La cultura del rispetto
La cultura del rispetto del diritto alla vita di tutti gli esseri viventi, uomini e animali, è alla base dell'animalismo.
Gli animali, a fatica ma lentamente ed inesorabilmente, cominciano ad essere considerati come esseri viventi, soggetti morali portatori di diritti da tutelare, di interessi da rispettare, che hanno diritto alla vita per il solo fatto di esistere e non in quanto utili agli interessi dell'uomo.
Ma perché, nonostante la crescita dell'animalismo, degli animalisti e delle associazioni gli animali continuano ad essere utilizzati e sfruttati persino per essere "trasformati" in pellicce, un capo d'abbigliamento che può essere tranquillamente sostituito da prodotti che non comportano l'uccisione di decine di esseri viventi?
Facciamo un passo indietro.
Nella loro vita, gli animali d'allevamento conoscono solo la reclusione in spazi limitatissimi e sovraffollati. Trascorrono la loro vita in piccole gabbie sporche con il fondo metallico in rete, sono esposti forzatamente al freddo, al vento e al gelo per infoltirne il manto. Sono vittima dei loro stessi simili per fenomeni di cannibalismo e di aggressività generati dalle allucinanti condizioni di vita.
Vengono uccisi all'età di 7-8 mesi mediante elettrocuzione anale e vaginale, rottura delle ossa cervicali, asfissia con gas tossici o soffocamento, sparo di un chiodo nel cervello seguito da dissanguamento.
Occorrono dai 30 ai 60 animali per una sola pelliccia di visone, dai 180 ai 240 animali per una sola pelliccia di ermellino, dai 130 ai 200 animali per una sola pelliccia di cincillà, dalle 10 alle 24 volpi per ottenere una sola pelliccia di volpe.
È ormai inoltre accertata l'esistenza di un fiorente allevamento di centinaia di migliaia di cani e gatti in Cina ed in Oriente per il mercato della pellicceria occidentale, soprattutto italiano.
Nel libro dei pellicciai, "Il tecnico-operaio conciatore e pellicciaio" si dichiara con naturalezza che "Le pelli più apprezzate di cani provengono dalla Cina e dalla Mongolia, dove viene allevato anche per la sua carne. Sono molto apprezzati anche i cani esquimesi, ricchi di pelo come il mantello del lupo. Per poter essere venduti devono somigliare alle pelli di volpe e moffetta, per cui vengono lavorati e tinti.
Un'Ordinanza del gennaio 2001 vieta comunque in Italia la produzione, importazione, commercializzazione e vendita di pelli e pellicce di cane e gatto ma, senza controlli alle frontiere e senza l'introduzione dell'obbligo di etichettatura, i risultati sono pressoché soltanto teorici.
L'Italia resta uno dei principali consumatori al mondo di pellicce sia in quanto ad utilizzo interno sia in quanto ad esportazione di pellicce nel mondo. In Gran Bretagna, Olanda, Stati Uniti la percentuale di persone che indossano pellicce è di gran lunga inferiore al nostro Paese, nonostante si tratti di paesi molto più freddi del nostro!!!!
Eppure, un ulteriore piccolo risultato gli animalisti lo hanno raggiunto grazie al Decreto Legislativo n.146/2001 che permetterà di fatto dal 2008 la chiusura della maggior parte dei cinquanta allevamenti "da pelliccia" rimanenti - erano 63 nel 1999 - perché stabilisce criteri talmente tanto severi e costosi - ad esempio l'allevamento a terra dei visoni - che ben pochi allevatori potranno attenersi alle direttive del decreto legislativo stesso (vedi testo in calce).
La stessa AIP (Associazione Italiana Pellicceria), a proposito del traffico di cani e gatti allevati, torturati ed uccisi per il mercato della pellicceria europea, aveva dichiarato che "..si tratterebbe di una ennesima campagna di movimenti animalisti contro il settore della pellicceria…..Il settore delle pelli importa da paesi asiatici, in particolare dalla Cina, pelli di felidi e canidi che vivono allo stato selvaggio, il più delle volte utilizzati dalla popolazione locale per alimentazione, non si tratterebbe assolutamente, quindi, di pelli di cani e gatti".
Perché, dunque, il movimento animalista non riesce a modificare l'approccio all'opinione pubblica e dei consumatori verso scelte eticamente corrette? Probabilmente per un motivo economico: i pellicciai - e gli stilisti italiani che utilizzano pellicce - investono milioni di euro sui mass media (pubblicità, promozioni, sponsorizzazioni, feste con testimonial celebri, regalie varie ai giornalisti…) e riescono dunque ad imporre una sorta di "silenzio" mediatico omertoso sull'argomento. Sono scomparsi i dibattiti "pelliccia sì pelliccia no" e tantomeno le critiche al settore; il tentativo di rilanciare la pelliccia passa attraverso la "normalizzazione" del prodotto, che viene proposto anche per gli uomini o per guarnire giacconi, divani, cuscini, borse.
Le forze animaliste sono impari: si tratta dunque di una battaglia culturale che potrà imporsi soltanto quando le nostre coscienze avranno superato la fase dell'indifferenza e del rifiuto a conoscere quello che si nasconde dietro la pelliccia.
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