Al canile piuttosto che in carcere
10.11.04
Il canile municipale di Torino sarà il luogo dove Nicola S., 53 anni, pusher di origine pugliese, compirà il suo percorso di affrancamento dopo che il giudice Emanuela Ciabatti della IV Sezione Penale del Tribunale di Torino l’ha condannato a 1 anno e 2 mesi per lo spaccio di 6 grammi di cocaina, suddivisi in 9 ovuli.
Lo spacciatore ha infatto goduto della «sospensione condizionale della pena» dopo un accordo fra imputato e magistrato e che ha portato a questa opportunità in virtù del fatto che il canile municipale appartiene «ad un ente che ha sottoscritto una convenzione con il ministero della Giustizia per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità».
Nella sentenza il magistrato stabilisce che Nicola S. dovrà prestare la sua opera al canile tutti i sabati per 4 ore, dal momento che la sentenza passerà in giudicato per un periodo di 1 anno e 2 mesi, esattamente quello della pena detentiva così evitata. La scelta di questa opportunità sarebbe stata motivata anche dalla passione dell’uomo verso gli animali.
Lo spacciatore era stato arrestato dai carabinieri dopo che, nel suo alloggio di Madonna di Campagna, erano stati rinvenuti gli ovuli, sommariamente nascosti in un armadietto. L’uomo non aveva negato la sua attività di spaccio, specificando però di rifornire occasionalmente soltanto una piccola cerchia di amici al fine di sbarcare il lunario. Inoltre i militari non avevano trovato, nei loro archivi, nessun segnale di una pregressa attività di spaccio e neppure tracce di una vita particolarmente turbolenta.
Già gravato da un piccolo precedente (peraltro per un lievissimo reato che nulla aveva da spartire con la droga), Nicola S. non ha così potuto godere di tutti gli sconti di pena previsti per un incensurato, quale di fatto comunque era. Questa situazione ha indotto il magistrato a cercare una via d’uscita, anche in considerazione delle ammissioni dell’imputato, ed ha così ripiegato su una condanna ad 1 anno e 2 mesi, oltre ad una robusta multa, sottoponendole però alla sospensione della pena condizionata allo svolgimento di questo particolare lavoro. La giustizia riparatrice trova il suo fondamento giuridico nell’Ordinamento Penitenziario (Legge n. 354/75 e sue modifiche) e nel Regolamento di attuazione dello stesso (D.P.R. n. 230/200).
La normativa prevede che l’affidato in prova al Servizio Sociale deve adoperarsi, per quanto possibile, a favore della vittima del reato. Non potendosi attuare sempre il risarcimento alle singole vittime, o perché queste non sono individuabili oppure perché rifiutano il contatto con il reo, il Tribunale dispone, per adempiere alla prescrizione di «adoperarsi per quanto possibile nei confronti della vittima», di svolgere una attività di pubblica utilità, a titolo gratuito, a favore della società con finalità risarcitoria. In questo caso al canile municipale.
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