"Il Jainismo"
Edizioni Cosmopolis, maggio 2002, pagg. 142, ISBN 88-87947-13-9
Jainismo e non-violenza
E’ con molta gioia che vi parlo del Jainismo.
Purtroppo, in Italia non vi sono né Monaci né Comunità Jainiste.
Mi occupo della divulgazione del Jainismo, essendo in contatto con la Comunità dei laici americani ed avendo dedicato gli ultimi due anni alla traduzione italiana della Raccolta delle Scritture Jainiste, pubblicate nel maggio 2001 per la Collana “Uomini e Religioni” (Arnoldo Mondadori Editore), col titolo "SAMAN SUTTAM, il Canone del Jainismo, la più antica Dottrina della Non-violenza".
L’incontro con il Jainismo è stato, per me, estremamente carico di significato.
Fin da piccola, infatti, ho sentito pulsare nel mio cuore la voce inequivocabile dell’AHIMSA, la Non-violenza attiva nei confronti di ogni Creatura.
Questo mio “sentire” naturale mi fece spesso sperimentare un senso forte di dissonanza, di diversità, talvolta perfino di emarginazione, rispetto ai miei coetanei, così che, in età adulta, mi misi alla ricerca di una condivisione più grande, al di fuori dell’immanenza della mia realtà.
Uno degli àmbiti spirituali dove ho potuto rispecchiare e condividere il mio “sentire” istintivo in modo completo e totalizzante è il Jainismo, la Dottrina della Non-violenza universale.
Il Jainismo non è una vera e propria religione. Al suo interno non vi sono sacerdoti, gerarchie, un organismo centrale, un papa, né si trovano dogmi, sacramenti o intermediari. Il fatto che qui non vi sia la possibilità di delegare le proprie responsabilità e le proprie mancanze ad un confessionale, ad un intermediario, o ad un qualunque rituale religioso, sottende un impegno nella condotta e nella fede estremamente più rigoroso, tutto personale, individuale, in prima linea con sé stessi e con la propria coscienza.
Il Jainismo è una Dottrina Spirituale ateista. Qui non vi è un dio, né più dei; non vi è un creatore, né un primo motore immobile.
La Divinità è nella Vita, anzi E’ la Vita stessa.
Ovunque vi sia un’Espressione Vivente, animale o vegetale, così come anche la terra, l’acqua, il vento, la rugiada... lì si trova Dio, senza bisogno di cercarlo altrove, e chissà dove…
La proposizione dottrinale Jainista è:
“Vivi e lascia vivere. Ama tutti, servi tutti.”
Per questo, il fondamento della Spiritualità Jainista è tutto nella Regola Aurea dell’AHIMSA, cioè nel rispetto attivo nei confronti di ogni singola Energia Vivente, che è divina e sacra, e contiene un’anima individuale eterna, potenzialmente perfetta e santa, che aspira a liberarsi dai vincoli con la materia.
Ne deriva che la condotta del Jaina sia estremamente rigorosa nell’osservanza del vegetarismo, del pacifismo, della tolleranza, della protezione della Creazione e delle Creature, dell’altruismo.
La metafisica Jainista attribuisce grande importanza alla logica sul piano cognitivo; viene data una spiegazione scientifica, codificata nei minimi particolari, dell’origine e del divenire degli universi, in cui si dimostra che l’anima non nasce e non muore, ma migra di corpo in corpo fino alla Liberazione, che può essere ottenuta soltanto disgregando i propri karma (sia i karma auspicali che i karma nefasti), emancipandosi, cioè, in modo autentico, dagli attaccamenti e dalle avversioni.
Oltre all’AHIMSA, altre due regole fondamentali per il Jaina sono: la “Teoria del Non-assolutismo” (“Anekantavada”) e la “Costante Vigilanza”.
La “Teoria del Non-assolutismo” insegna ad allargare il proprio punto di vista, la propria prospettiva di giudizio, e a vedere l’oggetto di ogni affermazione, di ogni pensiero e di ogni credo, contemporaneamente come: vero, non vero, descrivibile ed indescrivibile. L’adozione di questa Teoria apre la mente ed il cuore dell’individuo ad un totale ecumenismo e ad un reale superamento di ogni differenza di religione, di pensiero, di appartenenza.
La prescrizione della “costante vigilanza”, richiede al Jaina di non allentare mai la propria attenzione nei confronti del rispetto per le altre Vite e nei confronti dell’applicazione dell’AHIMSA. E’ detto che un individuo costantemente vigile è sempre non-violento, anche quando, per una circostanza imponderabile, causa involontariamente una violenza; mentre un individuo disattento è sempre violento nel suo cuore, anche quando non causa una violenza.
Il rispetto attivo per gli animali e per la natura è, quindi, il fondamento stesso dell’etica Jainista.
Presso le comunità ed i templi Jainisti, gli animali non devono temere per la propria incolumità; anzi, accanto ai templi si trovano spesso rifugi per animali anziani o feriti e centri veterinari, sovvenzionati dalle comunità dei laici, che si occupano, inoltre, del mantenimento e della protezione dei monaci e degli asceti, dei templi, delle biblioteche e degli ostelli.
