Il posto dei lupi è dietro la rete?
La popolazione del più noto, mitico e temuto degli animali predatori europei sta tornando a crescere un po' ovunque, sulle Alpi (anche in Italia) e altrove. Ma il valore e il senso della presenza dei lupi divide profondamente gli umani
1.10.04
Verso il parco dei lupi del Gévaudan il paesaggio del Massiccio centrale sembra prepararti ad un'esperienza impossibile, con un brusco passaggio dei profili geologici, un cambiamento del quadro morfologico che ti mette in allerta. Dalla strada verso Mende e Marvejols scorgo i margini del Parco nazionale delle Cévennes e, se le ore ed i giorni non fossero contati, mi perderei sicuramente nei boschi alla ricerca del lupo, tra le conifere del Mont Lozère. Non sarà così. Continuerò a vedere questo paesaggio naturale medievale dal finestrino per arrivare ad un recinto nel quale i lupi sono tenuti in cattività. Scelta indubbiamente autolesionista, ma motivata dal fatto che il lupo degli uni non è il lupo degli altri. Dal 1992, da quando il lupo è tornato nelle Alpi ed in altre aree dell'Europa, sembra impossibile trovare una testimonianza univoca e coerente sulla sua presenza. Gli ambientalisti sono in feroce polemica con gli allevatori ed i pastori, mentre amministratori locali, ministri, giudici e tribunali dribblano il problema lupo o lo pongono in prospettive lontane anni luce dal corretto contesto ambientale.
Abbattimento autorizzato
Il ministro dell'ecologia francese Serge Lepeltier ha autorizzato, il 19 luglio, l'abbattimento di quattro lupi, responsabili dell'uccisione di un centinaio di capi. Gli ambientalisti hanno presentato ricorso ed i tribunali amministrativi di Nizza e Marsiglia hanno sospeso la decisione. Il Consiglio di Stato si sarebbe dovuto pronunciare venerdì 20 agosto. Non so come sia andata a finire. Quello che so è che la Convenzione di Berna sulla protezione della fauna selvatica autorizza la caccia al lupo se questa non nuoce alla sopravvivenza del predatore e, ovviamente, nel caso in cui si siano avuti danni rilevanti al bestiame pascolante. Gli ambientalisti, ed è anche la mia posizione, sostengono che la presenza del lupo testimoni delle buone condizioni ambientali dell'area. Il lupo, insomma, sarebbe una sorta di indicatore, non tanto del ritorno ad uno stato mitico anteriore alla sua domesticazione, quanto di una condizione di equilibrio tra uomo ed ambiente.
I molti difensori del lupo che ho incontrato negli ultimi mesi in Svizzera, Francia ed Italia hanno una loro ipotesi di lavoro, un loro progetto per consentire al lupo di convivere con la nostra civiltà: un maggior numero di cani pastore con il bestiame, il raggruppamento degli animali pascolanti in luoghi sicuri per la notte, la diminuzione del numero dei capi di bestiame in funzione di un maggiore controllo del gregge.
C'è poi un altro punto da considerare: l'allevamento ovino, in gran parte, sopravvive grazie agli aiuti degli stati e dell'Unione europea, manifestandosi sempre più debole a fronte della concorrenza della Nuova Zelanda e, in casa nostra, della Gran Bretagna.
Il lupo c'è, cresce del 20% l'anno e la sua presenza sembra un'ulteriore cartina di tornasole della non sostenibilità di un allevamento brado economicamente assistito che non compensa certo la dura vita del pastore, le baite isolate, il prezzo basso della carne di pecora che ormai non garantisce più la copertura dei costi di produzione.
Sono questi i pensieri che mi stormiscono nella testa come il vento tra i boschi di quercia delle montagne delle Cévennes, ma vado verso un lupo diverso, un lupo in cattività, un «lupo incanito», una DisneyWolf del Massiccio centrale, un luogo nel quale, camminando ai margini dei recinti, sotto una pioggia impalpabile e limosa trovo la stessa atmosfera di un campo di concentramento, dove la falsa abbondanza è segnata dal lancio di carni, a forconate, da un fuoristrada verso lo sguardo triste e perduto dei lupi che i cartelli dicono portati qui dalla Polonia, dal Canada, da Mongolia e Siberia. Sono lupi che ho visto liberi, felicemente minacciosi, nelle steppe mongole alla fine degli anni `70, in Polonia, più volte nel mio peregrinare fra i paesi socialisti prima della caduta del muro, ai margini di molte aree di sosta nei parchi canadesi.
