La lunga strada del Virunga Express Sulle tracce degli ultimi gorilla
Kinigiconfine tra Uganda, Congo-Rdc e Ruanda
«Muzungu, muzungu!». Nella piccola stazione degli autobus al centro di Kgali i ragazzini gridano, mentre ridendo puntano la straniera col dito. «Muzungu», uomo bianco. Non ce ne sono molti che usano il trasporto pubblico per andare verso il Nord del Ruanda.
I pochi occidentali che si avventurano hanno quasi sempre la stessa destinazione: il Parc national des Volcans, o parco dei Virunga, dove vivono gli ultimi esemplari di gorilla di montagna, una specie decimata dal bracconaggio e dalla guerra. Ne sono rimasti, forse, poco più di seicento, uno ogni dieci milioni di persone su questa terra, dicono le cifre dell'ultimo censimento, vecchio di dieci anni. Oggi come oggi nessuno può dire con certezza quanti ne siano rimasti, i conflitti che nell'ultimo decennio hanno attraversato la regione dei Grandi Laghi hanno determinato certamente un aggiornamento della cifra dei gorilla sopravvissuti al ribasso. Il Virunga Express parte ogni ora, direzione Ruhengeri, verso il confine con la Repubblica democratica del Congo (Rdc) e l'Uganda.
«Tugende?» chiede l'autista mentre chiude lo sportello del minibus, «tugende», andiamo, rispondono in coro i ruandesi stipati nel pulmino che parte al ritmo di pop africano. La strada che da Kigali porta a Ruhengeri è asfaltata, (cosa non da poco da queste parti) e si inerpica in salita tra colline rosse coltivate, gli alberi e i pochi centri abitati. Il Ruanda, "paese delle mille colline", sembra un luogo tranquillo, lontano dall'orrore del genocidio di dieci anni fa, ma il territorio è fortemente militarizzato.
Su questa strada le incursioni dal vicino Congo Rdc delle milizie Interahamwe, responsabili insieme alle ex Far (Forze armate ruandesi) del genocidio del 1994, sono un ricordo ancora fresco. Il viaggio fino a Ruhengeri dura un paio d'ore scarse. Poi si cambia mezzo, la strada è una mulattiera solitaria che si arrampica fino a Kinigi, alle falde degli spettacolari vulcani che formano una barriera naturale tra Rdc, Ruanda e Uganda. La magnificenza di questi vulcani con il cono immerso nelle nuvole lascia senza fiato, il senso dell'orientamento viene meno.
Degli otto vulcani di questa zona due sono ancora attivi. Nel 2003 Nyaragongo ha sepolto la città di Goma (Rdc), si trova a un'ora di macchina da qui. Il più alto, il Karisimbi, arriva a 4500 metri. Tra queste montagne di roccia e lava Dian Fossey, la studiosa americana che ha reso i gorilla di montagna una leggenda nel libro Gorilla in the mist, ha trascorso una ventina d'anni. La Fossey ha abituato questi animali al contatto con l'uomo, facendosi accettare imitando i loro versi e difendendoli strenuamente dalla barbarie del bracconaggio. Tutti la ricordano qui. E tra queste montagne si trova la sua tomba. E' sepolta tra i "suoi gorilla", come aveva scritto nel suo testamento prima di essere barbaramente uccisa il 27 dicembre 1985, a colpi di machete, da uno sconosciuto, con ogni probabilità un bracconiere.
Sulla strada l'odore del piretro è forte dopo la pioggia e le case di fango e paglia con le galline che scorrazzano nel cortile, i fiori e le capre, danno l'idea di un tranquillo luogo di montagna, lontano dalla disperazione dei Grandi Laghi. Le donne e bambini ai bordi della strada che si sbracciano per salutare sono vestiti di cenci come altrove. Ma nei loro sguardi non si coglie la desolazione che s'incontra in altri paesi di questa parte dell'Africa.
La notte sembra non passare mai, l'incontro con i gorilla della fitta foresta pluviale è a poche ore. Questi animali si spostano continuamente e c'è sempre il rischio di non trovarli; meglio non pensarci. Prima di scalare la montagna, però, bisogna fare un salto al grazioso ufficio dell'Orptn, l'ente del turismo ruandese, e sborsare la bellezza di 375 dollari, quota di accesso al parco.
E' qui che si raduna il gruppetto degli "scalatori" della domenica, 6-8 persone al massimo per non stressare gli animali e garantire la sicurezza dei visitatori. Se infastiditi i gorilla potrebbero attaccare e un gruppo di poche persone è più facile da controllare. Il gruppetto è composito: chi viene dalla Germania, dal Marocco, dagli Stati Uniti. Gli americani sono carichi di macchine fotografiche con megaobiettivi, Abdu il marocchino alle sette del mattino ha già schiacciato una decina di cicche, sarà che nella foresta sigarette e cellulari sono off limits.
Il Ruanda è un paese tradizionalmente francofono e Paul, la nostra guida, fisico atletico, testa rasata e grandi sorrisi, parla solo inglese. La guida distribuisce a ognuno di noi un massiccio bastone di legno; di lì a qualche ora si rivelerà provvidenziale. Ci accompagnano anche due soldati armati. «I militari ci scortano per difenderci da eventuali attacchi di bufali» rassicura Paul. Facciamo finta di crederci, ben sapendo che la zona è sotto stretta sorveglianza militare dal momento che la fitta foresta pluviale è praticamente indifendibile contro le incursioni dei famigerati Interahamwe. E' sempre da qui che i ruandesi, secondo le accuse del governo congolese, passano il confine per arrivare nelle province del Kivu e dell'Ituri (est Rdc), zone in cui, negli ultimi mesi, intensi scontri hanno generato nuove masse di rifugiati.
