Crudelia De Mon contro Brigitte Bardot
6.01.05
Ma noi scommettiamo che la normalizzazione della pelliccia non passerà. Gli animalisti sono sempre all'erta per denunciare le condizioni in cui sono costretti a vivere i tanti esseri viventi che hanno la sfortuna di essere dotati di pelo folto e morbido. Brigitte Bardot, vecchia "miliziana" di questa battaglia, al grido di "Fourrure rime avec torture" (il gioco di parole vale solo in francese) scrive una lettera aperta al presidente Chirac chiedendo di tutelare gli animali da pelliccia. In Italia l'Aip, l'associazione Attacca Industria della Pelliccia che mutua nell'acronimo i nemici dell'Associazione Italiana Pelliccerie, dichiara senza mezzi termini "Pelliccia moda assassina" e fa volantinaggi davanti a Upim e Rinascente (il prossimo appuntamento è l'8 gennaio a Bologna davanti all'Upim di via Bassi 6) accusandole di vendere abbigliamento impellicciato. A livello mondiale The Fur Free Alliance, una coalizione internazionale che riunisce oltre 35 organizzazioni di protezione animali, bandisce, ancora una volta, un concorso di design per l'immagine della campagna "contro le pellicce" del 2005. Anche Marina Puntunieri, meglio nota come Marina Ripa di Meana che negli anni Ottanta fece scalpore con il suo "L'unica pelliccia che porto", lo slogan della provocatoria campagna animalista senza veli, ha dichiarato di essere pronta a mobilitarsi ancora per scongiurare il ritorno delle pellicce.
Alla buona causa animalista diede all'epoca il suo contributo anche l'attrice Cindy Crawford che fece da testimonial alla campagna "Meglio nuda che in pelliccia" dell'attivissima organizzazione animalista People for the Ethical Treatment of Animals (Peta). I messaggi colpirono le coscienze e tante donne abbandonarono per sempre il desiderio di farsi una pelliccia. Molte le snobbarono relegandole nel fondo dei bauli. Per il settore produttivo è stato un vero tracollo. In Italia - secondo i dati diffusi da Animalisti Italiani - gli allevamenti da pelliccia dai 170 degli anni Ottanta sono scesi ai 46 del 2004, il fatturato nel 2003 ha segnato un calo del 4 per cento.
Ma il settore, dopo il periodo di sbandamento, si è riorganizzato. La stagione 2004/2005 segna così il ritorno della pelliccia in passerella. Un esercito di stilisti della morte ha ripreso ad utilizzare pellicce nelle proprie collezioni e dagli atelier di una volta il capo in pelo arriva oggi nelle boutique dove indagini di mercato registrano l'aumento della richiesta da parte di donne sulla quarantina. Dai giornali femminili occhieggiano decine di immagini seducentemente "pelose". E oggi anche Crawford si corrompe e presta la sua immagine, desiderosa forse di tornare in auge, ad un colosso del lusso statunitense come Blackgama attirandosi l'appellativo di "svenduta" dagli animalisti del Peta.
Sono in molti a pensare che dietro lo sdoganamento di migliaia di Crudelia De Mon, si nasconda la potente Saga Fur Company. E' il più grande consorzio di allevatori scandinavo. Riunisce produttori di Norvegia, Finlandia e Svezia e nel 2004 ha celebrato i 50 anni di attività. La Saga fa oggi passare il messaggio che le sue pellicce provengono da allevamenti modello. Ma la realtà, almeno degli allevamenti italiani, è diversa.
Per denunciarla Animalisti Italiani e Movimento Uomo Natura Animali (Una) hanno realizzato uno spot-tv. Vi si vedono immagini shock di procioni, ermellini, conigli selvatici, schiacciati sull'asfalto. "Piuttosto che diventare pelliccia preferisco suicidarmi" recita il messaggio finale. «Ogni anno - dice Walter Caporale, presidente di Animalisti italiani - più di 15 milioni di animali selvatici e oltre 29 milioni di animali d'allevamento vengono uccisi per confezionare pellicce». Ed il rapporto pelliccia-animali è terribile: per una di visone ne servono 34, di ermellino 240, di volpe 24. Ciò significa che indossare un cappotto di visone è come portarsi addosso il cadavere di 34 animali vissuti in pessime condizioni e morti orribilmente.
«Vengono uccisi - spiega Ebe dalla Fabbriche, presidente del Movimento Una - all'età di 7-8 mesi mediante elettrocuzione anale e vaginale, ossia scariche elettriche con elettrodi inseriti nella bocca, nella vagina e nell'ano». Altri metodi da lager sono: rottura delle ossa cervicali, asfissia con gas tossici, sparo di un chiodo nel cervello con successivo dissanguamento.
Tutto ciò non sembra toccare la sensibilità di molti stilisti. Animalisti italiani li mette alla berlina sul proprio sito animalisti. it. Primo della lista Roberto Cavalli (sua anche l'iniziativa Wild Fashion Untamed, la mostra in corso fino al 13 marzo prossimo al Metropolitan Museum di New York che celebra la donna selvaggia), seguono case di moda di fama come Fendi, Versace, Prada, Valentino, Dolce&Gabbana, Yves Saint Laurent, Armani, Biagiotti, Von Furstenberg, Missoni, Vuitton.
Pochi quelli che si potrebbero elencare nella lista dei buoni. Alla irriducibile stilista Stella McCartney, figlia del beatle Paul, che da anni si batte anche con propri messaggi video contro le pellicce, si aggiungono Calvin Klein, Antonio Marras e Todd Oldham. E tra le top model la palma dell'animalista va soprattutto alla splendida inglese Vivien Solari che rifiuta categoricamente di posare indossando pellicce.
Se le specie in via d'estinzione sono ormai protette dalla Convenzione di Washington del 1973, per tutte le altre non c'è che da aspettare il 2008. Per il 1° gennaio di quell'anno infatti è prevista l'entrata in vigore delle norme che stabiliscono la scomparsa delle gabbie e l'avvento degli allevamenti a terra degli animali con rami per arrampicarsi, una tana per rifugiarsi, una vasca d'acqua di almeno due metri quadri. Intanto è quasi una barzelletta la risposta data dal primo presidente della Corte di Cassazione alla richiesta fatta da Animalisti Italiani di sostituire, alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario in programma ogni gennaio, l'ermellino delle toghe con pelliccia sintetica. «A bordare le toghe degli alti magistrati non è la pelliccia del raro e pregiato ermellino - ha risposto - ma quella di conigli nostrani». Poveri animali.
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