Quinto Comandamento
Nel giugno 2003, la maggioranza dei parlamentari europei ha firmato una dichiarazione scritta, indirizzandola all’apposita Commissione insediata presso il Parlamento di Strasburgo e incaricata di tutelare il benessere degli animali. Nel documento in questione si chiedeva di rendere piú umane le condizioni di trasporto degli animali verso gli impianti di macellazione. Viaggi allucinanti, durante i quali le bestie soffrono la sete, subiscono fratture e soffocamenti. All’arrivo, vengono sollecitate a muoversi per mezzo di pungoli elettrici. Insomma, un calvario continuo dal luogo di partenza a quello del supplizio finale, divenuto a questo punto uno spazio di fuga quasi misericordioso.
Non si sa quanto la “Magna Charta” animalista siglata dai membri del Parlamento UE non rappresenti una sorta di autoassoluzione, un modo alquanto maldestro di scontare le responsabilità di una carneficina con una pietà farisaica, preliminare alla conclusione letale per colpo di pistola, scarica elettrica, mazza chiodata o altri strumenti di malizia esecutoria. Comunque vada, spiedo o carpaccio o teglia sono l’esito culinario finale.
Uguale ipocrisia colora la recente legge approvata dal nostro Parlamento nazionale, che commina ammende da 1.000 a 10.000 Euro e persino un anno di carcere a chi abbandona, sevizia o maltratta un animale, riferendosi nella fattispecie a quelli censiti, dichiarati e vaccinati, quindi ai cani e ai gatti domestici. Senza opportune specifiche, l’equivoco è conseguente. Trovato con un pitone su una spiaggia affollata, un tizio si è difeso dicendo che, in ossequio alla novella Carta animalista italiana, non se l’era sentita di abbandonare il serpente a casa, essendo lui single.
Tanto rigore giuridico per tutelare cani, gatti e canarini. Ma che dire di polli, conigli, zibetti, agnelli e lattonzoli? La bontà dei loro sapori ci fa sorvolare sul fatto che anch’essi sono esseri soggetti alla stessa sofferenza psicofisica dei nostri amici domestici. Infatti, contraddizioni e incongruenze morali e pratiche sorgono quando si affronta seriamente l’argomento vegetarianesimo, per lo piú dovute a considerazioni utilitaristiche e mai compassionevoli.
Ecco quindi che ha suscitato scalpore e furibonde levate di scudi la recente sentenza di un giudice animalista di Genova, Aurelio Morello, che ha ritenuto criminoso allevare animali da pelliccia, ancor piú ucciderli per ricavarne stole o mantelli, e alla stessa stregua di correo porre gli acquirenti di tali manufatti, derivanti a suo avviso da sadismo e crudeltà praticati a scopo di lucro, per soddisfare smanie di lusso e non per alleviare stati di necessità. Sono insorti allevatori, pellicciai, negozianti e fruitori di tanta raffinata mercificazione. Anche un sommo giurista, interpellato sul caso, ha dichiarato che l’articolo 727 del Codice Penale, cui si era riferito nella sentenza il giudice genovese, punisce soltanto i maltrattamenti e le crudeltà di cui gli animali sono oggetto da vivi, ma non la loro uccisione (sic!). Pertanto, le sacrosante motivazioni sviluppate dal giudice Morello sono state attribuite a un atteggiamento di fanatismo giuridico. Una vicenda, questa, in cui le esigenze economiche del cartello nazionale dei pellicciai hanno fatto aggio sulla difesa vera degli animali, che è quella sancita, non volendo troppo disquisire e cavillare esegeticamente, dal comandamento “Non uccidere”, dove non si fa distinzione, né gerarchia, né favoritismi e neppure si operano distinguo tra le varie specie, ma si impone tout court di non privare della vita chi l’ha ricevuta in dono dal Creatore.
Del resto, le esigenze economiche di chi “tiene famiglia” sono a turno invocate – per giustificare pretestuosamente l’uccisione di creature viventi – da toreri e picadores, da cacciatori di foche e balene, da pescatori di pesce spada e aragoste (cotte poi vive), da allevatori di anatre per il foie gras e per il duvet di piumini e piumoni. Dicono costoro, con le lacrime agli occhi, che smettendo di compiere mattanze e gonfiamenti di fegati intere comunità e regioni sarebbero ridotte alla fame e alla miseria, e perciò mors tua, vita mea…
Il vegetarianesimo è pratica morale prima che dietetica, benché per gli avvertiti della concomitanza sorgiva di materia e Spirito l’interconnessione tra le due linee di condotta è un dato irrefutabile. In passato, agli Iniziati erano noti i princípi spirituali alla base di una tale scelta nutrizionale, spesso applicati con rigore mistico e ascetico. Princípi che coincidono con le attitudini morfologiche dell’uomo e che giustificano la sua eventuale opzione vegetariana.
