Meno animali più test in provetta
C'è un esercito silenzioso di topi, ratti, cavie che gira il mondo. Viaggiano in scatole, una decina per volta, vengono imbarcati sugli aerei e finiscono nei laboratori di industrie, università, centri di ricerca. Sono gli animali utilizzati per testare la sicurezza e la tossicità di farmaci e sostanze chimiche di tutti i tipi, e per studiare le malattie: 20 o 30 milioni l'anno nel mondo, 10 milioni negli stati dell'Unione Europea, un milione in Italia. Il giro d'affari è di 200 milioni di dollari soltanto negli Usa. L'Unione Europea, certamente più delle altre aree industrializzate, sta spingendo perché, quando è possibile, gli esperimenti con gli animali siano sostituiti da test in vitro.
L'ultimo emendamento alla direttiva sui cosmetici ha vietato test animali sui prodotti finiti e, a partire dal 2009, la vendita in Europa di qualunque prodotto i cui ingredienti siano stati testati sugli animali. Anche la nuova politica dell'Unione per le sostanze chimiche, riassunta in un libro bianco, imporrà qualche cambiamento. Prevede infatti una valutazione del profilo tossicologico di ogni sostanza di cui venga prodotta più di una tonnellata l'anno: circa 30 mila componenti, l'86 per cento di quelli esistenti che, se dovessero essere testati con i vecchi metodi, richiederebbero quasi 13 milioni di animali da laboratorio (oltre 8 di mammiferi e 4 di pesci), con un costo stimato tra i 2 e i 9 miliardi di euro.
Per questo, oltre che per la pressione di animalisti e per la sensibilità di buona parte dell'opinione pubblica, è diventato interesse dell'industria attrezzarsi in tempo. L'Unione Europea ha finanziato con oltre 65 milioni di euro il programma per ridurre il numero di animali usati nella sperimentazione perseguendo la cosiddetta politica delle «3 R», replacement, reduction, refinement, ovvero sostituire, ridurre, affinare, cioè rendere più sofisticati e meno cruenti i test. «Si cercano metodi per avere informazioni in modo veloce ed economico con sistemi in vitro o in silicio, vale a dire con colture di cellule e programmi informatici» dice Thomas Hartung, direttore dell'Ecvam, il centro europeo, a Ispra, dove si coordina l'elaborazione e la convalida scientifica di metodi alternativi all'uso di animali nei test tossicologici obbligatori per legge.
Per ora sono 16 i metodi convalidati dall'Ecvam, che cioè hanno dimostrato di essere attendibili e di poter essere riprodotti in qualsiasi laboratorio. Alcuni hanno ricevuto un'autorizzazione formale dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). «Una volta che un metodo è convalidato, l'industria è motivata a usarlo, anche se non è obbligata» sottolinea Hartung. Dall'aprile 2004 è possibile fare del tutto a meno di animali per i test sulla corrosione e sulla fototossicità cutanea delle sostanze, indispensabili per l'approvazione di cosmetici. Entrambi i nuovi metodi fanno uso di cellule di pelle umana coltivate in vitro, esposte alle sostanze da testare. Un altro test in corso di approvazione è quello dell'irritazione oculare. Culture di cellule umane sostituiranno un test con animali, assai crudele, introdotto più di 60 anni fa per stabilire se e quanto una sostanza, per esempio uno shampoo, è irritante: viene inoculata negli occhi di conigli. L'anno scorso è stato convalidato anche un saggio in vitro per i contaminanti dei farmaci che possono dare febbre: per testarli venivano usati, solo in Europa, 200 mila conigli l'anno. Ora se ne può fare a meno con un test che impiega solo cellule del sangue umane.
Non sempre è possibile eliminare del tutto il ricorso ad animali, ma spesso se ne può ridurre il numero e questa tendenza è già in corso. Dall'88 al '99, per esempio, all'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri il numero degli animali impiegati è diminuito del 53 per cento: insieme sono aumentate del 52 per cento le pubblicazioni scientifiche e del 27 per cento i ricercatori assunti. L'Ld50, dove Ld sta per «lethal dose», è un famigerato test per valutare la tossicità acuta per via orale: topi e ratti ricevono dosi sempre più alte di una sostanza chimica finché la metà muore. Per questo test veniva sacrificato un terzo degli animali usati in tossicologia. Due anni fa venne approvato un metodo che richiedeva 15 animali, invece dei 45 che servivano prima, e ora ne esiste un altro che ne utilizza sei. «Lo sforzo più grande, una volta che i test esistono, è premere perché siano introdotti nella pratica» rileva Annalaura Stammati, direttore del reparto meccanismi di tossicità all'Istituto superiore di sanità e presidente dell'Ipam, la Piattaforma italiana per i metodi alternativi.
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