Bufali non se ne vedono, anche se a migliaia popolano questa foresta insieme a scimmie, elefanti e uccelli di ogni tipo. Gli elefanti che vivono tra gli alberi sono di taglia piccola, vanno pazzi per l'Umutangatanga, un frutto selvatico dalla polpa simile al sapone e amaro come il fiele che la guida offre alla comitiva mentre riprende fiato nella giungla.
La vegetazione in alcuni tratti è talmente fitta da nascondere il cielo, nel cammino si resta continuamente impigliati tra liane e spine che spuntano dappertutto. Bisogna soprattutto stare attenti alla robinia, una pianta verde chiaro a foglia larga. Una volta punti, e capita inesorabilmente, si capisce perché la si doveva evitare. Il gruppo si ferma di fronte a quello che viene scambiato per un serpente rosa. In realtà è un verme gigante, i click delle macchine fotografiche si scatenano. Il primo segno dei gorilla sono banane selvatiche rosse e cortecce d'albero, le scimmie hanno rosicchiato il muschio coi denti. Dopo due ore di scalata tra punture, cadute, ferite alle mani e sudore, si inizia a sprofondare nel fango. Siamo all'equatore, ma intorno ai 3000 metri l'umidità si fa sentire e man mano che si avanza anche il freddo diventa pungente. Il luogo in cui qualche ora prima i "cercatori di gorilla" hanno avvistato la famiglia di cui siamo alla ricerca è sempre più vicino.
Ogni mattina infatti prima dell'alba un gruppo di "cercatori" scala la montagna, avvista i gorilla e comunica via radio alle guide le coordinate per trovarli. Prima di proseguire per l'ultimo tratto verso i gorilla occorre mollare zainetti e bastoni. L'unico oggetto ammesso è la macchina fotografica, da utilizzare assolutamente senza flash. «Se vi morde una formica rossa soffrite in silenzio e parlate a bassa voce», dice la guida. Quanto a eventuali fuori programma fisiologici, «se proprio vi scappa, fate un buco nel terreno e ricopritelo».
Dietro un cespuglio il gorilla capo del gruppo, detto silver back per la peluria color argento che gli compare sulla schiena passati i 20-25 anni, è sdraiato in posa da spiaggia. Disteso, gambe accavallate, un braccio sotto la testa e l'altro intento a strappare il sedano selvatico che porta costantemente alla bocca. Si volta verso di noi, lancia uno sguardo distratto e continua a mangiare. La sua compagna ha appena avuto un piccolo e appena ci avviciniamo si ritrae per proteggerlo. Altri due gorilla femmina rotolano sulle fittissime radici. Giocano, si abbracciano. Altri tre un po' più grandi stappano foglie e mangiano. Poi uno si lancia sull'altro, si stringono. Le movenze, lo sguardo, i gesti, le effusioni che si scambiano non hanno nulla di diverso da quelli di un essere umano. Mamma gorilla rassicurata dai versi delle guide si avvicina per mostrare il piccolo. Un'attenzione che, forse, infastisce un altro gorilla, che batte i pugni sul petto e si lancia verso il gruppo. Le guide si mettono in mezzo e contemporaneamente si avvicina anche silver back. «Tutti giù», sussurra con la guida. Ci spalmiamo sulle fitte radici che in questo tratto sono morbide come un materasso a molle, ma per fortuna silver back vuole solo passare. In teoria la distanza minima da tenere con questi animali è sette metri. Si potrebbero infatti trasmettere o contrarre malattie. Siamo invece vicinissimi. Ci spostiamo per seguire i movimenti di silver back.
La guida siega che i suoi versi esprimono apprezzamento per la visita. Gli siamo simpatici. Mostra i denti, neri alla base. I canini sono enormi. Mastica continuamente. I gorilla si nutrono di piante e passano la giornata a mangiare, giocare e riposarsi. Mamma gorilla allatta il piccolo. E' ricoperta di pelo tranne che sul petto, come silver back. Con la maturità in questa parte del corpo la peluria si dirada. I gorilla sono affettuosi tra loro se membri della stessa famiglia, ma se gruppi diversi si incontrano possono sorgere seri problemi. Quelli della specie silver back tendono a conquistare le femmine di altri gruppi; spesso finisce male. E come impone la legge della giungla (in questo caso in senso strettamente letterale), ha la meglio il più forte. «Altri cinque minuti» comunica la guida. Il sudore si è asciugato addosso da un pezzo e il freddo si da sentire. Siamo ricoperti di fango e continuiamo a scivolare. Bisogna andare. Lentamente indietreggiamo. Sulla via del ritorno ognuno è immerso nei pensieri. La foresta è un labirinto di suoni e di colori. Un angolo di mondo armonico e magico.
Il pensiero del sangue versato tra queste montagne per tanti anni (durante tutti gli anni '90 non era possibile accedervi a causa della guerra) e la consapevolezza che dall'altra parte del confine, in Rdc, la foresta è oggi di nuovo popolata di disperati che fuggono, di fucili che sparano, animali che scappano, è anche più inaccettabile da quassù.
A valle il piretro torna a farsi sentire. Un odore intenso e piacevole. A malincuore lasciamo i vulcani alle spalle. Dalla mulattiera si torna all'asfalto. Mentre il silver back gorilla avrà addentato un altro ramo di sedano selvatico.
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