Non di rado, i Jaina acquistano animali dai macelli per dare loro salvezza e ricovero.
Un aspetto interessante della devozione Jainista è che questa non è concepibile per l’ottenimento di miglioramenti spirituali o materiali; per i devoti Jaina non è pensabile un’adorazione volta all’ottenimento di un qualsiasi beneficio, grazie o miracoli; la riverenza ai ventiquattro Saggi è fine a sé stessa. I Tirthankara non possono essere toccati dalle umane sollecitazioni; loro compito è essenzialmente quello di Indicatori della giusta Via verso la Liberazione. Ogni progresso personale può avvenire unicamente grazie agli sforzi, alla condotta ed all’impegno del singolo devoto.
Contrariamente a quanto accade presso altre religioni, dove il salire nelle gerarchie ecclesiastiche comporta un sempre maggiore prestigio, maggiore ricchezza di paramenti, e vistosi miglioramenti esteriori, nel Jainismo, con il progredire dell’evoluzione sul piano spirituale, aumentano le rinunce e le restrizioni.
Infatti, i monaci e le monache (“Swetambara” o “Saddhi”) possiedono solo un abito bianco, una ciotola per elemosinare il cibo e l’acqua, un bastone, una scopa per rimuovere gli insetti dal loro cammino e prima di sedersi e coricarsi, ed una pezzuola sulla bocca per non nuocere ai batteri dell’aria.
Gli asceti (“Digambara” = “Vestito di cielo”), che sono generalmente i più anziani, i più eruditi sulle Scritture, i più perfetti sul piano della condotta, della fede e della conoscenza, non possiedono nulla: né abito, né dimora, né lavoro, né famiglia, né amici, né ciotola, ma solo la scopa e la pezzuola sulla bocca; essi elemosinano il cibo e l’acqua nel cavo delle mani.
I monaci e gli asceti, oltre a non cibarsi di alcun animale, non si cibano neppure di tutte quelle creature vegetali che contengono princìpi di vita, e quindi l’anima: bulbi, germogli, radici, frutti ricchi di semi, e neppure miele, prodotto mettendo in pericolo la vita delle api.
Per l’asceta, il digiunare fino a morire (“Sallekhana”) è la massima espressione del rispetto nei confronti delle altre vite.
Il termine “Jaina” significa “Vittorioso” e designa coloro che hanno vinto sugli attaccamenti, sulle avversioni, sull’egoismo, sul materialismo e sulle passioni.
L’origine del Jainismo si perde nella notte dei tempi; sono noti al mondo solo gli ultimi ventiquattro Saggi “Tirthankara” ( = “Costruttori del ponte”) che reiterarono i fondamenti della Dottrina, il più recente dei quali, Mahavira, visse in India nel 600 a.C.
Mahavira era contemporaneo di Siddhartha Gautama; come lui figlio di un raja, decise di ritirarsi per meditare sulla natura dell’anima, raggiungendo il Nirvana, pare, con vent’anni di anticipo sul Buddha.
Sia Buddha che Mahavira si opposero al vedismo a causa della divisione in caste e dei sacrifici animali. A differenza del Buddismo (dove esiste un’Anima universale “Anatman”, “io-Tutto”), nel Jainismo ogni vivente è dotato di un’anima individuale (“Atman”); inoltre, per il Jainismo è indispensabile rinunciare completamente al corpo per compiere il proprio processo di Liberazione, mentre il Buddha, dopo aver seguito per molti anni il modello ascetico, scelse poi la “Via di mezzo”.
Attualmente il Jainismo conta circa dieci milioni di aderenti, fra laici, monaci ed asceti, quasi tutti in India e negli Stati Uniti d’America.
So che l’impatto con la Dottrina del rispetto universale per ogni Vita, è molto forte e può apparire, ad un primo giudizio, come un estremismo o una perdita di contatto con la realtà.
Credo però che, in tempi di indifferenza e di lassismo dell’etica, dello spirito e della morale, questo messaggio possa scuotere le coscienze dal torpore colpevole in cui sembrano ristagnare ed indicare un attivismo nobilitante ed ottimista, in profonda sintonia con la Creazione e con le Creature.
Mi sento istintivamente contraria ai formalismi delle religioni esteriori.
Non sono portata a credere alle dichiarazioni di appartenenza (specie se all’ultima moda, come: “sono buddista”, “io sono sufi”, o “sai la novità? sono diventato taoista”).
Credo che ciascuno possa diventare nel proprio cuore un Jaina, ma non senza quel radicale cambiamento di natura che l’adesione al comandamento dell’AHIMSA comporta!!
Del resto, non è necessario accettare la Dottrina delle Reincarnazione per accostarsi al vegetarismo. E’ sufficiente far visita ad un macello……
Maria Luisa Tornotti, nel suo “La non violenza nella cultura indiana dai Veda a Gandhi” afferma che “il Giainismo rappresenta il massimo tentativo che sia mai stato messo in atto per ridurre o annullare la violenza”.
