Diritti Animali

Non tutti uguali di fronte alla legge

Ma l'agnellino dove lo metto?

16 luglio 2004
Luisella Battaglia

Dopo un iter tormentato e molte polemiche, nei giorni scorsi è stata approvata al Senato una legge per la protezione degli animali. Con essa si entra indubbiamente in una nuova stagione dei diritti: basti pensare che chi sevizia o abbandona un animale oggi rischia il carcere e non più, come finora, una semplice multa. E tuttavia non poche riserve sono state avanzate, specie da parte delle associazioni animaliste, sia per le deroghe che la legge prevede (ad esempio per le feste e manifestazioni paesane che comportino sevizie, quasi che una crudeltà ammessa dalla tradizione sia meno crudele...), sia perché essa non si applica di fatto all'allevamento, trasporto, macellazione, sperimentazione scientifica, attività circensi, giardini zoologici etc.
Insomma la legge tutelerebbe gli animali di affezione, quelli con cui gli uomini hanno scelto di vivere, trascurando tutti gli altri, come se non fossero tutti uguali dinanzi al dolore, alla sofferenza, alla morte. Ma allora: è giusto trattare diversamente gli animali familiari? Proviamo a rispondere servendoci dell'opinione di uno dei massimi filosofi contemporanei, il teorico dell'etica della comunicazione, Jurgen Habermas, certo non sospetto di buonismo animalista.
A suo avviso, si può parlare di una responsabilità morale «analogica» nei confronti degli animali con cui entriamo in comunicazione, scambiamo emozioni, condividiamo esperienze. Essi, in tal modo, non sono più semplici oggetti a nostra disposizione ma diventano, in qualche modo, soggetti capaci di interagire con noi e di mettere in mostra caratteri e attitudini peculiari. Ne deriva una precisa responsabilità morale da parte umana: in relazione al modo in cui gli animali comunicano con noi, ne facciamo esperienza come di una controparte che richiede protezione e cura. Essi, per così dire, si affidano a noi, avanzano, per riprendere le stesse parole di Habermas, un «diritto alla nostra tutela fiduciaria delle loro esigenze».
Si potrebbe, tuttavia, chiedere se il concetto di responsabilità morale analogica non dovrebbe estendersi a tutti gli animali potenzialmente capaci di interagire con noi. Perché , ad esempio, non ai vitelli, ai conigli, agli agnelli? Avete mai sperimentato l'affettuosità di un vitellino, la sensibilità di un coniglio, la tenerezza di un agnello? Allontanati dal nostro sguardo, ricacciati nel buio del silenzio, quegli animali ridiventano oggetti, pronti a essere trasformati in alimenti, cavie, trofei di caccia.

La cronaca di questi giorni ci ha parlato del rapporto di una bimba con un cerbiatto, del suo desiderio di tenerlo con sé, delle difficoltà frapposte dalla legislazione vigente. Il cerbiatto, certo, non è un animale di affezione ma può diventarlo. È possibile stabilire con lui - come col cane e col gatto - quella relazione intersoggettiva, e dunque quel rapporto di responsabilità morale di cui scrive Habermas.
La storia ci ricorda, per analogia e per contrasto, quella di un film celebre («Il cucciolo») dedicato all'amicizia tra un bambino e un animale. Vero e proprio film per l'infanzia di mezzo secolo fa (1954), esso si concludeva drammaticamente: il bambino, costretto a uccidere il suo bambi perché causava troppi danni, imbracciava il fucile consegnatogli dal padre - il carismatico Gregory Peck - e, guardando da un'altra parte, faceva partire il colpo con gli occhi pieni di lacrime. Il messaggio si configurava chiaramente come «rito di iniziazione»: l'amicizia con gli animali, un gioco tollerato finché si è bambini, è un lusso che l'adulto non si può permettere. Quando si diventa grandi si imbraccia il fucile; fuor di metafora, si riprendono le distanze. io di qua, tu di là, io predatore, tu preda, io soggetto, tu oggetto. È la legge della vita.
La realtà, per fortuna, è più complessa e scompagina i nostri schemi mentali e le nostre abitudini acquisite. Oggi la vicenda del cerbiatto, che si è conclusa con l'affidamento sia pure temporaneo alla bambina dell'animale, ci aiuta a riflettere sulla nuova sensibilità che è andata maturando in questi anni.

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