavorato 12 ore al giorno per due mesi in queste condizioni. Quanti esplosivi può sbagliare un cane ammalato? Semplici domande cui chiediamo semplici risposte.
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