Nel Sertão brasiliano costretti a catturare gli animali «protetti»
27.07.04
Per arrivare a Milagres, da Salvador ci vogliono quattro ore di auto. La statale 116 che collega la capitale alla misera cittadina del Sertão, la regione semideserta del Nord-Est brasiliano, falcia quasi ogni giorno due o tre vite, vittime di incidenti d'auto o semplicemente di camionisti sciagurati. «Ma non solo per quello si chiama Milagres - sorride con un ghigno sardonico un vecchio col cappello di paglia che vende acqua di cocco a una stazione di rifornimento -. Laggiù, se ci arrivate, non ci troverete niente - dice -, solo mosche. Nessun miracolo».
Come accade spesso in Brasile, l'arteria che taglia verticalmente il Sertão, così come i piccoli centri abitati che attraversa e i mercatini che si incontrano lungo la strada, sembrano sorridere a chiunque arrivi dalle pericolose megalopoli del resto del Paese. Pochi tuttavia immaginano che anche questa sia un'area in cui la vita vale meno della pallottola usata per ammazzarti. Dove, nei periodi di siccità, le famiglie si cibano di cactus tritati per non morire di fame.
«Con un piatto di fagioli qui puoi comprare un uomo», spiega João Pedro, che ha solo 12 anni, ma parla come un adulto. «Per molti di noi l'unico modo di sopravvivere è catturare bichinhos (animaletti, ndr), ma da quando la televisione è venuta qui e ha filmato tutto la polizia stradale ci perseguita, per spaventarci i poliziotti passano e sparano in aria, ed è sempre più difficile rimediare qualche spicciolo».
João Pedro è il più grande di cinque fratelli. E, come in molte famiglie brasiliane, è lui a doversi dare da fare per aiutare la madre e i fratellini più piccoli. «La mamma vende castagne di cajù al bivio della strada per Castro Alves insieme a Marcos e Felipe, che sono troppo piccoli per lavorare con me; però -racconta -, in un mese a volte non riesce a guadagnare nemmeno 200 reais (circa 60 euro), che è il minimo di cui abbiamo bisogno per mangiare».
Il triangolo fra Castro Alves, Milagres e Itaitim è orm ai tristemente famoso per il traffico di animali che riempie le tasche di intermediari senza scrupoli, provenienti soprattutto dalla capitale, Salvador, e che continua a lasciare centinaia di piccoli apanhadores (catturatori) con il minimo necessario per vivere. «Non abbiamo scelta - si lamenta il piccolo João Pedro -, sul ciglio della strada vendiamo poco: sono soltanto camionisti e turisti a portarsi via un pappagallo o una scimmietta. Per guadagnare qualcosa in più dobbiamo cedere ai prezzi dei compratori di Salvador. Ci pagano 7-10 reais per ogni esemplare, a volte anche meno, e non importa quale sia l'animale, né quanto tempo ci abbiamo messo per catturarlo».
Accanto a João Pedro si siede Serginho, un altro ometto che dopo averci osservato a lungo chiacchierare all'ombra di un albero di manghi, si fa coraggio e interviene: «Spesso ci pagano "al prossimo ordine". Fanno così, pagano sempre in ritardo, in modo da essere sicuri che ci saremo anche la prossima volta».
Serginho racconta di aver appena perso un amico che per depredare un nido di pappagalli verdi (qui li chiamano papagaios verdadeiros) è scivolato da un albero molto alto battendo la tempia: «Ma non è stato il caso peggiore - aggiunge -: dicono che un certo compratore di Salvador abbia ammazzato Lucas, che si era rifiutato di catturare sei piccoli boa per pagare un debito. Non so se sia vero -racconta Serginho - , ma lui, che era nostro amico, è scomparso davvero e la madre non si dà pace».
Per catturare i boa, questi bambini, che tragicamente hanno un futuro più incerto degli animali che vendono, devono passare giorni e giorni nella savana. «Ci portiamo un machete e una bottiglia d'acqua: si sa quando si parte, ma non sempre si torna con la merce che è stata ordinata», dice ancora João Pedro.
Trentotto milioni di animali sono catturati e venduti illegalmente ogni anno nella grandi foreste brasiliane, molti provenienti proprio dalla Bahia. Solo il 10 per cento di questi arriva , però, a destinazione in vita. Nonostante le perdite, «perdite calcolate», come sanno i trafficanti di animali, il commercio clandestino di specie tropicali protette e non protette supera il miliardo e mezzo di dollari, una cifra astronomica che rappresenta, tuttavia, appena una minima parte del fatturato mondiale. È il terzo business illecito più redditizio del pianeta, prima ci sono solo traffico di armi e di stupefacenti.
Così come la droga proveniente dall'America Latina viene venduta in Europa a un prezzo cinque o, addirittura dieci volte superiore a quello di acquisto, gli animali esotici comprati in Brasile per pochi spiccioli dalle povere comunità locali vengono rivenduti a cifre astronomiche oltre oceano. È il caso, per esempio, della protettissima Ara Azul, l'imponente pappagallo blu con la testa striata di giallo che al mercato nero può arrivare a costare 40mila euro, ma che i trafficanti brasiliani comprano negli insediamenti sparsi nell'interno dello Stato della Bahia per poche centinaia di reais.
Ora, l'Ara azul è a un passo dall'estinzione. Ma come puntare il dito contro la disperazione di Serginho o di João Pedro? A far soldi a palate sono organizzazioni (circa trecento secondo la polizia) ben ramificate che incaricano i loro affiliati di soddisfare la domanda che spesso è gestita via Internet. I boss locali si avvalgono di mano d'opera disperata, di ragazzini alla fame, che per pochi soldi catturano e consegnano le prede. João Pedro ci saluta con una frase che è anche un grido di disperazione: «Questi pappagallini, anche se in gabbia, avranno una vita più facile della nostra».
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