Come scrive Enrico Dall’Anese nel suo Alimentazione naturale del bambino(1): «Noi sappiamo che tutti gli animali traggono nutrimento dal regno vegetale, alcuni direttamente, altri indirettamente. Considerando i mammiferi, ai quali appartiene l’uomo, possiamo tra essi distinguere gli erbivori (come i bovini) che si cibano di erba e fieno, i fruttivori (come le scimmie) che mangiano i semi, i frutti e le radici: questi due gruppi vivono direttamente a spese delle piante. Ci sono poi i carnivori, invece, che uccidono e mangiano altri animali, solitamente erbivori e fruttivori, e dipendono cosí indirettamente dal mondo vegetale. …Abbiamo infine un ultimo gruppo, costituito dagli onnivori (nel quale viene compreso l’uomo) e che ha la capacità di alimentarsi con alimenti sia di origine vegetale che animale. Ora, se analizziamo l’alimentazione che caratterizza gli animali erbivori, fruttivori e carnivori, vediamo che per ognuno di essi esiste un alimento basilare. Da questo, accompagnato talvolta da altri prodotti complementari, che variano in rapporto alla specie e all’ambiente, traggono tutto quello che serve. Ogni qualvolta l’animale sia costretto a modificare e ad alterare il suo regime alimentare, subisce sempre delle conseguenze che vanno dall’indebolimento fisico alla comparsa di malattie (come esempio evidente, si osservino quali alterazioni subiscono gli animali da allevamento, costretti ad una alimentazione basata su prodotti di scarto dell’industria agro-alimentare associati a sostanze chimiche di vario genere). Per l’onnivoro, secondo l’opinione corrente, non dovrebbero esistere problemi per quello che riguarda l’alimento principale, poiché sarebbe in grado di nutrirsi indifferentemente con prodotti di origine animale e vegetale; l’Uomo viene posto in questa categoria, perché possiede un organismo che “tollera” tutti questi alimenti. In realtà, non vi è mai stata una uniformità di idee sull’argomento, sia oggi che nel passato. Questo è dovuto soprattutto al fatto che l’organismo dell’uomo possiede una enorme capacità di adattamento, sia per gli ambienti climatici sia per quanto riguarda gli alimenti; questo però può indurre in errore e confonderci nello stabilire quale è il cibo che gli è “ancestralmente” congeniale.
Il problema deve essere impostato su basi ed osservazioni piú ampie, che non si limitino soltanto all’aspetto biochimico dei componenti dei vari alimenti. Innanzi tutto osserviamo come differisce l’apparato digerente dell’uomo da quello degli animali carnivori. Già la bocca e i denti non hanno le caratteristiche tipiche dei carnivori, ma sono piú simili a quelle dei granivori. Lo stomaco è ben piú voluminoso nell’uomo e le sue secrezioni piú adatte a digerire gli alimenti del mondo vegetale, e mal tollera le sostanze tossiche presenti nella carne. L’intestino umano è molto piú lungo e corrisponde a circa 7 volte la lunghezza del tronco (contro le 4 volte del carnivoro) e non è adatto alla digestione delle tossine, specifiche della carne (la putrescina, la cadaverina, le purine e le ptomaine). La corporatura e la forma dell’uomo non ha nulla a che vedere con quella dei carnivori: non possiede artigli e canini adatti ad uccidere, non è veloce e non possiede un fisico adatto a cacciare le prede. Inoltre l’animale carnivoro, quando mangia la sua vittima, non scarta nessuna parte, inghiottendo cosí la pelle, le ossa e i visceri: in questo modo introduce nell’intestino delle notevoli quantità di sali minerali che hanno la proprietà di tamponare gli effetti della carne e delle sue sostanze tossiche. Molti studi di veterinari e fisiologi hanno infine dimostrato che il metabolismo organico degli animali carnivori possiede la capacità di smaltire senza danno sostanze come l’acido urico, mentre l’uomo è incapace di ciò. Dal lato opposto, l’uomo non ha assolutamente le caratteristiche degli animali erbivori, e lo stesso tipo di confronto, già fatto con i carnivori, ne evidenzierà le differenze. Vediamo quindi che la struttura e le funzioni del corpo umano sono molto simili a quelle dei “primati” (le scimmie), la cui nutrizione si basa sui semi e sulla frutta. ...Questi ci vengono forniti dalla natura in grandi quantità e varietà: cereali, legumi, frutti oleosi (noci, nocciole ecc.); sono alimenti completi, che si adattano alle caratteristiche dell’apparato digerente umano; sono di facile utilizzazione e molto maneggevoli per l’uso culinario. Sono anche molto economici e la loro produzione ha un costo che è da quattro a dieci volte inferiore ai costi di produzione degli alimenti di origine animale (soprattutto la carne). …Oggi si è creato il mito della proteina, e quindi della bistecca, dimenticando che questa è costituita in realtà dal 60-70% di acqua, 15-18% di proteine, 10-15% di grassi. Una enorme differenza rispetto al seme del cereale, che contiene proteine (10-15%), carboidrati (60-70%), lipidi (3-6%), vitamine, sali minerali, enzimi, oligoelementi e fibre in un equilibrio quantitativo e qualitativo pressoché ideale per il benessere dell’uomo. Lo studio dei componenti dei cereali integrali, della loro digestione ed assimilazione, ne fanno l’alimento principe dell’uomo, ben superiore alla carne e ai suoi derivati. Ogni critica, per apparenti carenze attribuite a questi alimenti vegetali, viene facilmente respinta o confutata dalla semplice analisi dei vari prodotti e del loro uso combinato. Evidenti differenze risultano dal confronto delle conseguenze di un’alimentazione carnea, che si basa su un cibo morto, rispetto ad un’alimentazione con prevalente uso di cereali, un cibo vivo, predisposto dalla natura alla creazione di una nuova vita».
C’è poi da considerare, oltre all’aspetto etico e dietetico, quello esoterico: gli animali sono destinati a progredire, posseggono per questo un’anima. Noi possiamo aiutarli: migliorando noi stessi, facilitiamo il loro processo evolutivo, non dobbiamo quindi interromperlo con la loro eliminazione fisica. Anche le forme collocate sul gradino piú basso della scala biologica sono inserite a pieno titolo nel divino progetto di perfezionamento. Gli uomini hanno questo grande còmpito: agevolare la sublimazione di ogni essere creato. Questa realtà, allo stesso tempo esoterica e scientifica, ci aiuta ad adottare il giusto comportamento, il calibro col quale misurare la pietà, ovvero l’amore verso tutto ciò che vive e anela a farsi luce.
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