Mucca pazza in Usa
E’ stato qualche giorno prima del Natale scorso che Mucca pazza ha fatto la sua prima comparsa negli Stati Uniti: un caso di Bse (encefalopatia spongiforme bovina) scoperto su un bovino malato nello stato di Washington, sulla costa nord-occidentale degli Usa.
Inevitabile che dovesse capitare in un’economia che si vuole sempre più senza regole e dove i controlli diventano ormai, solo delle semplici formalità. Perché le cosidette merci di qualunque tipo esse siano, uomini e animali compresi, devono essere vendute, acquistate e consumate, sempre più freneticamente.
E nulla è valso, anche in questo caso, che più di una voce, addirittura nel decennio scorso, si levasse a mettere in guardia sul pericolo di contagio i “più grandi divoratori di carne del pianeta” : gli americani. Così solo nel giugno del 1997, ben quattro anni dopo la petizione promossa da un’associazione di avvocati della Foundation on Economic Trends (FET), che chiedeva la totale proibizione dell’uso di farine animali nell’alimentazione dei bovini, la Food and Drug Administration (FDA) metteva fuori legge tale pratica.
Questo accadeva più di un anno dopo che, in Gran Bretagna, era stato ampiamente stabilito il rapporto causale fra malattia della mucca pazza e la sua variante umana (morbo di Creutzfeld-Jacob), e si stavano già contando i primi casi di decessi umani.
In questo lasso di tempo intanto il bestiame americano ha continuato a essere nutrito con milioni di tonnellate di farine di origine animale, “aumentando la probabilità di trasmissione del morbo della mucca pazza negli allevamenti degli Stati Uniti”, come denunciò a suo tempo Jeremy Rifkin.
In tutta questa storia poi, nel gennaio del 2001, a tre anni di distanza dalla proibizione dell’impiego di farine animali per la nutrizione bovina, c’è stato il clamoroso rapporto della FDA secondo cui un gran numero di aziende coinvolte nella produzione di mangimi non rispettava ancora le disposizioni dettate dalla stessa agenzia governativa americana che controlla e decide l’ammissione nel mercato dei cibi e delle medicine.
Ovviamente subito dopo l’annuncio del primo caso di “mad cow”, molti paesi tra cui Cina, Russia, Giappone, Brasile, Australia, hanno bloccato l'importazione di carne americana. Un durissimo colpo ad un settore che ogni anno muove l' astronomica cifra di 175 miliardi di dollari e dove, “nonostante il consumo di manzo negli Stati Uniti sia diminuito di quasi la metà dal 1980 (mentre è cresciuto quello del maiale e del pollo), raramente in passato l’industria bovina è stata così redditizia: l’85% degli allevatori, a fronte del 15% del 1996 ha dichiarato nel 2000 di avere incassato degli utili. Tutto ciò grazie alla grave crisi europea che si è rilevata vantaggiosissima per la carne americana “non contagiata”, le cui esportazioni sono salite del 34%, nel 2000 con vendite alla Russia che si sono moltiplicate di 25 volte”. come si legge nell’ articolo, che si rivelerà inesorabilmente esatto: “Il morbo della mucca pazza continua a diffondersi” di Gabe Kirchheimer, pubblicato nell’edizione italiana di “Tutto quello che sai è falso. Manuale dei segreti e delle bugie”, (Nuovi Mondi Media editore) uno dei migliori libri di saggi ed inchieste usciti l’anno scorso.
A sei mesi dalla scoperta del primo caso di bovino infetto è invece di questi giorni, l’annuncio della prima persona morta in Florida dopo aver contratto la forma umana della Mucca pazza.
Charlene Singh di Fort Lauderdale, é deceduta la scorsa domenica come riporta il lancio d’agenzia Adnkronos.
La venticinquenne Singh, é morta a causa di complicazioni dovute alla variante umana della malattia di Creutzfeldt-Jakob, diagnosticatagli nell’aprile dl 2002. Secondo le autorità sanitarie americane però, la vittima, che ha vissuto in Gran Bretagna fino all'età di 12 anni, ha contratto lì la malattia, che non é quindi dovuta al consumo di carne statunitense.Con il suo decesso salgono a 156, nel mondo, le vittime accertate di Mucca pazza.
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