Incrocio di storia e leggenda
Difficile spiegare razionalmente la ragione di questo «Parco faunistico» collocato proprio là dove storia e leggenda si sono incrociate a partire dalla metà del `700, quando quest'area di pochi abitanti e pochi villaggi fu teatro di quello che la leggenda ricorderà come la Bête du Gévaudan. Il primo giorno del luglio 1764 veniva scoperto il corpo di una ragazzina di quattordici anni sbranato da un lupo. Non bastarono i forconi dei contadini in una caccia impari per cui prima arrivò l'esercito, 3.000 dragoni, poi cacciatori professionisti inviati da Luigi XV. Lo scontro durò per tre anni, fino al giugno 1767 quando, in un breve lasso di tempo, vennero abbattuti due lupi di dimensioni notevoli. Il bilancio del triennio è terrificante: un centinaio di morti tra la popolazione nell'area che oggi si colloca tra il Parco regionale dell'Auvergne ed il Parco nazionale delle Cévennes, dove ora passa la A75. I lupi abbattuti, a loro volta, furono alcune centinaia.
La leggenda ha alimentato la favola. In memoria e ricordo della bestia di Gévaudan, lo studioso dei lupi Gérard Ménatory ha voluto questi recinti, che delimitano i 35 ettari in cui sono raccolti un centinaio di lupi che corrono, giocano, ti osservano, si confrontano ed aggrediscono, si occupano dei cuccioli, si contendono il cibo.
Il parco tematico esiste dal 1985, ma non credo abbia raggiunto il proprio dichiarato obiettivo di riabilitare il lupo agli occhi della gente che, numerosa, dopo essere passata dal museo che illustra la vita di questo stupendo ed affascinante animale, percorre come stordita ed incredula i margini dei recinti.
Feroce e sanguinario?
Il lupo è stato descritto spesso come un animale feroce e sanguinario - non sempre a ragione - e la paura ha sempre accompagnato la gente che lo avvicina: l'attuale discussione sulla necessità degli abbattimenti nelle Alpi francesi, svizzere e italiane lo sta a dimostrare. L'incontro con i lupi di importazione nei recinti di Sainte-Lucie in Gévaudan dovrebbe avvenire in maniera meno circense. Mi aspettavo un'area di maggiori dimensioni, un osservatorio isolato che consentisse l'osservazione del lupo non come fossimo in uno zoo a cinque stelle. Un ambiente che fosse realmente in grado di far capire che il lupo caccia solo per nutrirsi, che la sua vista ed il fine odorato lo collocano tra i predatori e non necessariamente tra i nemici dell'uomo.
La pioggia non impedisce l'incontro con i piccoli lupi della Polonia, giocherelloni ed attenti, con lo sguardo strepitoso del lupo canadese; ma quando da Sainte Lucie prendo la strada verso Marvejols, mi rendo conto che il luogo mi ha lasciato uno strano senso di nausea, come avessi visitato un carcere nell'ora d'aria. La storia leggendaria della Bestia mi resta nella fantasia: nata da misto di psicosi e di paure che più avevano a che fare con la Guerra dei sette anni e con i massacri dentro e fuori i campi di battaglia. Tradurre la vigliaccheria e la violenza umana nel terrore della Bestia è stato facile ed il comportamento non viene meno anche dopo più di due secoli. Ci consoliamo con cappuccetto rosso.
Il Parco tematico ha cancellato la prima delle caratteristiche che ritengo fondamentali per il lupo: la libertà. L'ho incontrato anche nelle Alpi, due volte, nel Canton Ticino, nel 2000 e nel 2002. Tra me e lui c'era la foresta, non la recinzione di un luogo di esibizione a pagamento.
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