Con l’avvento dell’industrializzazione dello sfruttamento e della violenza sugli animali, i Jaina si sono spinti ancora oltre compiendo un passo deciso nella direzione di una Non-violenza pratica ancor più rigorosa.
Da circa un anno i Jaina hanno pubblicato, in India e in U.S.A., uno straordinario volume di aggiornamento dottrinale jainista, nel quale viene evidenziata la necessità irrinunciabile di abolire il consumo non solo delle carni degli animali, ma anche di tutti quei prodotti derivanti da grande violenza sugli animali, come il latte, le uova, i formaggi, il burro.
Le già severe restrizioni alimentari prescritte dalla Dottrina Jainista sono state così sottoposte ad una revisione critica nell’ottica di una attualizzazione dell’adesione alla Regola dell’Ahimsa, tutta calata nei nostri giorni.
La grande maggioranza dei gruppi religiosi, a causa del dilagante degrado della morale e della spiritualità, allenta la propria dottrina al fine di meglio adattarla alle modernità, alla società tecnologica e al rapido susseguirsi di cambiamenti sociali, culturali e di costume.
Coraggiosamente, con il rigore che da sempre li contraddistingue, i Jaina, in seguito alla creazione dell’”animale-macchina”, stanno adottando per sé stessi e per la propria condotta quotidiana regole sempre più rigorose.
E’ così che, attualmente, i monaci Jainisti stanno, per esempio, sostituendo il latte (utilizzato in alcuni rituali all’interno dei Templi) con il latte di soja e il latte di riso.
A chi si stupisse di ciò, probabilmente non è ancora capitato di vedere o di leggere che cosa accade alle bovine da latte all’interno degli allevamenti intensivi.
Tali restrizioni valgono anche e soprattutto per la dieta quotidiana sia dei monaci che dei laici.
Se scrutiamo la realtà più nascosta dell’industria del latte e dell’industria delle uova, vediamo quanto questo modello di comportamento – che, a mio parere e per esperienza personale, è solo apparentemente estremo o di difficile attuazione – sia, all’atto pratico, l’unico modo possibile per vivere pienamente e fino in fondo la Regola d’oro dell’Ahimsa, oggi.
Mi risulta che, attualmente, tra tutti gli àmbiti spirituali, il Jainismo sia l’unico a suggerire così decisamente l’alimentazione Vegan (altrimenti detta Vegetaliana) quale massima espressione di una Non-violenza pienamente vissuta.
Riporto qui di seguito alcuni significativi versetti tratti dal ‘SAMAN SUTTAM’, la Raccolta dei Canoni della Spiritualità Jainista composta di 756 versetti, di cui ho curato la traduzione che è stata pubblicata nel maggio 2001 per la Mondadori:
(147) E’ caratteristica essenziale di ogni uomo saggio che non uccida alcun Essere Vivente! Senza dubbio, un individuo dovrebbe comprendere semplicemente i due principi chiamati Non-violenza ed Eguaglianza verso qualsiasi Essere Vivente.
(148) Tutti gli Esseri Viventi vogliono vivere e non morire; per questo le persone completamente prive di attaccamenti (Nirgranthas) proibiscono l’uccisione degli Esseri Viventi.
(149) In tutti i casi, sia consapevolmente che inconsapevolmente, un individuo non dovrebbe mai uccidere gli altri Esseri Viventi -mobili o immobili- di questo mondo, né permettere ad altri di ucciderli.
(150) Come il dolore non ti è gradevole, ugualmente non lo è per gli altri. Conoscendo questo principio di Eguaglianza, tratta sempre gli altri con Rispetto e Compassione.
(151) Uccidere un Essere Vivente è come uccidere sé stessi; mostrare compassione ad un Essere Vivente è come mostrarla a se stessi. Colui che desidera il proprio bene, dovrebbe evitare di causare qualsiasi tipo di danno ad un altro Essere Vivente!
(152) L’Essere Vivente che vorresti uccidere è uguale a te stesso; l’Essere Vivente che vuoi tenere sottomesso è uguale a te stesso.
(154) Anche la sola intenzione di uccidere causa la schiavitù del karma, sia che tu uccida sia che tu non uccida; dal punto di vista reale, la natura di chi manifesta l’intenzione di uccidere è schiava del karma.
(155) Sia il non astenersi dalla violenza, che l’intenzione di commetterla, è himsa (violenza).
Anche il comportamento non costantemente vigile a causa delle passioni, equivale a himsa.
(156) La persona saggia è quella che lotta sempre per sradicare i suoi karma e che non è attratta da himsa. Uno che si sforza fermamente di rimanere non-violento è, dal punto di vista reale, ‘uno che non causa uccisioni’.
(157) Secondo le Scritture l’individuo è sia violento che non-violento. Quando l’individuo è attento e vigile sulla propria condotta, è non-violento; quando si distrae, è violento.
(158) Non esiste una montagna più alta del Meru; non esiste niente di più esteso del cielo; ugualmente, si sa che non esiste in questo mondo una religione più grande della Religione dell’Ahimsa!
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